Punto evidentemente sul vivo per le critiche di Francesco Giavazzi ieri sul Corriere ( http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2014/07/ma-cottarelli-e-morto.html ), Carlo Cottarelli risponde sul suo blog confermando quello che si era intuito. Non è che lui non abbia fatto il suo lavoro e non lo abbia consegnato a chi di dovere, cioè al governo, solo che quest'ultimo se ne frega. La chiosa è mia, che, nell'articolo di Rizzo che segue, il ministero del Tesoro precisa che le "divergenze" non sono col Premier ma col Parlamento... Ma credo sia pià verosimile la mia tesi. Cottarelli è stato scelto da Letta, e già questo...e poi Renzi non è che immagina una politica di tagli alla spesa volta a ridurre la stessa, ma solo a reindirizzarla.
E questo ci riporta ad un discorso di fondo importante per noi liberali, inparticolare quelli che hanno votato il premier e pensano di rivotarlo. Quando tanti anti berlusconiani posseduti urlavano contro il Cavaliere perché rovinava l'Italia, noi facevamo due obiezioni : 1) Berlusconi peccava per lo più di inerzia, limitandosi a galleggiare, non riuscendo (non provandoci nemmeno troppo ? ) a fare le riforme liberali importanti che pure aveva annunciato, e sicuramente non riuscendo né a tagliare lo Stato né, di conseguenza, a diminuire le tasse. In realtà, lasciava le cose come le trovava, per lo più. Quindi non è l'autore del declino italiano, le cui fondamenta furono gettate nella seconda metà della prima repubblica, ma complice con altri nel non averlo arginato 2) a lamentarsi di questa inattività colpevole di Berlusconi (gli impedivano di governare ? Dimissioni e nuove elezioni. Non tirare a campare) dovevamo essere NOI liberali, non certo quelli di sinistra, che certo avrebbero avuto ben poco da essere contenti di una riforma della società italiana fondata su meno stato assistenziale, meno pubblico, meno tasse e via discorrendo.
Ecco, lo stesso discorso vale per Renzi. Io sono sempre più sospettoso che Renzi sia un animale politico abilissimo in tattica e privo di preparazione governativa e di visione strategica. In questo identico alla classe dirigente italina che lo ha preceduto e che lo affianca (dicevo ieri che cercasi disperatamente in Italia statisti del livello degli ultimi cancellieri tedeschi, il socialdemocratico Schroeder assolutamente compreso). Ciò posto, non posso stupirmi se un Renzi, democristiano di sinistra per natali, e comunque leader del partito della sinistra geneticamente mutata di oggi, abbia una visione di governo incentrata comunque sullo statalismo e sulla spesa. Quello che mi posso augurare è che almeno cerchi di rendere efficiente questo carrozzone, quantomeno diminuendo sprechi e ruberie, tagliando le unghie a sindacati e burocrati (non mi sembra ci stia riuscendo). Sarebbe un grande risultato di cui essergli grati. Ma non è certo Renzi quello che si muoverà per una repubblica con "meno stato, meno tasse, più libertà", che resta il sogno liberale (che tale resterà).
Cottarelli giustamente scrive che non è nei suoi suggerimenti tagliare la spesa per fornire risorse per ALTRA spesa. Ma Renzi questo vuole e questo farà, come l'incipit degli 80 euro sta lì a dimostrare.
Cottarelli pronto a lasciare
Il commissario per i tagli e quei dossier rimasti nei cassetti
di SERGIO RIZZO
Carlo Cottarelli è pronto a lasciare l’incarico di commissario alla spending review a ottobre: lo avrebbe già comunicato a Matteo Renzi. Alla base della decisione, la mancanza di una sintonia di fondo con il premier.
Dopo l’editoriale in cui Francesco Giavazzi gli chiedeva sul Corriere di rendere noto dove a suo giudizio si dovrebbe tagliare, ieri Cottarelli ha rotto il silenzio sul suo blog: «Se si utilizzano i risparmi sulla spesa per aumentarla, il risparmio non potrà essere utilizzato per ridurre le tasse sul lavoro». Il presidente della Commissione Bilancio della Camera Boccia lo ha invitato a rivolgersi al governo. Ma secondo fonti del Tesoro, le parole di Cottarelli sono riferite a «prassi parlamentari» e non all’esecutivo.
Niente di personale: almeno di questo siamo certi, nel caso in cui Carlo Cottarelli non dovesse fare marcia indietro rinunciando al proposito maturato negli ultimi tempi. E che avrebbe già anticipato al presidente del Consiglio Matteo Renzi. Ovvero, quello di lasciare l’incarico dopo l’estate. Ottobre, è la data prevista.
