domenica 30 novembre 2014

GIOVANNI CANZIO E IL GARANTISMO "EFFICIENTISTA" DI UN MAGISTRATO DIVERSO (E BRAVO)



Non so se Il Garantista avrà lunga vita. E' appena nato, e la mission che si è dato, espressa nel titolo, è nobile ed ardua. Sicuramente il Camerlengo è tra quelli che gliela augurano e che, nel suo piccolo, cercherà di favorirne la diffusione e quindi la sopravvivenza.
Ecco quindi il servizio di ieri, scritto dall'eccellente Errico Novi (altro che Ferrarella, Sarzanini e Bianconi, il "magico" trio che affligge la cronaca giudiziaria del Corsera ) sul convegno organizzato dall'Unione Camere Penali, avente come tema il futuro del processo penale d'appello, e che ha avuto due ospiti-relatori d'eccezione : il procuratore Sabelli (presidente della per me trista associazione magistrati) e il Presidente Canzio. 
Lo riporto tutto, perdonerete se in rilievo però c'è il pensiero del Giudice e non quello del PM (che comunque potete leggere).  
Le parole del Presidente della Corte d'Appello di Milano non vanno dimenticate, ma immagazzinate bene nella memoria, e conservate anche da qualche parte, per rileggerle e rinfrescarsi l'opportuno ricordo.


