Luigi Frati, rettore uscente dell'Università di Roma La Sapienza, assomiglia molto a quel genere di politici faccendieri romani che molto furono in auge ai tempi di Andreotti. Non vogliamo arrivare a paragonarlo a Sbardella (chiamato non a caso "Lo Squalo"), ma sicuramente non ha meno pelo sullo stomaco di un Evangelisti.
Quelli che la politica la facevano chiedendo con franchezza "che te serve ?".
Indifferente a qualunque attacco, denuncia, inchiesta, ha governato come un satrapo orientale la più popolosa università d'Europa, sistemando tutti : parenti, in primis, amici e amici degli amici. Ha cercato, fin dove è stato possibile, di accontentare un po' tutti col risultato che oggi, dei sei candidati alla successione, NESSUNO viene considerato l'antiFrati, qualcuno che non è in nessun modo riconducibile a lui e non abbia "debiti"di riconoscenza con il monarca uscente.
Io non penso affatto bene della scuola italiana in generale, in compenso dell'Università statale, con rare eccezioni, penso tutto il male possibile. La Sapienza poi non ne parliamo. Per cambiare il marcio che c'è lì dentro non sono possibili riforme ma solo azzeramento . Si va lì con un lanciafiamme e poi si ricostruisce dal nulla.
Una cosa buona Frati pare che però l'abbia fatta : ha risistemato i conti, passando da un grave passivo addirittura ad un utile. Se fosse vero, è impresa non da poco e il giornalista gliene dà atto.
Ma il resto dell'articolo, condotto sul filo di una leggera ironia, è amarissimo.
Candidati, voti e favori
Gli intrighi alla Sapienza
per la fine
dell’era Frati
Si sceglie il nuovo rettore. «Tutti e sei sono legati a lui»
Dicono abbia «risvegliato un mammut». Ma anche «devastato l’immagine dell’ateneo», coi mammut succede. Parlare di cambio d’era non è eccessivo: vent’anni da preside di Medicina, dieci da pro-rettore vicario e da rettore, moglie e due figli piazzati dentro l’università, polemiche, inchieste, una vasta corte di vassalli tra ordinari, associati e ricercatori, ovvero un popolo di 3.872 elettori, molti dei quali gli devono qualcosa. Per dire: nonostante la mission di dimagrire, Frati divise Medicina in tre, moltiplicandone le poltrone. «Nessuno dei sei candidati può sostenere di non essere un uomo suo, io sono leale e lo dico», sorride Tiziana Catarci, una dei sei, che uomo non è ma fa paura a un sacco di uomini — bella, intelligente e aggressiva. La chiamano la Zarina. «Non lo sapevo ma non mi dispiace, Caterina la Grande ha trasformato la Russia». La Zarina domina (per ora) sull’informatica e ha in mano InfoSapienza, cervello milionario e vero centro di potere dell’università anche nell’allocazione delle risorse («i dati sono neutrali, poi la politica li… orienta»). È lei una delle due carte che Frati prova a giocare perché il cambio d’era si trasformi in una transizione da lui stesso governata, magari assurgendo a presidente della Fondazione che, adesso, incassa gli introiti degli affitti dell’ateneo ma domani — chissà — potrebbe gestire direttamente il patrimonio immobiliare di lasciti e donazioni, diventando tutt’altra torta.
L’altra carta è Eugenio Gaudio, preside di Medicina: cosentino. Il dettaglio non è irrilevante, i calabresi alla Sapienza sono molti, non solo tra i professori, ma anche tra tecnici e studenti (che pure votano, sebbene con un meccanismo ponderato). Il Quotidiano della Calabria gli fa garbata propaganda («Un medico calabrese tra i sei candidati»). Lui si schermisce: «Veramente vorrei una Sapienza più europea. Poi, se riesco a portare i calabresi in Europa…». S’inalbera sul fratismo: «Non ne parlo! Voglio parlarle del Paese!», dice, alzando i decibel. Immagina un’università aperta ai quattrini privati: «Basta ideologismi». Non per ragioni ideologiche Frati aveva un tempo affidato al dipartimento di Carlo Gaudio, fratello di Eugenio, il proprio figliolo cardiochirurgo, Giacomo, che se pure fosse il nuovo Valdoni si porta addosso lo stigma dell’aiutino. Per non far preferenze, nel dipartimento di Eugenio si può trovare poi anche la figliola di Luigi il Magnifico, Paola, a Medicina legale. Gaudio ha a sua volta il figlio che fa dottorato di ricerca a Ingegneria (ma sono decine i rampolli di professori con dottorato in ateneo). Ovvio che con tanti intrecci familiari Frati abbia a cuore il destino del fido amico. Nonostante ciò si narra che lo punzecchi di tanto in tanto: «Eugenio caro, mica vorrai diventare rettore al primo colpo? Persino io ho dovuto fare il prorettore di Guarini, prima».
