domenica 30 novembre 2014

ORSINA : GRILLISMO IN CRISI, QUALE FUTURO PER IL CENTRO DESTRA IN UN SISTEMA BIPOLARE



Il "Partito della Nazione", quello attribuito alle velleità future di Renzi, una formazione progressista senza i radicalismi e conservatorismi nostalgici della sinistra ortodossa, potrebbe dominare il panorama nazionale per molto tempo, non tanto per intrinseca forza propria, che non s'intravede nel momento in cui la maggioranza degli elettori diserta le urne, (il che in Italia non è segno di "modernizzazione", quanto di disaffezione ostile, che per ora trova espressione nell'astensione, domani chissà), ma per debolezza assoluta delle controparti.
Gli ortotteri sono allo sbando. Alle elezioni regionali o non si presentano, o prendono pochi voti. Tra Grillo e i "delegati" in Parlamento circola sempre un'aria tesa, fino all'espulsione di qualcuno, quando la stessa non è anticipata da più dignitose dimissioni. Il voto di protesta di destra, che ha rappresentato un buon terzo del bottino grillino nel 2013, è ormai perso. Ora, del caso, c'è Salvini. E per i sedotti dall'antisindacalismo di Beppe,   Renzi ha un appeal ben superiore, con tutti gli anatemi che gli lanciano  Camusso e Landini !
Forza Italia, non ne parliamo nemmeno. Lo zoccolo duro berlusconiano è eroso continuamente, e il 15% dei sondaggisti sembra addirittura eccessivo rispetto al voto vero, come quello delle ultime due elezioni in Emilia e Calabria . Del resto, Berlusconi, a prescindere dalla sue traversie giudiziarie (ora le acque si stanno calmando, c'entrerà qualcosa la sua marginalizzazione politica ? ), ha 79 anni, è sulle barricate dal 1994, 21 anni... Insomma, non esattamente un uomo "nuovo", che possa contrastare il giovane prodigio che domina la scena nazionale.
Gli attuali alleati di governo sanno bene che esisteranno fino alle nuove elezioni, poi spariranno, in un modo o nell'altro. 
In tutto questo, resta che la narrazione di "sinistra" continua a non essere maggioritaria tra noi italiani, come dimostra il fatto che così tanta gente, non trovando chi la rappresenti nelle sue idee moderate e/o liberali, si astiene, non vota Renzi. Certo, ora questo fenomeno inizia a caratterizzare anche quelli a gauche, ché sono tanti quelli che proprio Renzi non riescono a digerirlo come uomo di sinistra, e il loro punto di vista si può ben capire, fermi come sono con l'orologio ai "Mitici" anni '70. 
Giovanni Orsina, storico e da un po' opinionista sulle pagine de La Stampa, prova a immaginare il futuro della destra e del centro conservatore (in senso british) italiano, e propone un'analisi interessante che potete leggere di seguito.

La necessità di una destra normale

 
 
Per chi ritiene che prima la politica italiana ritrova un assetto bipolare, meglio è, questa è stata una buona settimana. Buona perché la crisi del grillismo lascia cautamente sperare che il «terzo incomodo», rivelatosi quanto mai sterile, sia destinato a ridimensionarsi.
 
E buona perché, sulla spinta delle regionali, l’encefalogramma dell’emisfero politico destro, rimasto per mesi piatto o quasi, ha cominciato a dare qualche pallido segnale. Questo lascia molto (davvero molto) timidamente sperare che Renzi non rimanga privo di opposizione fino al 2023. E magari che certe esigenze di destra che vanno montando in Italia, così come in tante altre terre d’Europa, possano essere affrontate con realismo e civiltà, e non finire rinchiuse in un circolo vizioso di estremismo e violenza. 
«Inventato» ad Arcore, il centro destra è sempre stato Berlusconi-dipendente. Di politica al suo interno se n’è fatta pochina: la politica la faceva per tutti il Presidente. Gli eventi di questa settimana – l’affermazione della Lega, la fronda in Forza Italia – rendono legittima una domanda: che sia infine giunta l’ora? L’ora nella quale l’indebolirsi del Cavaliere e l’affermarsi di concorrenti politicamente autonomi proiettano il centro destra nell’età del post-berlusconismo? Perché in fondo, seppure in maniera caotica, non si può dire che nel frattempo a destra non sia salita in scena una nuova leva. Certo, nessuno può nemmeno lontanamente sognarsi di veder spuntare, fra Alfano, Fitto, Meloni, Salvini, Tosi o Toti, l’uniforme del général de Gaulle o la borsetta di Mrs Thatcher. Però questi sono i tempi. E in questi tempi, questa è la generazione che dovrà giocarsi il futuro del centro destra. 