Che Renzi non avesse con il commissario alla spending review la medesima sintonia di Enrico Letta, il quale lo aveva nominato, non era affatto un mistero. Del resto, a dispetto delle voci circolate contestualmente all’arrivo dell’ex sindaco di Firenze a Palazzo Chigi, che indicavano Cottarelli come candidato a prendere le redini del Dipartimento economico della presidenza del Consiglio, per lui i mesi trascorsi dall’insediamento del nuovo governo indiscutibilmente non sono stati i più facili. E certo non per la responsabilità del ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, con il quale il commissario ha condiviso una lunga militanza negli organismi internazionali, a rappresentare il nostro Paese.
Gli ostacoli che ha dovuto affrontare sono stati fino in fondo politici. Probabilmente non del tutto imprevisti. Ma non nelle proporzioni e nelle forme che aspettava di trovarsi davanti quando è rientrato da Washington, dopo 25 anni passati al Fondo monetario internazionale, per occuparsi delle rogne italiane. Intanto un approccio tutto diverso da parte di Renzi rispetto a Letta, nei confronti del capitolo «tagli alla spesa pubblica» e dei compiti di Cottarelli. Un approccio che ha avuto l’effetto di ridimensionare oggettivamente il ruolo del commissario: declassato da una specie di autorità indipendente incaricata di individuare non soltanto gli sprechi e le diseconomie interne alla Pubblica amministrazione ma di proporre anche i tagli alle voci di spesa più ingombranti, a un semplice consulente esterno. Per quanto, ovviamente, autorevole: ma comunque un corpo estraneo alla stanza dei bottoni. Condizione diventata sempre più palpabile man mano che il tempo passava. Ed evidentemente sempre meno sopportabile.
Poi alcuni fatti che parlano da soli. Ieri su questo giornale Francesco Giavazzi si è opportunamente chiesto dove sia finito il lavoro di Cottarelli. Aggiungendo che il commissario alla spending review dovrebbe rendere coraggiosamente noto dove, come e quanto si dovrebbe tagliare, mettendo il governo di fronte alla responsabilità di non farlo. Sappiamo, perché l’ha scritto prima ancora sul «Corriere» Riccardo Puglisi, uno dei partecipanti al gruppo di lavoro coordinato da Massimo Bordignon a cui Cottarelli aveva chiesto un rapporto sui costi della politica, che da marzo sono pronte 25 relazioni su altrettanti segmenti della spesa pubblica preparate da team di esperti. Tutti dossier, immaginiamo ustionanti, che il commissario avrebbe già voluto pubblicare ma che invece restano nei cassetti. E la ragione è semplice: Cottarelli non ha ancora avuto il permesso del governo per renderli noti. Perché dopo tanti mesi non sia arrivato il via libera di Palazzo Chigi si può soltanto ipotizzare. Forse le conclusioni contenute in quei rapporti non sono del tutto condivise? Forse. Il che ci starebbe pure, ma è improbabile che il commissario, e lo stesso governo, non l’avessero calcolato.
Di sicuro la mancata pubblicazione dei 25 dossier ha reso ancora più evidenti, se ce ne fosse stato il bisogno, le difficoltà con cui Cottarelli si deve confrontare. A cominciare con quella forse più importante. Va benissimo intervenire sulle ottomila aziende pubbliche: è un buco nero gigantesco come dimostra l’esistenza di 2.761 società con più amministratori che dipendenti. Ma come si fa a individuare tagli per 17 miliardi di euro, almeno di tanto la spesa pubblica dovrebbe essere ridotta nel 2015, se non si possono nemmeno sfiorare i due capitoli più grossi? La sanità è uscita di fatto dalla spending review con il patto della Salute: un accordo fra il governo e le Regioni. Mentre le pensioni, per esplicita volontà dell’esecutivo, non ci sono mai entrate. L’agenzia «Adn Kronos» ieri ha fatto sapere che Cottarelli «continua a lavorare, come sempre, a stretto contatto con i suoi interlocutori naturali». E che «potrebbe presto affidare al suo blog, fermo all’ultimo intervento del 7 luglio, un post per tornare a evidenziare la necessità di tagli selettivi e non lineari, con riferimento anche al caso del pensionamento dei quota 96, appena affrontato nel decreto P.a.». Proprio le pensioni, guarda un po’... Poche ore dopo, sul blog c’era l’intervento annunciato dall’agenzia di stampa che ha subito suscitato reazioni politiche. Forse la sua ultima testimonianza (nemmeno questa autorizzata?) da commissario, magari prima dell’annuncio ufficiale del divorzio. Con il risultato che il prossimo taglio alla spesa pubblica frutto del lavoro di Cottarelli sarà il suo stipendio.
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