Il Garantista

Processo d’appello addio, la giustizia sarà più ingiusta

a. Riforma processo penale


Come spesso accade, anche per la riforma del processo tutto sembra immobile per anni finché tutto sembra dover succedere nello stesso istante. I progetti di riforma del ministro della Giustizia Andrea Orlando si incrociano con il precipitare di alcuni fatti di cronaca giudiziaria, a cominciare dalla sentenza del processo Eternit. Ne viene fuori un’improvvisa e inedita attenzione dell’opinione pubblica per aspetti molto tecnici dell’ordinamento, qual è l’istituto della prescrizione.
Con un notevole tempismo, l’Unione camere penali a sua volta organizza un convegno su “Quale futuro per il processo d’Appello”. Nel corso della mattinata si avvicendano sul palco della Residenza di Ripetta a Roma alcuni esponenti di primo piano dell’avvocatura penale. Nel pomeriggio incrociano i fioretti due figure centrali nel dibattito: da una parte il presidente dell’Associazione nazionale magistrati Rodolfo Sabelli, dall’altra il presidente della Corte d’Appello di Milano Giovanni Canzio. Con il primo che si lamenta della scarsa incisività delle misure ipotizzate dal governo, e il secondo che denuncia i contrasti tra le proposte della commissione ministeriale da lui stesso presieduta e quelle della commissione Gratteri.
Due visioni non proprio affini dal punto di vista culturale, tra le quali si propone come moderatore l’avvocato Giovanni Flora. Componente della giunta dell’Unione camere penali. Ecco una sintesi dei loro interventi.
GIOVANNI FLORA: Secondo alcune posizioni che anche nel confronto parlamentare si fanno strada, abolire l’appello sarebbe l’unico modo per rispettare quei tempi del processo che l’Europa ci impone. Non capisco questa logica: se l’obiettivo è far durare meno i processi, l’uomo della strada direbbe “che senso ha, io non lo capisco”. Dov’è che i processi si allungano? Nelle indagini preliminari. Anche le ultime statistiche, diffuse da questa mattina dal viceministro Costa, ci dicono che il 60-70 per cento delle prescrizioni matura nel corso delle indagini preliminari. Bisognerebbe cominciare da lì per dare al processo un impulso sulla ragionevole durata che sarebbe un impulso per evitare l’impunità ma anche per tutelare la vittima del reato. Arrivare a sentenza in tempi brevi è l’unico modo per avere la certezza della pena. La prima domanda è perché si deve cominciare proprio dal giudizio di Appello, per garantire la ragionevole durata?
RODOLFO SABELLI: Ragionevole durata, prescrizione e appello sono tre temi legati tra loro. Ma affrontare il tema della ragionevole durata operando sulla riforma della prescrizione o dell’Appello, è un approccio scorretto. Si discute in effettui anche di abolizione dell’Appello. Noi in ambito associativo non abbiamo ancora elaborato un’idea definita sulla riforma impugnazioni, ma ad alcuni punti ci siamo arrivati. Di sicuro le riforme nel campo della giustizia non possono ispirarsi a criteri economicistici. Non è che si decide di escludere la reformatio in pejus, il grado di Appello o di modificare alcuni aspetti del processo civile solo perché così la è giustizia più veloce e si produce di più. La giustizia deve garantire dei diritti, e in vista di questo non si possono operare compromessi in nome della produzione. Ciò detto, io non sono contrario a modifica dell’Appello. Su questo ho un’idea diversa da altre pure diffuse.
Si deve muovere da quella che dovrebbe essere la natura dell’Appello, in questo processo che è di tipo accusatorio ed è dunque cambiato rispetto a quello inquisitorio. Ma c’è l’errore culturale di valutare ogni momento processuale intermedio come una fase di arresto che si oppone a fase successiva. Invece dovrebbe si dovrebbe concepire l’intero procedimento come dialogo dei giudici, fra i giudici con le parti, che giunge fino a conclusione, che è la sentenza definitiva. Dopodiché, si deve scegliere tra le due visioni dell’Appello: rinnovazione del processo, conoscere per riaccertare i fatti, o verifica di quello che è accaduto nel grado precedente? Forse è una semplificazione eccessiva che però può essere utile. La Cassazione ha affermato la necessità, per esempio, che nel secondo grado si proceda alla nuova acquisizione della prova testimoniale qualora venga messa in dubbio l’attendibilità del testimone. Il tema della riforma dell’Appello è tra quelli all’attenzione del governo.Circolano bozze informali. E devo dire, si tratta di interventi molto limitati e poco soddisfacenti. Si riducono nel trasformare in diritto positivo il tema della rivalutazione delle prove.. Sarebbe auspicabile ndare nel senso di una maggiore definizione dei motivi di Appello. Ci sono casi di inammissibilità formale, nella bozza del governo, ma niente altro.
GIOVANNI FLORA A questo punto avrei la tentazione di aggiungere una provocazione alla domanda che ho fatto al dottor Sabelli. Sono d’accordo sul fatto che il processo, dalla fase delle indagini al giudicato, va valutato nel suo complesso. Ecco, ma se vale la presunzione di non colpevolezza, una volta che il giudizio di primo grado si conclude con l’assoluzione, vuol dire che la possibilità di condannare oltre ogni ragionevole dubbio non ha più ragione di essere, ma allora perché è deve essere contemplato l’Appello del pm?

