giovedì 25 settembre 2014

GLI EDITORIALISTI DI STAMPA E CORRIERE CON RENZI CONTRO L'ART. 18. MA SI TEME PER LE COPERTURE



Non so cosa scrivono su Repubblica intorno alla questione dell'articolo 18, ma sicuramente Stampa e Corriere sono saldamente sul fronte riformista, con tanto di abbattimento del totem. 
Elisabetta Gualmini, editorialista del primo quotidiano, scrive : " L' Italia non riesce a fare cose per i giovani. È un paese vecchio, fatto per i vecchi, e si compiace di esserlo. Il surreale dibattito sull’articolo 18 che si presenta puntuale ad ogni cambio di governo ne è l’ennesima dimostrazione.
Sì certo, l’articolo 18 è già stato modificato due anni fa, e non saranno né la sua conservazione né il suo superamento (da soli) a spingere magicamente verso l’alto il tasso di occupazione italiano. Ma se la sua rimodulazione avviene dentro a una più ampia ipotesi di riforma che aumenti le probabilità di nuove assunzioni e ampli le tutele per la galassia da anni in espansione dei lavoratori precari, in gran parte giovani, non ci si può limitare a dire che i problemi sono «ben altri» o storcere il naso. Non si capisce perché dovremmo appassionarci vedendo erigere le solite barricate, da parte di chi protegge i già protetti."
Non da meno Polito nell'articolo che segue.
Entrambi, giustamente, si pongono e fanno domande sulle coperture.

IL LUOGO DEL DELITTO
di Antonio Polito



 Da molto tempo la sinistra italiana non contava così tanto. Dipende infatti dallo scontro che si sta consumando al suo interno, a metà tra uno psicodramma e un regolamento di conti, la credibilità del percorso di riforme promesso dall’Italia all’Europa. In una tragica coazione a ripetersi, è dunque tornata sul luogo del delitto: metaforicamente, perché l’articolo 18 la dilania da più di un decennio; ma anche letteralmente perché, è meglio non dimenticarlo, le ultime vittime delle Brigate Rosse sono stati due giuslavoristi di sinistra, ammazzati per aver osato discutere lo Statuto dei lavoratori.
Di questa lotta il Pd è l’arena. Forse anche perché ormai è l’unico partito, o il partito unico, rimasto sulla scena (gli altri fanno la figura delle correnti interne, con Berlusconi che si offre a Renzi e Grillo a Bersani). Come accadde nel New Labour di Blair, quando l’anacronistica «clausola 4» dello Statuto fu il pretesto per la resa dei conti tra il nuovo leader e la vecchia guardia; così ora un residuo del passato come l’«articolo 18» è diventato la prova del fuoco per Renzi.
In realtà il nostro mercato del lavoro è ingiusto, inefficiente, balcanizzato. È da quel dì che va riformato. Forse è perfino troppo tardi. Ha dunque ragione il premier a volerlo fare. Ed è davvero inimmaginabile che lo si possa fare lasciando in piedi l’articolo 18. Purtroppo però la discussione non è stata messa sui binari giusti, in ossequio alla moda del momento che preferisce l’annuncio all’esito. Intanto si litiga intorno a una delega di cui non si conosce ancora il contenuto. Non lo conosce neanche il ministro del Lavoro Poletti: interrogato in materia, ha risposto di chiedere a Renzi. Lo scambio diritti-ammortizzatori che dovrebbe risarcire i futuri occupati viene presentato con troppa superficialità: il ministro Madia assicurava ieri che «tutti avranno quello che avevano o di più». Siccome si tratta di molti soldi, è lecito sospettare che finisca come con il contratto degli statali, prima promesso e poi sparito. Né aiuta il fatto che lo stesso Renzi appena qualche mese fa, nella campagna per le primarie, abbia più volte affermato che dell’«articolo 18 non frega niente a nessuno», illudendo gli iscritti al Pd di poter evitare anche stavolta il problema, e privandosi così di un mandato chiaro.
Di doppiezze è piena la storia della sinistra italiana. Basti pensare a quegli esponenti della minoranza del Pd che nemmeno due anni fa hanno votato il pareggio di bilancio in Costituzione e ora si mobilitano per abrogarlo. Ma stavolta a Renzi non basta la prova di forza come ha fatto col Senato, magari con un voto di fiducia o addirittura con un soccorso azzurro. Stavolta deve vincere e convincere la sua parte, per non uscirne azzoppato. Come avrebbe detto Togliatti, uno che di doppiezza se ne intendeva, «hic Rhodus hic salta».

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