Nei corridoi si fanno calcoli frenetici. Catarci porta di suo tra i 350 e i 550 voti, Gaudio ne ha un pacchetto di 1.200 (Medicina da sola conta un terzo dell’università). Bella somma, ma si sussurra che i due non si sopportino, al ballottaggio del quarto scrutinio si tratta, e tutto può succedere. La Zarina storce la bocca: «Gaudio e io? Rapporti istituzionali. Sua prorettrice, io? Corro per vincere». Sa di cosa parla. Frati potrebbe assegnarle la guida del tandem. Chiedergli conferma è difficile, il rettore non risponde a quattro telefonate. Ha rischiato l’arresto per difendere dai poliziotti un romeno che volantinava all’università. Gesto generoso, non fosse che i volantini, anonimi, diffamavano uno dei sei candidati alla sua successione. «Su questo non le dirò una parola, si getta fango sulla Sapienza», tronca il diffamato, Giancarlo Ruocco, ex capodipartimento di Fisica e prorettore, 500 o 600 voti di dote. L’accusano di avere avallato tutte le scelte di Frati. «Ha fatto un buon lavoro. Ritengo mi abbia chiamato per le mie competenze, non per politica, io gli ero contro». Ma Frati include, no? «Devo riconoscergli grande apertura mentale». La sua avventura con l’Istituto italiano di tecnologia, 20 milioni di finanziamento per cinque anni di ricerche biomediche, può aver aumentato la stima del rettore ma certamente gli avrà procurato molte invidie, riflesse nel volantino. «Si presenta la cosa come uno scambio, e non è vero. Due volte gli ho scritto lettere di dimissioni da prorettore e lui ha sempre cambiato rotta».
Con 500 o 600 voti di partenza, la sorpresa può essere Andrea Lenzi, endocrinologo, da otto anni presidente del Consiglio universitario nazionale: «Ho lavorato con cinque ministri. Se nessuno ha ritenuto di investire su ricerca e innovazione, la colpa non è solo degli altri che son cattivi. È anche di chi non dà un’immagine adeguata della Sapienza. Frati è stato il mio preside. Poi, quando è stato eletto rettore, mi sono dimesso da cinque cariche. Non volevo essere ancillare». Lenzi è più politico, il Cun dà peso. Ha una figlia ricercatrice di Storia all’università dei Legionari di Cristo, ha subìto duri attacchi: forse sopra le righe rispetto all’incarico della ragazza. «L’ho scritto pure sul profilo Wikipedia, di mia figlia».
Qui Luigi il Magnifico ha mutato anime e cattedre. Roberto Nicolai, candidato delle facoltà umanistiche, parla di «questione etica». La caccia al parente è sacrosanta ma a tratti parossistica (la Catarci ha il marito in facoltà, ma si sono conosciuti lì da ragazzi). Quasi tutti i candidati declamano sulle sorti del Paese e sussurrano sulle magagne dei rivali. «Io mi sono dimessa da prorettrice. Qualcuno fa il prorettore di lotta e di governo», dice la Zarina alludendo a Ruocco. Lei, presidente di InfoSapienza, siede per delega di Frati anche nel consiglio d’amministrazione di Cineca, consorzio che fornisce servizi all’università e ne valuta le ricerche. Inopportuno? «Certamente no!». «Se divento rettore questa cosa finisce», tuona invece Renato Masiani, 350 o 400 voti possibili, ingegnere e preside di Architettura. InfoSapienza era cosa sua. «Poi Frati decise diversamente, e arrivò Tiziana». Fatto fuori? Replica gelida: «Renato era tutti i lunedì alle riunioni del governo dell’ateneo. Magari era distratto. Vuole la verità? Sono la prima candidata rettrice in settecento anni di Sapienza: e do fastidio». In effetti colleghi (e colleghe) non le risparmiano nessuno dei luoghi comuni su una donna di potere che ostenta il tacco dodici. Ma è la Sapienza di Frati, miseria e nobiltà: in bilico tra la bolla papale da cui nacque e una pagina web di Dagospia.
Goffredo Buccini
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