mercoledì 30 luglio 2014

L'UNITA' CHIUDE. CAPISCO CHE ALLE PERSONE DI QUELLA PARTE DISPIACCIA, MA E' GIUSTO COSI'


Chiude l'Unità. Non si sa se per sempre, o se , più in là, qualcuno riprenderà il marchio e lo farà tornare in edicola. So che è giusto che chiuda, da un punto di vista economico, e lo trovo naturale, da quello politico sociale. 
L' Unità, che ad un certo punto degli anni '70 vendeva 200.000 copie al giorno, arrivando fino ad un milione la domenica (così ricorda Sansonetti, che ci ha lavorato 30 anni, arrivando ad esserne il vicedirettore), era, secondo la volontà di Togliatti, il giornale della classe operaia, così come il Corriere era quello della borghesia. Ha prosperato nell'età d'oro degli uomini disegnati da Cipputi, e chiude oggi che che l'operaismo è tramontato da un pezzo. 
A questo va aggiunto che è finita anche l'epoca dei partiti e dei relativi giornali, senza contare la fine del fiume di sovvenzioni pubbliche che ne garantiva la tenuta.
L'Unità chiude perché non vende, non vendendo non raccoglie pubblicità, e nessuno è più disposto a investire (bruciare) denaro in questa macchina. 
La crisi dell'editoria è generale, e probabilmente altre testate chiuderanno. 
Può dispiacere, ma ha una sua giustizia, almeno per chi, come me, pensa che un'attività, anche quella dell'informazione, deve almeno pagarsi i costi della sua esistenza. E se non ce la fa, deve chiudere.
Sicuramente, avendo conosciuto i tempi dell'auge di questo giornale, mi colpisce la notizia, ma sinceramente non mi dispiace, come non mi dispiacque la fine del partito che ne fu, il fondatore ed editore.
Comprendo il rammarico delle persone di quella parte, però, osservo, sarebbe bastato che un centesimo degli elettori del PD e della sinistra tutta, o anche un ventesimo dei pensionati che hanno in tasca la tessera sindacale insieme agli operai superstiti, avessero comprato il giornale in edicola, che questo oggi non sarebbe costretto a chiudere.
Se non se le sono messe loro le mani in tasca, chi lo avrebbe dovuto  fare ?

Il Corriere della Sera - Digital Edition

«L’Unità» sospende le pubblicazioni 
Nell’ultimo numero le pagine in bianco



ROMA — L’Unità sospende le pubblicazioni: «A far data dal primo agosto», recita un comunicato dei liquidatori. Ma la verità è che la redazione non ce la fa a scrivere anche il giornale del 30 luglio. E così quello di oggi è l’ultimo numero in edicola del quotidiano fondato da Antonio Gramsci, novant’anni fa: «Hanno ucciso l’Unità», il titolo che non lascia spazio alla speranza, in un giornale dove le pagine saranno bianche, tranne la prima e la seconda, per pubblicare i comunicati e una vignetta di Staino, e l’ultima, dove saranno messe in fila tutte le firme dei redattori.
L’assemblea dei giornalisti ieri pomeriggio è stata, forse, la più triste della storia: un’ottantina di lavoratori rimarranno senza lavoro. Sono tre mesi che si andava trascinando l’agonia. Ieri pomeriggio l’assemblea dei soci ha fatto sperare in un colpo di reni. Ma nulla di fatto. Anche se in serata è stato il premier Matteo Renzi a mandare un segnale positivo, ritwittando le parole del tesoriere del Pd Francesco Bonifazi, per il quale il giornale fondato da Antonio Gramsci è stato sospeso «non per colpa del Pd ma di chi ha fatto debiti per 30 milioni ma noi manteniamo la promessa: riapriremo l’Unità». In un altro tweet Renzi ha risposto a un follower per il quale l’Unità non deve essere nella disponibilità del Pd e di Renzi. «Purtroppo non lo è — ha ribattuto Renzi — se lo fosse non chiuderebbe».
Il comitato di redazione nel pomeriggio era uscito con un comunicato laconico: «Continueremo a combattere guardandoci anche dal fuoco amico». Perché le voci su come si fosse svolta l’assemblea dei soci si sono rincorse con rimbalzi di accuse incrociate. La certezza è che a guidare l’assemblea sono stati Emanuele D’Innella e Franco Papa, i due liquidatori. L’altra certezza è che non si è trovato un accordo.
Il resto si può ricostruire dai verbali dell’assemblea. Era stato calcolato che con un milione e 600 mila euro si sarebbe tirato avanti con le pubblicazioni per un paio di mesi. Si chiedeva perciò un finanziamento da parte dei soci. Matteo Fago, l’azionista di maggioranza, avrebbe detto: «Io metto i soldi se li mettono gli altri soci». Ma la mano sul portafoglio non l’ha messa nessuno.
A questo punto i due liquidatori hanno portato una proposta: trasferire la società Nie (che edita l’Unità) su un’altra società costituita ad hoc e facente capo a Fago, una sorta di affitto di sei mesi rinnovabile per altri sei mesi con, alla fine, un’opzione di acquisto per una cifra non definita. Meglio, la cifra veniva definita soltanto per il limite superiore: «fino a 12 milioni».
«Un’offerta che non aveva i requisiti minimi per essere accolta: non un piano industriale, non un piano editoriale, nessuna indicava un valore certo di acquisto della testata. Un’azienda con 30 milioni di debiti non si salva con un affitto di 85 mila euro al mese», dice Bonifazi.
Intanto da domani l’Unità non sarà più in edicola. Nel pomeriggio si sono susseguiti a valanga i comunicati di solidarietà, da parte di diversi partiti. Il leader della Cgil Susanna Camusso ha fatto un appello affinché si occupino della questione dell’Unità i dirigenti del Pd. E Lorenzo Guerini, vicesegretario dei democratici ha dichiarato, con veemenza: «L’Unità è un patrimonio di tutto il paese che non va disperso».
Sempre dal Pd si sono levate altre voci. Massimo D’Alema, tra queste: «È una notizia scioccante. Voglio sperare che si tratti di una chiusura tecnica in vista della partenza del nuovo progetto». Anche le voci di Stefano Fassina, Gianni Cuperlo, Alfredo D’Attorre: «È grave la decisione dell’assemblea dei soci di sospendere le pubblicazioni dell’Unità. È un danno pesante al pluralismo dell’informazione e al dibattito culturale e politico. È una ferita profonda per il Pd».
Pure il governatore della Lombardia Roberto Maroni è intervenuto, con una frase su twitter: «L’annunciata chiusura dell’Unità è una brutta notizia per la libertà di stampa».
Alessandra Arachi

1 commento:

  1. Che maroni fosse un poco di sinistra mi era chiaro ma che leghi la libertà di stampa alla chiusura di un giornale di partito è una bestemmia. Chi avrebbe dovuto pagare i debiti , oltre ai 110 milioni che si è accollato lo stato (la minuscola non è un refuso)? E che cosa significa pluralismo per un giornale totalitario di nome e di fatto? Sono d'accordo con l'Ultimo camerlengo

    RispondiElimina