Solo ad Alessandro Fugnoli, brillante giornalista di cose economiche e finanziarie, poteva venire in mente l'accostamento tra il QE, quantitative easing, che in parole poverissime sarebbe l'immissione di moneta a cura della banca centrale per stimolare l'economia, e il vino Mariani, di cui non conoscevo la storia ma che ho trovato affascinante e persino un pizzico divertente.
Per questo è un post che consiglio anche agli amici che hanno generalmente idiosincrasia per la materia economica.
Apprenderete una storia curiosa che, come me, non sapevate, e nell'azzardato paragone con lo strumento finanziario celebrato e demonizzato di questi ultimi anni, forse capirete anche qualcosina in più sul QE.
Provate.
IL VINO MARIANI
L’elisir di giovinezza che piacque a due papi e poi fu
proibito
Ancora novantenne il grande papa Leone XIII passava le notti
insonni a studiare il latino (lingua nella quale componeva versi apprezzati) o
a scrivere encicliche. Ne pubblicò 86, tra cui la Rerum Novarum. Uomo colto,
moderno e di acuta intelligenza, conduceva una vita ascetica e semplice. Non
fumava, mangiava pochissimo e si concedeva solo qualche goccio di vino. Gli
piacevano il Bordeaux e il Mariani. Il primo glielo fornivano i conventi
locali, il secondo, la prima volta, glielo mandò in una sontuosa confezione il
farmacista corso Angelo Mariani, che l’aveva creato nel 1863. Papa Leone ne
rimase favorevolmente impressionato e incaricò il cardinal Rampolla di mandare
al produttore una medaglia d’oro e una nota in cui si diceva che il vino era
giunto ben gradito. Leone continuò a berlo per tutta la sua vita, che fu (ed è
rimasta) la più lunga nella bimillenaria storia dei papi. Anche il suo
successore Pio X (come del resto lo zar di Russia e il presidente degli Stati
Uniti) fu tra gli estimatori di questo vino portentoso.
Mariani, nel produrlo, si era ispirato agli appunti di
viaggio dell’antropologo e medico Paolo Mantegazza, che aveva scoperto in Perù,
pochi anni prima, le grandi virtù delle foglie di coca. In realtà di cocaina
nel suo vino ce n’era poca ma, come si è capito molti anni dopo, l’etanolo nel
quale il Mariani macerava le foglie faceva da solvente e ne potenziava
notevolmente l’effetto. Il vino Mariani ebbe un enorme successo tra le élites.
Nacquero ben presto numerose imitazioni, una della quali fu la Coca Cola. La
cocaina era del resto in quel tempo perfettamente rispettabile e veniva
somministrata anche ai bambini. Freud ne era entusiasta. Certamente gli elisir
e le pastiglie a base di coca dettero un contributo all’irrequietezza, ma anche
all’apertura al nuovo, di quella che lo storico tedesco Joachim Radkau ha
definito, come titola un suo libro, L’Età del Nervosismo.
Il clima intorno alla
cocaina cambiò molto lentamente. L’utilizzo venne dapprima limitato, poi
proibito e infine demonizzato. La stessa sorte toccò più tardi all’oppio, alle
amfetamine, al tabacco, al nucleare, al DDT, all’abbronzatura e alla carne
rossa. Forse un giorno toccherà anche al Quantitative easing.
Il vino Mariani non curava le malattie ma, nelle parole di
Emile Zola, era un vino di giovinezza che procurava la vita e conservava la
forza di chi l’aveva, restituendola a quelli che non l’avevano più. C’era un
effetto immediato, sintomatico, ma c’era anche una ricaduta reale. Modificando
la soglia del dolore non ne curava la causa ma cambiava gli atteggiamenti e la
voglia di agire. I padri del Qe (da Milton Friedman al suo estimatore Bernanke)
non fecero, inizialmente, una distinzione tra effetti primari e secondari.
Anche Mantegazza, del resto, aveva pensato che la coca curasse direttamente le
malattie, in particolare mentali. Che il Qe risollevasse solo gli spiriti
animali depressi o intervenisse direttamente sull’economia reale non era
considerato particolarmente importante. Friedman, del resto, pensava che ci
fosse una relazione costante tra la base monetaria (il denaro creato dalla
banca centrale) e l’offerta di moneta (il denaro creato dalle banche quando
prestano alle imprese). Aumentando l’una sarebbe aumentata anche l’altra.
