giovedì 9 ottobre 2014

TRIBUNALE DI ROMA : DE MAGISTRIS SPIAVA I PARLAMENTARI A PRESCINDERE...



Avendo disistima totale per De Magistris ( http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2014/10/prima-di-why-not-tutti-gli-assolti-di.html ;  http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2014/09/de-magistris-da-forcaiolo-garantista-di.html )  registro con soddisfazione le durissime parole contro di lui contenute nelle motivazioni della sentenza emessa dal Trunale di Roma. Le trovate di seguito evidenziate nell'articolo della Sarzanini (Corsera).
Ma la soddisfazione umana e personalissima non supera il dubbio : vabbè, si era capita la convinzione dei giudici (che è anche la mia, che conta come il due di coppe con briscola spade) che Giggino facesse carne di porco della legge, con l'intento di spiare uomini di governo e dintorni, meno chiara, nella sintesi della giornalista, è la prova da cui deriva questo convincimento. E, sempre in base all'articolo, una prova vera e propria NON c'è. Si ricava dall'insieme. 
Peccato, speravo nella "pistola fumante", ma a quanto pare, è merce sempre più rara nei nostri processi.


Il Corriere della Sera - Digital Edition


«De Magistris indagava per fini privati»
Le motivazioni della condanna: da pm usò metodi illegali per
intercettare i parlamentari L’ex sindaco di Napoli sospeso dal
 prefetto attacca: è una sentenza ingiusta che viola la legge



ROMA Nell’inchiesta «Why not» condotta dall’allora pubblico ministero Luigi de Magistris «risulta che il fine principale perseguito non fosse la ricerca della prova, bensì l’uso strumentale delle tecniche d’indagine telefonica in danno dei parlamentari e a fini privati, d’inserimento nel cosiddetto “archivio Genchi” e d’ulteriore trattamento non autorizzato». È questo il motivo principale che ha convinto i giudici del tribunale di Roma a condannare lo stesso de Magistris e il consulente Gioacchino Genchi a un anno e tre mesi di reclusione per abuso d’ufficio. E così aprire la strada alla sospensione dalla carica di sindaco di Napoli poi sancita dal prefetto.
Le 97 pagine con le quali il collegio ricostruisce il processo terminato il 24 settembre scorso sono un durissimo atto d’accusa per i metodi utilizzati nelle indagini svolte quando era in servizio presso la Procura di Catanzaro. Lui reagisce in maniera altrettanto forte: «È una sentenza ingiusta, intrisa di violazioni di legge a iniziare dalla competenza».
Nell’elenco delle parti civili ci sono numerosi politici: Sandro Gozi, Romano Prodi, Clemente Mastella, Antonio Gentile, Francesco Rutelli e Giancarlo Pittelli. Secondo il tribunale «i due imputati hanno perseguito pervicacemente l’obiettivo immediato e finale di realizzare la conoscibilità dei dati di traffico dei parlamentari, non chiedendo l’autorizzazione alla Camera di appartenenza pur di acquisire con urgenza i tabulati, viene desunta non da meri sospetti e illazioni, ma proviene da un contesto univoco, comprovante l’intesa raggiunta e la messa in atto di una violazione comune e consapevole delle disposizioni di legge».
I giudici sono dunque convinti che de Magistris sapesse a chi appartenevano i numeri di telefono sui quali aveva deciso di svolgere accertamenti. E per sostenerlo citano l’interrogatorio dello stesso ex pm che aveva spiegato come la sua idea fosse che «l’analisi dei tabulati dovesse andare di pari passo con l’analisi dei flussi economico-finanziari». Per questo ritengono che «la lettura complessiva dell’intero compendio probatorio dimostra come gli elementi a carico sono dotati di tale certezza e intrinseca valenza indicativa da perdere l’ambiguità che avrebbero se isolatamente considerati».
Ai due imputati il collegio attribuisce ruoli diversi ma complementari: «Il pm era dominus delle indagini in assoluta autonomia quanto a scelte investigative, puntualità delle deleghe, strategie da perseguire; il consulente come massimo esperto informatico creatore di un sistema operativo di indubbia efficienza e decisività, accreditata ancor prima dalle esperienze professionali note, di spiccato intuito investigativo».
La conclusione è lapidaria: «Era in corso un preordinato disegno di eludere le prerogative costituzionali, di realizzare l’evento del reato senza curarsi dell’inutilizzabilità processuale dei dati di traffico illegittimamente acquisiti pur di arrivare a conoscerli».
Fiorenza Sarzanini

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