Amara, anche un po' sconfortante, ma rigorosa, come sempre, appare l'analisi dei dati da parte del professore Luca Ricolfi, su La Stampa. Nel leggere i suoi articoli mi viene da pensare a volte : ma s'incontrano mai i genuflessi del Premier (a La Stampa sono numerosi, Gualmini, Geremicca e Sorgi su tutti ) con il docente dell'Università di Torino ? Direi di no, e manco leggono il loro giornale, a questo punto. Certo, non tutto.
Il tema odierno è la disoccupazione, che studiando i numeri non è mai stata così alta nella storia d'Italia.
Ieri Davide Giacalone rilevava che quel 13,2% di ottobre 2014 non è il solo dato drammatico. Ce n'è un altro, forse addirittura peggiore. In Italia, tenuto conto dei pensionati, quelli che più o meno (si pensi alle migliaia e migliaia di baby pensioni gravanti sulla spesa previdenziale) legittimamente hanno smesso di lavorare, a mandare avanti la baracca, per così dire, c'è un italiano su tre... Se consideriamo poi che di questo terzo, non tutti svolgono lavori veramente "produttivi", si capisce ancora meglio perché il nosto paese langue.
Sacrosanto il sarcasmo polemico per la manipolazione dei numeri penosamente tentata da chi, per cercare di camuffare i dati cupi sul tavolo, s'inventa letture alternative, come il fatto che la disoccupazione aumenta "solo perché c'è più gente che cerca lavoro"...
Ma si può ?
Da leggere
Disoccupazione mai così alta nella storia d’Italia
La serie storica dell’Istat si ferma al 1977, ma guardando i dati
del collocamento e i vecchi censimenti si scopre che nella crisi del
1929 e nel 1861 il tasso era inferiore
Crescono in tutta Italia proteste e scioperi contro il precariato e la disoccupazione
È incredibile, la capacità dei governanti di manipolare i fatti pur di non dirci come vanno le cose. Negli ultimi giorni l’Istat ha fornito i dati sulle forze di lavoro nel terzo trimestre, e ha anticipato i dati provvisori di ottobre. Dati drammatici, ad avere il coraggio di guardarli in faccia. E invece no, immediatamente dopo la diffusione delle cifre Istat si è scatenata la corsa a travisarli. E’ così che abbiamo appreso che i dati trimestrali dell’Istat ci presentano «una sostanziale e progressiva crescita degli occupati nell’ultimo anno», quantificata in 122 mila occupati in più. E che anche l’incremento della disoccupazione, pari a 166 mila disoccupati in più, non ci deve preoccupare perché «va messo in relazione alla crescita del numero di persone che cercano lavoro». Come dire: se aumenta il tasso di disoccupazione è perché la gente è meno scoraggiata e «più persone tornano a cercare lavoro».
Sui trucchi usati per manipolare i fatti non vale neppure la pena soffermarsi, tanto sono ingenui e vecchi (alcuni li insegniamo all’università, sotto il titolo «come si fa una cattiva ricerca»). Sui fatti, invece, è il caso di riflettere un po’.
Occupati in termini reali
Primo fatto: l’occupazione in termini reali sta diminuendo. Che cos’è l’occupazione in termini reali? E’ la quantità di occupati al netto della cassa integrazione. Se, per evitare le distorsioni della stagionalità, confrontiamo l’ultimo dato disponibile (ottobre 2014) con quello di 12 mesi prima (ottobre 2013), la situazione è questa: gli occupati nominali (comprensivi dei cassintegrati) sono rimasti praticamente invariati (l’Istat fornisce una diminuzione di 1000 unità), le ore di cassa integrazione sono aumentate in una misura che corrisponde a circa 140 mila posti di lavoro bruciati. Dunque negli ultimi 12 mesi l’occupazione reale è diminuita.
Apparentemente la diminuzione è di circa 140 mila unità, ma si tratta di una valutazione ancora eccessivamente ottimistica: gli ultimi dati Istat, relativi al terzo trimestre 2014, mostrano che, sul totale degli occupati, si stanno riducendo sia la quota di lavoratori a tempo pieno sia la quota di lavoratori italiani. Il che, tradotto in termini concreti, significa che aumentano sia il peso dei posti di lavoro part-time «involontari» (donne che lavorano poche ore, ma non per scelta) sia il peso dei posti di lavoro di bassa qualità, tipicamente destinati agli immigrati.