Quando nel novembre 2008 fu lanciato il primo Qe, la Fed
sapeva perfettamente che la correlazione lineare era saltata da tempo, ma
pensava che un collegamento, sia pure indebolito e difficile da calcolare a
priori, fosse rimasto. Se poi non fosse rimasto nemmeno quello, il Qe avrebbe
comunque gonfiato il valore di case, borse e bond, rimettendo in equilibrio il
bilancio di molte famiglie che avevano un mutuo sulla casa che valeva ormai di
più della casa stessa. La rifioritura degli asset finanziari e reali avrebbe a
sua volta aumentato la propensione a consumare e a investire. Con il bonus
aggiuntivo di un dollaro più debole. L’esperimento, bisogna riconoscerlo, è
almeno in parte riuscito. L’America cresce a una velocità di crociera del 3 per
cento, la sua borsa è ai massimi, i suoi bond sono fortissimi. Il prezzo delle
case è salito anche se le costruzioni si riprendono lentamente, franate dalla
poca voglia delle banche di concedere mutui. L’effetto collaterale più temuto,
l’inflazione, è di là da venire. La correlazione causale tra Qe e rivalutazione
degli asset è indubbia ed è ammessa anche dagli avversari della Fed. La
correlazione tra Qe e ripresa è però molto più difficile da dimostrare. È vero, il Qe ha coinciso temporalmente con
la riaccelerazione, ma lo stesso si può dire per altri fattori. Probabilmente
il boom del petrolio e del gas, le cui proporzioni epiche diventano ogni mese
più evidenti (si vedano le esaltanti cento pagine del rapporto annuale che Ed
Morse di Citi, profeta e cantore della superpotenza energetica americana, ha
appena pubblicato), spiega la ripresa più del Qe. Ai mercati finanziari, in
ogni caso, importa relativamente che il Qe abbia o no effetti reali, basta che
tenga i tassi bassi e fornisca la liquidità necessaria a sostenere i corsi. Se
poi anche l’economia va bene, tanto meglio. Richard Koo non condivide
l’entusiasmo dei mercati. Attenzione, dice, il Qe crea solo bolle temporanee.
La base monetaria esplode, ma l’offerta di moneta rimane immobile. Da una parte
le banche non hanno voglia di prestare soldi, dall’altra le aziende e le
famiglie non hanno voglia di farseli prestare. E se poi un giorno,
improvvisamente, questa voglia ritornasse, la Fed non farebbe in tempo a
prosciugare tutta la liquidità che ha creato nemmeno con le idrovore. I tassi
esploderebbero e le borse e i bond imploderebbero.
Le analisi di Koo sono sempre affascinanti e la sua tesi
sull’impotenza della politica monetaria in tempi di trappola della liquidità (e
sulla necessità di un intervento fiscale in sua vece) merita attenzione. Non si
può non notare, tuttavia, che lo stesso Koo, in sintonia con le tesi di Robert
Fisher, sostiene che possono passare decenni prima che gli spiriti animali
feriti da una crisi da debito (come negli anni Trenta e dopo il 2008) si
riprendano e ritornino vitali. L’esplosione dell’offerta di moneta, quindi, si
profila lontanissima. La nostra conclusione, molto pratica, è che la
distribuzione e il consumo del vino Mariani del Qe, benché temporaneamente
sospesa negli Stati Uniti, continuerà inalterata a livello globale per alcuni
anni. L’esaurimento delle risorse inutilizzate negli Stati Uniti (che distano
12-18 mesi dal pieno impiego) provocherà un inizio di inflazione salariale (e
una certa volatilità sui mercati), ma l’inflazione sarà riassorbita da una
rivalutazione ulteriore del dollaro. Le
borse si manterranno elevate, ma noi le accompagneremo solo fino a un certo
punto. Già in gennaio, probabilmente, cominceremo a ridurre l’esposizione
all’azionario. Si potrà agire con calma, ma l’obiettivo, se non
sopraggiungeranno fattori nuovi, sarà quello di arrivare alla fine del 2015
sottopesato.
Il vino Mariani restò sul mercato per quarant’anni.
All’inizio del Novecento fu proibito in Italia e poi negli altri paesi.
Qualcuno cominciava a esagerare con le dosi e i primi effetti collaterali
dell’uso continuato iniziavano a farsi evidenti. Oggi lo si trova ogni tanto
offerto accanto a Cialis e Viagra nello spam della posta elettronica. Triste
sorte per la creazione di Mariani, che finì invece i suoi giorni ricco e
stimato e fu sepolto con tutti gli onori al Père-Lachaise, il cimitero dei
grandi di Francia. Il Qe, che compie in questi giorni sei anni, accompagnerà
l’Occidente nella lunga fase di crisi fiscale legata all’invecchiamento della
popolazione. La monetizzazione del debito continuerà a essere la strada più
facile per evitare deflazione e ondate di fallimenti. Se Marine Le Pen, nel
2017, diventerà presidente, la Francia uscirà dall’euro e l’Eurozona si
dissolverà. La prima decisione che prenderanno molti paesi europei sarà quella
di varare massicci programmi di Qe. Qualcuno, prima o poi, esagererà e gli
effetti collaterali dell’utilizzo prolungato diverranno via via più pesanti.
L’apprezzato tonico per economie cagionevoli verrà allora inizialmente
limitato, poi proibito per legge e poi demonizzato. La Le Pen, in ogni caso, al
momento è solo favorita, ma la sua strada è ancora lunga e impervia.
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