GIOVANNI CANZIO Dobbiamo partire da un limite della riforma del processo penale, datata 24 ottobre 1989: non aver fatto la riforma delle impugnazioni. Con questo obiettivo si sono messe al lavoro la commissione Riccio nel 2007 e quella da me presieduta l’anno scorso, che ha avuto Giorgio Spangher come vicepresidente. Si è cercato di ridare un assetto ordinato a un sistema sgangherato che avevamo tutti davanti agli occhi. Nel caso della nostra commissione si era pervenuti a un articolato, non a una semplice relazione. Il nostro testo è stato in parte recepito nella bozza governativa, in parte è stato contrastato da un’altra commissione ministeriale, che si è insediata alla presidenza del Consiglio, e che a volte sembra manifestarsi quasi come un’espressione del Csm. Non voglio occuparmi specificamente di questo “contrasto”, ma a me sembra che così poi si rischi di non far venire alla luce progetti articolati. D’altra parte non portare a compimento il lavoro che abbiamo condotto l’anno scorso sarebbe un’occasione sprecata per il Paese. Le cronache giudiziarie dicono che questo convegno è una scelta indovinata: dalla sentenza d’Appello sul caso Cucchi a quella, nel suo piccolo, della Corte d’Appello di Milano su Berlusconi, fino al proscioglimento per intervenuta prescrizione sul caso Eternit. Non possiamo ignorare i fatti di cronaca.
Noi verifichiamo lo scarto della postmodernità tra i tempi delle indagini preliminari, e le aspettative dell’opinione pubblica. Nella fase delle indagini, con la formulazione delle ipotesi di accusa, si crea un pregiudizio mediatico. Che poi fa i conti con i tempi troppo lunghi e incerti della verifica dell’accusa. Se non riusciamo a rovesciare questa contraddizione ci troveremo in una morsa. Che è la morsa tra il diritto e la giustizia. Tra la giustizia formatasi nella mente dei cittadini e la verifica dell’ipotesi accusatoria, cioè il diritto.
Dobbiamo costruire le basi di un processo penale  moderno, che riesca a coniugare da una parte le garanzie di durata ragionevole e dall’altra le aspettative della società di conoscere i fatti, persino le ansie sicuritarie. Oggi lo scarto tra processo mediatico e penale sta creando fratture gravi. L’accusa apre un dialogo tra con la stampa e la cosiddetta ”gente”.
Fino a che il pm, anziché intessere il dialogo con i protagonisti del processo e lo fa con i media e con la gente, si allargherà sempre di più un nucleo opaco. Non si può approfittare della lunghezza delle indagini preliminari e dell’ipotesi di accusa che si incista nella pubblica opinione.  E poi di fronte a una valutazione tardiva – e magari anche errata, perché no – muoversi sul terreno di quello che io definisco populismo giudiziario. 
Bisogna respingere l’ipotesi della separazione delle carriere? Bene allora, dobbiamo avere il coraggio di battere e sconfiggere queste posizioni, altrimenti sarà ineludibile la sorte dei rapporti tra pubblici ministeri e giudici.
Ora vi dico che cosa ha combinato questa commissione che ho presieduto l’anno scorso. Abbiamo individuato le linee urgenti e alcuni punti fermi. Il primo di questi è preservare il doppio grado di giurisdizione. La Costituzione implicitamente ci dice che si pretende una sentenza con motivazione obbligata, e che questa riguardi il fatto e il diritto. Ma questo fatto chi lo controlla, se la Cassazione finisce per occuparsi solo delle violazioni di legge? Ci sarebbe anche un’altra strada: un sistema all’americana, che si ferma al primo grado. Ma è una scelta di fondo, e noi non siamo americani, abbiamo la nostra storia, cerchiamo di fare i conto con i principi e quello che siamo. Tra le proposte di modifica che abbiamo definito con Spangher c’è il ritorno in Appello per le archiviazioni e le sentenze di non luogo a procedere: che c’entra Cassazione? In questi casi si deve andare in Corte d’Appello. E poi attenzione, abbiamo tipizzato non i motivi d’appello ma la motivazione della sentenza di primo grado. Abbiamo ripristinato il concordato della pena in Appello. E’ richiesto da tutti gli avvocati. Vanno fissati dei criteri direttivi per tutti i procuratori generali. Poi abbiamo recuperato i principi della Convenzione europea sulla rinnovazione in Appello: come si fa a rivalutare la prova dichiarativa senza riassumere prova dichiarativa in secondo grado?
E di fronte a un caso di sentenza ”doppia conforme” di proscioglimento o assolutoria, bisogna limitare il ricorso del pubblico ministero ai casi di violazione di legge. Perché quel fatto è stato accertato, l’accusa non può andare in Cassazione in punto di ricostruzione probatoria del fatto. Lì è in gioco la presunzione di innocenza dell’imputato. Due sentenze che hanno assolto l’imputato nel merito non possono essere equiparate a due sentenze che hanno condannato oltre ogni ragionevole dubbio. La presunzione d’innocenza deve valere anche in Cassazione. Insomma, abbiamo cercato di ripristinare l’efficienza del processo penale: senza togliere una sola garanzia all’imputato, ma solo di rendere più celere il processo, con interventi sui patteggiamenti o su quelle inammissibilità delle impugnative che possono essere valutate de plano. Abbiamo cercato di mettere insieme quello che abbiamo chiamato il garantismo efficientista.

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