martedì 23 settembre 2014

AINIS : I DIRITTI O SONO DI TUTTI O DIVENTANTO PRIVILEGI PER ALCUNI



Da leggere e ponderare l'editoriale di AINIS sul Corriere di oggi, che ripropone l'annoso problema dei cosiddetti diritti acquisiti, e il conflitto tra generazioni che da essi scaturisce.
Si parte dall'idea ultima che l'articolo 18, se abrogato, lo sarà solo per i neo assunti, mentre i vecchi lo conserveranno così com'è : diritto acquisito. 
Ainis sostiene, e a me pare con molte ragioni, che i diritti dovrebbero essere tali per tutti, e non per una parte, ché altrimenti è forte la somiglianza coi privilegi. Facciamo un esempio diverso dall'art. 18, prendiamo le pensioni. C'è chi è potuto andarci dopo 16 anni di lavoro, e relativi contributi, fruendo del sistema retributivo, e quindi godendo di una pensione quasi analoga all'ultimo stipendio percepito. 
Una cosa folle, però legale, perché la legge lo consentiva. E non ci possono essere correzioni, ormai è andata..., ché se si prova a correggere almeno parzialmente la cosa ( per esempio attraverso un mix tra retributivo e contributivo, difficile peraltro da calcolare) ci sarà sempre un tribunale, amministrativo e/o ordinario a cui il pensionato potrà rivolgersi per ottenere la salvaguardia di quello che ormai gli spetta. E chissene importa se i figli e i nipoti non prenderanno la metà di quello che prende lui, avendo magari lavorato 10,15,20 anni di più (quel pensionato peraltro pensa che provvederà lui a dare una mano al figlio e al nipote, il che spesso accade pure). 
 Allo stesso tempo però ripropongo un problema già esposto sul blog : moltissima di questa gente, che è andata in pensione col sistema retributivo, che ora si vuole in qualche modo tassare per recuperare risorse per i meno fortunati del contributivo, ha anche impostato la propria vecchiaia confidando su quel reddito, risparmiando poco o nulla. Sapeva che, finito lo stipendio, sarebbe iniziata la pensione, pressoché equivalente, e i suoi conti li ha fatti su questo, non per imprudenza ma perché così era la legge. 
Ho amici che prendono 2000 euro di pensione netti e, senza scialare, ci rientrano. Ma se lo Stato gliene decurtasse 200 al mese, ebbè comprendo che sarebbero non solo inca...ti ma anche un po' preoccupati. 
Parimenti, se per consentire la spesa pubblica attuale - dove la previdenza è tra le voci di uscita più gravose - i lavoratori di oggi sono subissati di tasse, oltre a versare contributi sempre più onerosi, in che modo potranno accantonare risparmi per il loro futuro non lavorativo, che non godrà più delle vecchie pensioni ?
Un problema, e un conflitto, non da poco.
 


L’anagrafe che divide
di MICHELE AINIS
 


L’Italia è unita, gli italiani no. Si dividono per tifoserie politiche, per sigle sindacali, per corporazioni. Li separa la geografia economica, dato che il Pil del Mezzogiorno vale la metà rispetto al Settentrione. Sui temi etici restano in campo guelfi e ghibellini. Ma adesso s’alza un altro muro, il più invalicabile: l’anagrafe. Quella delle idee, con la crociata indetta dal premier contro ogni concezione ereditata dal passato. Dimenticando la massima di Giordano Bruno: «Non è cosa nova che non possa esser vecchia, e non è cosa vecchia che non sii stata nova». E quella, ahimè, delle persone. Distinte per i capelli bianchi, anche nel loro patrimonio di diritti.
Da qui la trovata che illumina il Jobs act : via la tutela dell’art. 18, ma solo per i nuovi assunti. Per i vecchi (6 milioni e mezzo di lavoratori) non si può: diritti quesiti, come ha precisato il leader della Uil. Curiosa, questa riforma che taglia in due il popolo della stessa azienda, mezzo di qua, mezzo di là. Riforma parziale, un po’ come una donna parzialmente incinta. Doppiamente curioso, l’appello ai diritti quesiti. A prenderlo sul serio, quando entrò in vigore la Carta repubblicana avremmo dovuto mantenere lo Statuto albertino per tutti i maggiorenni.
E a proposito della Costituzione. Nel 1970 lo Statuto dei lavoratori — di cui l’art. 18 rappresenta un caposaldo — fu salutato come il figlio legittimo dei principi costituzionali. Così, d’altronde, viene ancora definito nella letteratura giuridica corrente. Poi, certo, non ha senso discutere di garanzie quando manca il garantito: il diritto al lavoro esiste soltanto se c’è il lavoro. E a sua volta ogni Costituzione può essere applicata in varia guisa. Anche riconoscendo ai lavoratori licenziati un indennizzo, anziché il reintegro nel posto di lavoro. Ciò che tuttavia non si può fare è d’applicare contemporaneamente la stessa norma costituzionale in due direzioni opposte. Lo vieta la logica, prima ancora del diritto. Tanto più se il criterio distintivo deriva dall’età, di cui nessuno ha colpe, però neppure meriti.
Ma il Jobs act non è che l’ultimo episodio della serie. Le discriminazioni anagrafiche condiscono sempre più frequentemente la pietanza delle nostre leggi, ora a danno dei più giovani, ora degli anziani. Così, nel giugno 2013 il governo Letta decise incentivi per l’assunzione degli under 30. E i cinquantenni che perdono il lavoro? Perdono anche il voto, o quantomeno lo dimezzano, secondo la proposta di legge depositata da Tremonti nel 2012: voto doppio per chi è sotto i quarant’anni. Invece nella primavera scorsa la ministra Madia ha tirato fuori la staffetta generazionale nella Pubblica amministrazione: tre dirigenti in pensione anticipata, un giovanotto assunto. Dagli esodati agli staffettati. Tanto peggio per i vegliardi, cui si rivolgono però in altre circostanze i favori della legge, dalle promozioni automatiche all’assegnazione degli alloggi popolari, dalle pensioni sociali al ruolo di coordinatore nell’ufficio del giudice di pace (spetta al «più anziano di età»: legge n. 374 del 1991).
No, non è con queste medicine che possiamo curare i nostri mali. Occorrerebbe semmai una medicina contro ogni discriminazione basata sul certificato di nascita. Gli americani ne sono provvisti dal 1967 (con l’Employment act ), gli inglesi dal 2006. Mentre dal 2000 una direttiva europea vieta le discriminazioni anagrafiche nel mercato del lavoro. In attesa d’adeguarci, non resta che il soccorso d’una (vecchia) massima: i diritti sono di tutti o di nessuno, perché in caso contrario diventano altrettanti privilegi.

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