venerdì 29 agosto 2014

ALESINA E GIAVAZZI SPRONANO IL PREMIER : SFRUTTARE IL MOMENTO



Mi sembra vagamente ottimista l'editoriale odierno di Alesina e Giavazzi, sul Corriere, dove , analizzando i problemi dell'Eurozona, le possibili iniziative di Draghi, ipotizzano un allentamento dell'austerità tedesca, magari favorita dal fatto che anche da quelle parti si inizia a vedere qualche segno di difficoltà dell'economia.
In particolare a me proprio non risulta l'impegno di Renzi di recuperare il piano Ichino sul Lavoro (che pure era stato sposato due anni fa, alla solita Leopolda, quando ancora il nostro era blairiano) e tantomeno di arrivare, riscrivendo lo statuto dei lavoratori, a cancellare l'articolo 18 (e infatti trovate, su quel punto, tre grossi punti interrogativi che ovviamente sono i miei).
In realtà finora Renzino è quello della mancia elettorale degli 80 euro e oggi della possibile assunzione di 150.000 precari dell'insegnamento, con eliminazione delle supplenze ( e grazie !!  arruoli un esercito di "riservisti" pur senza una guerra !!). 
Insomma, manovre clientelari che ricordano la DC dei bei tempi quando non solo il ministero dell'istruzione ma anche (e soprattutto) quello delle Poste erano uno stipendificio regalato niente male. 
A proposito dei docenti, l'ultimo serio studio sulla materia lo fece la fondazione Agnelli  che confrontava i dati del 1978 con quelli del 2000. Sono passati due lustri abbondanti ma temo che la situazione non sia troppo migliorata da allora. 
Bene, nel 1978 la popolazione studentesca era pari a 10 milioni, nel 2000 era scesa di un quarto, arrivando a 7.500.000.
I docenti invece erano aumentati, passando da 732.000 a 800.000.
La media UE alunni / insegnante nelle scuole elementari era di 16,4, in Italia scendeva a 10,6 (alle medie 13,7 contro 9,7). La spesa statale per un ciclo di studi (elementari - maturità) aveva un costo per alunno di 100.000 dollari per l'Italia e 90.000 per la Germania. 
Magari n questi 14 anni a forza di tagli lineari qualcosa è cambiato, non saprei, ma certo questa infornata di assunzioni non va nella direzione virtuosa auspicata dai due economisti.
Buona Lettura 




La svolta europea e l’incrocio favorevole
di ALBERTO ALESINA e FRANCESCO GIAVAZZI
 
 

Grazie ad un incrocio fortunato di eventi i Paesi dell’euro hanno oggi la possibilità di attuare quella svolta che è necessaria per uscire dal lungo periodo di stagnazione economica in cui viviamo da quasi sette anni. Il governo italiano potrebbe avere un ruolo fondamentale nel renderlo possibile.
Venerdì scorso Mario Draghi ha detto chiaramente che per ricominciare a crescere sono necessarie riforme strutturali dal lato dell’offerta, accompagnate però da una ripresa della domanda, in particolare dei consumi delle famiglie e degli investimenti delle imprese. E che questo la Bce non può farlo, almeno non da sola. La prima mossa spetta ai governi che, oltre a fare le riforme, soprattutto del mercato del lavoro, devono abbassare le tasse riducendo al tempo stesso la spesa pubblica. E se le due cose non possono procedere alla medesima velocità, perché le tasse si abbassano in un giorno mentre per tagliare le spese serve un po’ più tempo, non bisogna strapparsi le vesti se il deficit temporaneamente cresce. Forse anche la Germania se ne sta convincendo. Infatti (anche se questa non è una buona notizia) i dati recenti lasciano intravvedere un rallentamento dell’economia tedesca che potrebbe rendere Angela Merkel meno ostile a provvedimenti concordati volti ad aumentare la domanda interna nell’eurozona.
Domenica a Parigi il presidente Hollande ha chiesto al suo primo ministro, Manuel Valls, di sostituire i membri del governo che si opponevano alle riforme e ai tagli di spesa. Il cambiamento più significativo è avvenuto al ministero dell’Economia e dell’Industria dove Emmanuel Macron (36 anni), il più liberista dei consiglieri di Hollande, ha sostituito Arnaud Montebourg (56 anni), un socialista del secolo scorso, alfiere dell’intervento dello Stato nell’economia, strenuo oppositore della globalizzazione e apertamente ostile alla Bce. Una svolta che ricorda il marzo del 1983 quando Mitterrand, dopo due anni di illusioni, cambiò radicalmente politica, si affidò a Jacques Delors e salvò la sua presidenza. Anche a Parigi si comincia ad accettare che «il liberismo è di sinistra».
A Roma Matteo Renzi si è impegnato a varare oggi, il giorno prima del vertice europeo di domani, la riforma della giustizia e il decreto cosiddetto sblocca Italia. Ma la riforma più importante riguarda il mercato del lavoro. Renzi ha promesso che si adopererà affinché entro il mese di settembre il Parlamento vari il disegno di legge delega proposto dal suo governo, che riprende le idee del senatore Pietro Ichino riscrivendo da zero lo Statuto dei lavoratori. E quindi modificando anche il famoso articolo 18. (???) 
Come non sprecare questo incrocio fortunato? L’Italia ha una responsabilità particolare, e non solo perché il vertice europeo di domani sarà presieduto da Matteo Renzi. Siamo (con l’eccezione della Grecia) il Paese dell’euro con il debito più elevato e quindi quello che più di ogni altro deve convincere che la qualità delle riforme attuate giustifica un allentamento temporaneo dei vincoli sul deficit, condizione necessaria per poter abbassare subito le tasse sul lavoro.


Le parole «qualità» e «attuate» qui sono cruciali. Le riforme non devono essere annunci ma leggi approvate. E a queste leggi devono seguire in tempi rapidi i decreti che le rendono operative, la qualità appunto. Ad esempio a 5 mesi dalla legge che ha abolito le Province (Legge 56 del 7 aprile) i decreti che ne ripartiscono le funzioni fra Stato, Comuni e Regioni non sono ancora stati varati, cosicchè quella riforma per ora rimane una norma senza effetti. Anche se va riconosciuto al premier di aver abolito il livello elettivo dei Consigli provinciali.
Uscire dalla riunione Ue di domani senza un accordo sulla necessità di sostenere la domanda interna significherebbe rimandare almeno di un altro anno la ripresa dell’eurozona. Raggiungere quell’obiettivo dipende anche dalle decisioni che prenderà oggi il Consiglio dei ministri, dalla determinazione con cui Renzi ripeterà l’impegno a varare il Jobs Act entro settembre e dall’esempio che egli saprà offrire al nuovo governo di Parigi, che si trova ad affrontare problemi analoghi.
Essere convincenti sulle riforme e sul percorso che vogliamo seguire per uscire dalla recessione deve essere l’obiettivo di Renzi nel vertice europeo. Se egli invece lascerà che la riunione si perda in una trattativa defatigante sui nuovi commissari e sul ruolo che avrà Federica Mogherini a Bruxelles, avrà perso un’occasione che potrebbe non ripresentarsi più. È improbabile che domani vengano già varati provvedimenti a livello europeo per far crescere la domanda. Ma sarebbe importante che una prima discussione cominciasse.

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