venerdì 18 luglio 2014

L'AMERICA DEBOLE DI OBAMA NON E' UN BENE PER IL MEDIO ORIENTE


Alla fine Israele ha deciso che non c'era altra soluzione che posare gli stivali su Gaza. Il lancio di razzi non cessava, nonostante i raid aerei israeliani e le proposte di tregua, tutte disattese da Hamas che le ha sempre giudicate "insufficienti".
Nel nuovo focolaio bellico del medioriente,  spicca come sempre l'ignavia americana della gestione obamiana, ben evidenziata nella nota di Paolo Valentino sul Corriere di oggi. 
Nessuno pensa che gli USA abbiano la bacchetta magica, che se così fosse, da tempo il problema secolare ebreo-palestinese doveva aver trovato soluzione. Però un'America debole, come quella attuale, bene certo non fa.

Obama e quel Divario
tra Retorica e Risultati
 
Avrà fatto bene il segretario di Stato americano John Kerry a rinunciare a recarsi in Medio Oriente, per tentare un’impossibile mediazione nella crisi di Gaza? L’invasione nella Striscia palestinese, ordinata ieri da Benjamin Netanyahu, sembra dargli ragione. C’era poco o punto che gli Stati Uniti potessero fare, per cercare di riportare un po’ di calma in una situazione ormai sfuggita da tempo a ogni loro tentativo di influenzarla. Ma l’ingresso dei soldati israeliani a Gaza diventa una sorta di certificazione sul campo del fallimento americano in Medio Oriente e la dimostrazione tragicamente plastica del clamoroso ridimensionamento del ruolo di Washington nella regione.
Così la rinuncia del capo della diplomazia Usa appare ora in un’altra luce, quella di un mesto ammaina bandiera di ogni ambizione a esercitare una leadership. Leading, guidare, non fa parte almeno al momento del vocabolario della politica estera degli Stati Uniti. Neppure «from behind», da dietro, come negli ultimi tempi voleva la narrativa dell’Amministrazione. Il problema è che questa non è affatto una buona cosa: l’assenza degli Stati Uniti nello scenario geostrategico più caldo del mondo non promette infatti nulla di buono e dovrebbe preoccupare tutti, in primo luogo gli alleati europei. La decisione del governo israeliano suona quasi beffarda nei confronti di Obama, che meno di 24 ore prima aveva nuovamente promesso di voler usare «tutte le nostre risorse e relazioni diplomatiche per giungere a un tregua in grado di durare». Nel frattempo, aveva detto il Presidente, «appoggeremo tutti gli sforzi per proteggere le popolazioni civili di Israele e Gaza».
La portavoce del Dipartimento di Stato, Jen Psaki, ha detto ieri sera che gli Stati Uniti «raddoppieranno gli sforzi per arrivare a una tregua». Cosa significhi questo concretamente è poco chiaro, vista la situazione di paralisi in cui si trova l’Amministrazione, che da un lato non può e non vuole mettere sotto pressione Israele, che reagisce a suo modo ai continui lanci di razzi sulle sue città da parte palestinese, dall’altro non è assolutamente in grado di influenzare Hamas, neppure attraverso i buoni uffici dell’Egitto o del Qatar.
Aaron David Miller, ex negoziatore americano in Medio Oriente, consiglia al suo Paese in questa fase di fare e dire poco o nulla, pena il rischio di far aumentare «il divario tra la sua retorica e la sua capacità di produrre risultati». Più che un consiglio, sembra un epitaffio.

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