sabato 29 novembre 2014

PERCHE' STO CON LA KOSTNER



Non conosco le norme anti doping e quindi non so giudicare se sia corretta o meno la richiesta dei procuratori del Coni contro Carolina Kostner. Diciamo che in generale, diffido della giustizia sportiva, costretta da motivi di calendario agonistico ad essere stretta nei tempi e quindi sommaria.
Da quello che leggo, la responsabilità della pattinatrice è di aver aiutato l'ex fidanzato, Alex  Schwazer, nelle sue pratiche di doping.
In che modo ? Aveva un ruolo attivo, o semplicemente sapeva e non lo ha denunciato ? Come premesso, non so se per le norme faccia differenza, quindi la mia non è una critica giuridica, ma dal punto di vista di un giudizio generale (non voglio usare la parola morale, abusata fino all'estremo) ne fa molta. 
Pensate ad un padre che si attiva per favorire i contatti "giusti" per il doping del figlio, per aumentarne le performance. Non c'è dubbio che si tratti di una complicità assoluta. Mettiamo invece ora l'ipotesi che quel padre non sapesse nulla di provette strane e poi lo scopre, disapprova, cerca di dissuadere il figlio, ma NON lo denuncia. Complice ? 
Se non ho capito male, la Kostner però non si sarebbe limitata a non denunciare, ma avrebbe "coperto" Schwazer in occasione delle indagini. 
Se fosse, l'ha fatto per qualche sua utilità, tornaconto ? Le piaceva essere la donna del campione, e pazienza se era fasullo ?
No, evidentemente. Se lo ha fatto - lei continua a negare - lo ha fatto perché voleva bene al suo uomo e non voleva rovinarlo.
Sappiamo che la Federica Pellegrini ha alzato il ditino, dicendo che lei mai e poi mai. Ognuno fa quello che si sente, in questi casi.
Io, francamente, non mi sento di biasimare la Kostner per la colpa di essersi innamorata, né trovo giusto che per la condotta antisportiva di un altro venga penalizzata la sua carriera, 
Probabilmente, lo ammetto, c'entra anche un mio istintivo disprezzo per la delazione in genere. Ma se vieni a conoscenza di un reato non lo denunci ? Dipende. Da che reato è, e soprattutto non denuncio le persone a cui voglio bene.


Donna e campionessa, due anime divise
Una difesa maldestra dettata dall’amore
Il paradosso: è stato l’ultimo interrogatorio di Alex a metterla nei guai
 

Maledetto il giorno che t’ho incontrato. Biondo, bello, simpatico, futuro oro olimpico nella marcia. E scivoloso, Alex Schwazer, molto più del ghiaccio.
Carolina apprende a Dallas, in Texas, la notizia da Giovanni Fontana, l’avvocato dei dopati (vedi il bobbista Frullani) che difende, è bene ricordarlo, una non dopata. «È tutto assurdo – esala con un filo di voce —. Andrò fino in fondo: voglio dimostrare la mia innocenza e serietà». Le tremano le gambe, ma scende sulla patinoire. Dallas, Ginevra, Selva, Bolzano, le tournée in Giappone e in Svizzera. Il contratto per i galà fino a febbraio è già firmato. Il futuro è questo, qui e ora: esibirsi con il rossetto rosso da combattimento e il sorriso sulle labbra finché ci sarà un promoter che farà richiesta del bronzo olimpico di Sochi (medaglia che non rischia di perdere), dell’oro mondiale di Nizza, della cinque volte campionessa d’Europa.
E finché una sentenza, a gennaio, non renderà effettiva la richiesta di maxi-squalifica della Procura antidoping del Coni. Vietati i palazzetti, vietata la frequentazione di altri tesserati della Federghiaccio, a quel punto. Le norme sportive antidoping sono inflessibili. E il fatto che Carolina Kostner sia una dipendente dello Stato (Fiamme Azzurre) non alleggerisce la sua posizione. Meglio pattinare oggi, insomma, dopo aver rinfrescato l’Ave Maria e il mitico Bolero in Canada dalla coreografa di fiducia. In questo navigare a vista, fare programmi a lungo termine è impensabile. Persino l’apertura della scuola di pattinaggio è congelata.
Da ieri l’anima divisa in due di Carolina contiene sempre più a fatica due presenze ingombranti: la campionessa di pattinaggio, indimenticata e intoccabile; e la donna: prima innamorata, poi tradita ma fedele, infine maldestra (e mal consigliata) nel tentativo di mettersi in salvo dalla barca che stava affondando, quando la relazione era già naufragata. Se nello scenario della fidanzata che mente per amore all’ispettore della Wada, aprendo la porta della mansarda di Oberstdorf il 30 luglio 2012 («Alex non c’è: è a Racines»), Carolina appare fragile (quante donne avrebbero denunciato il loro uomo?), quasi soggiogata dal fascino di Alex, è davanti alla raffica di bugie che ha tentato di spacciare agli investigatori di Bolzano e ai magistrati del Coni che tutti gli alibi cadono miseramente. Fandonie facilmente confutabili, spesso su elementi del tutto secondari (se Schwazer avesse le sue chiavi di casa, se dalla finestra della mansarda si vedesse il cortile oppure no, se la mattina di quel 30 luglio dormissero o stessero facendo colazione), un annaspare sentendosi mancare il terreno sotto i piedi che ha spinto la Procura del Coni, nell’atto di deferimento, alla conclusione più stridente, e per lei dolorosa, rispetto alla serietà che Carolina si è cucita addosso in dodici anni di onorata carriera: «Viene indiscutibilmente meno l’attendibilità della signora Kostner».
Inattendibile, dunque. Più ingenua che diabolica. Di certo in errore nel pensare di potersela cavare a buon mercato, quando la vita è diventata più infida dell’amato ghiaccio. E terribilmente esposta, lei e la sua immagine — nelle agenzie in inglese, francese e tedesco con il titolo «doping» che ieri hanno fatto il giro del mondo —, al giudizio che ha sempre temuto.
Colpisce, sei anni dopo il folgorante incontro tra il marciatore di talento e la pattinatrice con un luminoso avvenire sotto le lame (aprile 2008, Torino), che a blindare un quadro accusatorio già molto compromesso (decisiva la testimonianza dell’ispettore Wada che si recò a Oberstdorf) sia stato proprio l’ultimo interrogatorio di Schwazer alla Procura del Coni, sei ore e cento domande con la lingua finalmente sciolta nella speranza di potersi lavare la coscienza nel mare di Rio 2016.
Quando nasce un amore non è mai troppo tardi. È quando muore, accidenti, che ti domandi come hai fatto a essere così cieca.
Gaia Piccardi

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