Bisognerà avere pazienza per vedere come evolverà questo gioco. Berlusconi, per altro, è celebre per la sua tenacia e capacità di reinventarsi – e i suoi interventi di questi giorni non sono affatto quelli d’un leader in uscita. Quel che possiamo fare oggi, perciò, piuttosto che azzardare esercizi divinatori, è fissare cinque passaggi cruciali per il futuro della destra. Al ragionamento poi – correndo il rischio di passare per ingenui – aggiungeremo qualche indicazione su come quei passaggi dovrebbero essere affrontati, se la destra la si volesse ricostruire con un minimo di serietà e nell’interesse del Paese. 

Il Nazareno, innanzitutto. Su questo Berlusconi ha sempre avuto ragione: è un’occasione storica per superare gli isterismi degli ultimi vent’anni; modificare l’indifendibile bicameralismo perfetto; scrivere una legge elettorale decente. Se però l’accordo si trasforma a destra in un’occasione di polemica costante; se il dialogo sulle regole viene inquinato dal conflitto politico; se una mattina il patto è confermato, la mattina dopo rimesso in discussione – allora degli eventuali benefici rimane ben poco, e l’esito stesso del processo riformistico è messo seriamente in dubbio. Da qui la domanda: è possibile che la cooperazione «costituzionale» con Renzi si trasformi per la destra in un disegno politico condiviso? Forse a certe condizioni sì. 
Certamente sarebbe auspicabile – per la destra, ma soprattutto per il Paese. 

L’elezione del prossimo Capo dello Stato, poi, che da tanti segnali appare non lontana. Inutile nasconderselo: data la balcanizzazione del Parlamento, visti i precedenti delle votazioni a scrutinio segreto, si preannuncia un caos inverosimile – una lotteria dalla quale potrebbe uscire qualsiasi numero. Come intendono muoversi in quell’occasione i partiti che stanno a destra del Pd? Intendono dare il loro bel contributo alla balcanizzazione, oppure convergere un minimo e trasformarsi in un elemento d’ordine? Fra l’altro, ne va della dignità delle istituzioni. 

Il terzo, quarto e quinto passaggio sono strettamente collegati fra di loro. Le forme organizzative, in primo luogo: Renzi sta cercando di fare del Partito democratico il partito egemone, possibilmente l’unico, nell’area che sta fra il centro e la sinistra. Chiunque intenda contrapporglisi mobilitando l’area che va dal centro alla destra deve almeno provare a imitare il suo esempio. Modelli alternativi – le giustapposizioni di pezzetti e pezzettini nelle quali Berlusconi era maestro – hanno largamente fatto il loro tempo. L’elaborazione culturale e programmatica, in secondo luogo. Tradizionalmente assai debole a destra, oggi è all’anno zero. E invece è particolarmente urgente, per due ragioni: l’abilità con la quale Renzi ha saputo impadronirsi di parole d’ordine che furono dello schieramento berlusconiano; la crescita prepotente della destra più radicale – tale da rendere una convergenza programmatica non impossibile, ma nemmeno semplicissima. La destra, infine, deve aprirsi a una dialettica interna libera e regolata. La competizione politica e le primarie sono l’unico strumento possibile non soltanto per arbitrare oggi fra le molte ambizioni degli aspiranti leader ma, in prospettiva, per selezionare i talenti politici del futuro. 

Un emisfero politico destro che si rimettesse a far politica in maniera costruttiva e lungimirante potrebbe rivendicare il merito di aver dato all’Italia, insieme al Pd, la riforma del Senato e del sistema elettorale. Potrebbe svolgere un ruolo di rilievo nell’elezione del prossimo presidente della Repubblica. Potrebbe proporsi come un’alternativa reale a Renzi, all’interno di un sistema bipolare meno rissoso e sconclusionato di quello degli anni 1994-2011. Potrebbe perfino sognare di presentarsi in Europa come un modello di collaborazione fra destra e centro destra. Un emisfero politico destro che proseguisse lungo la linea che ha seguito finora contribuirebbe invece a far sprofondare l’Italia in una palude neotrasformistica. E meriterebbe senz’altro di annegarci anch’esso.

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