I senza lavoro
Secondo fatto: la disoccupazione sta aumentando. I disoccupati erano 3 milioni e 124 mila nell’ottobre del 2013, sono saliti a 3 milioni e 410 mila nell’ottobre del 2014. L’aumento è di ben 286 mila unità, di cui 130 mila nei 4 mesi del governo Letta, e 156 mila negli 8 mesi del governo Renzi. La spiegazione secondo cui l’aumento sarebbe dovuto a una maggiore fiducia, che farebbe diminuire il numero di lavoratori scoraggiati, riprende una vecchia teoria degli Anni 60 ma è incompatibile con i meccanismi attuali del mercato del lavoro italiano, che mostrano con molta nitidezza precisamente quel che suggerisce il senso comune: gli aumenti di disoccupazione dipendono dal peggioramento, e non dal miglioramento, delle condizioni del mercato del lavoro.
Sulla disoccupazione, tuttavia, ci sarebbe qualcosa da aggiungere. In questi giorni sentiamo ripetere, dai giornali e dalle tv, che il tasso di disoccupazione non solo è ulteriormente aumentato rispetto a 12 mesi fa (1 punto in più), non solo è molto alto in assoluto (13,2%), non solo è fra i più alti dell’Eurozona, ma sarebbe anche il più alto degli ultimi 37 anni, ossia dal 1977.
I dati del 1977
Ebbene, anche questa, già di per sé una notizia drammatica, detta così è ancora troppo ottimistica. Se dici che siamo al massimo storico dal 1977, o che «siamo tornati al 1977», qualcuno potrebbe supporre che nel 1977 il tasso di disoccupazione italiano fosse più alto di oggi, o perlomeno fosse altrettanto alto.
Non è così. Nel 1977 il tasso di disoccupazione era molto minore rispetto ad oggi (7,2% contro 13,2%). La ragione per cui si continua a parlare del 1977 come una sorta di spartiacque è che la serie storica dell’Istat con cui attualmente lavoriamo parte dal 1977. Ma questo non significa che sugli anni prima del 1977 non si sappia niente. Prima del 1977 c’era la vecchia serie 1959-1976. E prima ancora c’erano i dati del collocamento, della Cassa nazionale per le assicurazioni sociali, dei censimenti demografici, a partire da quello del 1861, anno dell’unità d’Italia. Tutte fonti meno sofisticate di quelle di oggi, ma sufficienti a darci un’idea degli ordini di grandezza. Mi sono preso la briga di controllare queste fonti, nonché i notevoli lavori che sono stati pubblicati sui livelli di disoccupazione dal 1861 a oggi e la conclusione è tragica.
Unità d’Italia e dopoguerra
Mai, nella storia d’Italia, il tasso di disoccupazione è stato ai livelli di oggi. Altroché 1977. La disoccupazione era più bassa di oggi anche nel periodo 1959-1976, per cui abbiamo una serie storica Istat. Era più bassa anche negli anni della ricostruzione, dal 1946 al 1958. Ed era più bassa durante il fascismo, persino negli anni dopo la crisi del 1929. Quanto al periodo che va dall’unità d’Italia all’epoca giolittiana, è difficile fare paragoni con l’oggi, se non altro perché è proprio allora che prende lentamente forma il concetto moderno di disoccupazione, ma basta un’occhiata ai censimenti e agli studi che li hanno analizzati (splendidi quelli di Manfredi Alberti, borsista Istat) per rendersi conto che, comunque si definisca il fenomeno, siamo sempre abbondantemente al di sotto dei livelli attuali.
Il governo Renzi
Di tutto questo Renzi e i suoi non hanno nessunissima colpa. Il legno storto del mercato del lavoro non si raddrizza in pochi mesi, e forse neppure in parecchi anni. Quel che dispiace, però, è che anche le nostre giovani marmotte, giunte al potere, si arrampichino sugli specchi come tutti gli anziani paperi che le hanno precedute. Come cittadino, preferirei un governo che, sull’occupazione e la disoccupazione, ci dicesse la verità, e mostrasse con i fatti, non con le parole, di aver capito il dramma del lavoro in Italia. Quel che vedo, invece, è un ceto politico che irride i sindacati, si è mostrato del tutto inadeguato sul progetto europeo «Garanzia giovani», stanzia pochissimi soldi per ridurre il costo del lavoro (1,9 miliardi nel 2015), mentre ne stanzia tantissimi sul bonus da 80 euro, misura meravigliosa ma che premia solo chi un lavoro già ce l’ha.
Il guaio, purtroppo, è sempre quello. In Italia la sinistra, oggi come ieri, protegge innanzitutto i lavoratori già garantiti. La destra ha da sempre un occhio di riguardo per i lavoratori autonomi. Quanto a tutti gli altri, precari, lavoratori in nero, giovani e donne fuori dal mercato del lavoro, nessuno se ne preoccupa sul serio, e meno che mai i sindacati. Fino a quando?
ottimo rapporto da spiegare ai nostri politici.
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