martedì 29 luglio 2014

PANEBIANCO FAVOREVOLE AD UNA RIFORMA "PURCHESSIA" ?


Mi convince solo in parte l'analisi odierna di Angelo Panebianco, nell'editoriale del Corriere della Sera.
Si parla di Senato e l'incipit è assolutamente corretto, con l'individuazione di due sostanziali divisioni su quel fronte : gli ultras della Carta Costituzionale (ieri abbiamo riportato un imperdibile libello di Guido Vitiello dedicato a questi signori : http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2014/07/per-quelli-che-la-costituzione-non-si.html ), alleati ai furbetti, che Panebianco chiama "camaleonti", coloro che con la scusa del vulnus democratico-costituzionale, in realtà difendono il potere di veto tribunizio di cui le minoranze, anche talvolta infinitesimali (stavo per scrivere infime), hanno fruito, ricattando le deboli maggioranze (sempre relative e mai assolute), e quelli che vogliono assolutamente superare il bicameralismo perfetto, sicuro rallentatore dell'attività decisionale di governo e parlamento. 
All'interno però di questa parte, ci sono quelli che criticano come si sta sviluppando il disegno riformatore.
Tra questi, il professore riporta le critiche di Alesina e Giavazzi ( http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2014/07/nemmeno-ad )  - ma ci sono anche quelle puntuali e puntute di Michele Ainis ( http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2014/07/chissa-se-napolitano-legge-ainis.html ) - che appunto non contestano  l' obiettivo primario, l'eliminazione delle camere doppioni, quanto  l'alternativa che sta emergendo, con la camera alta costituita da rappresentanti di quelle regioni che già pessima prova hanno dato, di per sé, nello sperperare il denaro pubblico, tanto da imporre all'agenda politica l'ulteriore revisione del titolo V della Costituzione.  Panebianco ammette che i timori dei due economisti sono fondati, ma che restare così come siamo sarebbe peggio. 
Ecco, qui io vedo un discorso pericoloso. Seguendo il travagliatissimo percorso di questa riforma, vedo che, volendo fare contenti molti, se non tutti, stia venendo fuori un'arlecchinata, e non soltanto per la molteplice e variopinta varietà dei pezzi di stoffa che compongono il costume. Un compromesso è utile quando consente di superare un impasse, ma bisogna evitare che lo stesso sia al ribasso, nel nome di una "riforma purchessia".  Il risultato può essere, e infatti così sembra stia avvenendo, che la "pezza sia peggiore del buco", e il titolo V, già citato, è un perfetto esempio della pericolosa veridicità del noto detto proverbiale. 
Per esempio, visto che si è comunque voluto mantenere due camere (si poteva anche decidere di eliminare il Senato tout court), perchè allora non lasciare anche la seconda elettiva (diminuendone le funzioni e le aree di competenza), senza sta cosa dei consiglieri regionali ? Per risparmiare gli stipendi di 100 senatori ? Nel momento in cui tutto l'ambaradan del Senato resta pressoché intatto, con commessi, assistenti, parrucchieri e via discorrendo, non è che sia questo risparmio clamoroso. Sicuramente basta una legge prospesa a favore delle regioni che lo abbiamo altro che azzerato ! 
Qui non si tratta di benaltrismo, ma di reclamare una STRATEGIA. 
Che invece non si vede, se non quella di poter dire, alla fine "abbiamo fatto la riforma". 
Se fa vomitare non è mica sta gran cosa no ?? 




Gli irriducibili e i camaleonti
di ANGELO PANEBIANCO



La riforma del Senato, e le tante parole spese, fanno pensare alla massima secondo cui «per ogni problema complesso, esiste sempre una soluzione semplice e sbagliata». Conviene un po’ di umiltà quando si ragiona su complicati cambiamenti che, nel caso specifico, investono gli equilibri istituzionali.
Lasciando da parte quei camaleonti che si travestono da riformatori ma non lo sono, possiamo dire che sul Senato si fronteggino tre «partiti». C’è il partito degli avversari della riforma, dei difensori dello status quo . Usa, per lo più, argomenti inconsistenti: la Costituzione non si tocca, c’è il disegno autoritario, la reazione in agguato, eccetera. È la difesa dell’indifendibile, di quel bicameralismo simmetrico o paritetico che contribuisce a rendere la nostra democrazia parlamentare diversa (in peggio) da tante altre. I più lucidi fra gli avversari della riforma sanno quale sia la vera posta in gioco: quel potere di veto delle microminoranze che condanna all’impotenza i governi e all’immobilismo il Paese. Il bicameralismo simmetrico è il più importante simbolo (e difesa) della democrazia paralizzata, non decidente. Pensano che, se salta tale simbolo (e diga), quei poteri di veto, responsabili dell’immobilismo, per un effetto a cascata finirebbero per indebolirsi ovunque.
Però, sul Senato, i partiti non sono solo due ma tre. Perché anche coloro che condividono il rifiuto del bicameralismo simmetrico sono divisi. Una parte teme gli effetti di una riforma che faccia del Senato la sede della rappresentanza non elettiva delle Regioni.
In un editoriale assai lucido (Corriere , 6 luglio), Alberto Alesina e Francesco Giavazzi hanno dato voce, con solidi argomenti, a questa posizione, al disagio di chi, sapendo cosa sono le Regioni, teme le conseguenze disfunzionali della riforma. Alesina e Giavazzi hanno segnalato che il ddl in approvazione a Palazzo Madama lascia una possibilità di intervento del Senato delle Regioni in tema di leggi di bilancio. Il rischio è che il Senato, assumendo la difesa corporativa (transpartitica) del potere di spesa delle Regioni, condizioni la Camera dei deputati, spingendola ad approvare bilanci e spese insostenibili.
La tesi è corretta.
Ma il tema è più ampio. Anche se la riforma del Senato si ispira al Bundesrat , la Camera alta tedesca (che in quel sistema federale rappresenta gli Stati, i Länder ), resta che la Regione italiana non è affatto un Land e che, per giunta, le classi politiche e amministrative regionali non brillano, mediamente, per qualità. Conviene mettere nelle loro mani il nuovo Senato? Ciò non compenserebbe, annullandolo, il vantaggio derivante dalla riforma del Titolo V, dal recupero del controllo statale su materie oggi di competenza regionale?
Tali preoccupazioni non sono infondate. Però è anche vero che lo status quo (nessuna riforma) ci condannerebbe a perseverare in un immobilismo che non possiamo più permetterci. Tra una certezza e un rischio, conviene il rischio. Le riforme hanno sempre conseguenze imprevedibili. Eliminando il bicameralismo simmetrico, si rafforzerebbero i governi, si ridurrebbero alcuni poteri di veto. Ma si rafforzerebbero anche, per contro, i poteri di veto regionali? Lo capiremo quando, approvata la riforma, vedremo i dettagli. Per ora, si può sperare che il bicameralismo simmetrico venga infine cancellato e che, contemporaneamente, chi ha la possibilità di farlo non commetta l’errore di idealizzare le Regioni, di dare loro più fiducia, e più poteri, dello stretto necessario.

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