sabato 15 novembre 2014

QUANDO IL TRIBUNALE DIVENTA UNA CHIESA



E' molto migliorata l'edizione on line de Il Garantista - quotidiano che comunque io compro religiosamente ogni giorno - e questo mi aiuta a recuperarne articoli e commenti confidando, col piccolo aiuto del Blog, di aumentarne la diffusione. Questa volta il post scelto è il commento di Tiziana Maiolo alla sentenza d'appello nel processo contro Fede, Mora e Minetti, dove le accuse sono state sostanzialmente confermate, ma con qualche correttivo che giustifica la riduzione delle pene. Fede anche non sapeva della minore età di Ruby e a Minetti hanno concesso le attenuanti generiche, che si danno a tutti ma a lei i Savonarola del primo grado le avevano negate.
Ecco, nel commentare questo processo, prima ancora delle condanne, la MAiolo torna sul problema della "giustizia etica", pericolosissima, dove i Tribunali diventono chiese, quelle dell'inquisizione però.
La giornalista, già firma a suo tempo de Il Manifesto, credo sia un'aderente al femminismo della prima ora, le cui esponenti hanno sempre rivendicato il diritto dello olgettine di fare quello che cacchio gli pareva del proprio corpo senza che la gente, figuriamoci lo Stato tramito la procura, dovessero mettere bocca. 
La Maiolo elenca tutta una serie di comportamenti "vergognosi" molto comuni nella società e che non sono considerati reato. O almeno non lo sono più, come l'adulterio, e meno male visto il proliferare della professione di "amante". In questo, come in altri ambiti, l'ipocrisia della gente porta al silenzio.
In realtà la vergogna non c'entra nulla, perché il moralismo non c'entra nulla con l'etica e comunque quest'ultima non c'entra coi processi, che sono - dovrebbero - essere governati SOLO dalla Legge.
Certo, il Legislatore ( e NON il Giudice !!) può senz'altro recepire e tenere conto, nel fare le leggi, di quelle che sono le convinzioni etiche affermatesi in quel momento storico nella società. Ma fino a che questi principi non si trasformano in norme legislative, non devono riguardare la giustizia.
Noi invece da qualche doloroso tempo abbiamo dei magistrati che si sono convinti del contrario.
 





Ruby Bis, quando i tribunali diventano chiese

a. Ruby
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Nessuno ha gridato “Vergogna!” nell’aula della corte d’appello di Milano che ha condannato Nicole Minetti, Lele Mora e Emilio Fede nel “Processo Ruby bis”. Nessuno ha gridato la propria indignazione, prima di tutto perché, si sa, le sentenze di condanna si rispettano e non si criticano.
Ma anche e soprattutto perché i tre imputati erano veramente brutti ceffi: una poco di buono, uno sponsor di veline (e velini ), un ex direttore chiacchierato. Nessuno inviterà Nicole Minetti nei talk-show a spiegare le sue ragioni, nessuno salverà – tranne che non intervenga Santa Cassazione (ma ci vorrebbe un Presidente come Corrado Carnevale, peccato l’abbiano fatto fuori da tempo i benpensanti) – tutte le ragazze che parteciparono a qualche cena ad Arcore dall’ esser considerate puttane.
Silvio Berlusconi è stato assolto dalle due imputazioni che lo riguardavano – concussione di un non concusso e prostituzione minorile nei confronti di una ragazza di cui non sapeva fosse minorenne – ma la magistratura militante e i benpensanti non si arrendono. Le condanne di oggi sono anche contro di lui, gli dicono di stare all’erta, che anche nei suoi confronti potrebbe non essere finita.
Lo hanno spiato, intercettato, torchiato. Hanno pedinato e controllato tutte le persone che andavano la sera a casa sua. Hanno considerato la sua casa un bordello di lusso e da quell’opinione non si schiodano. Prostituzione c’era e prostituzione deve essere. Non rientrano nella loro mentalità la gioiosità, il piacere (certo, anche sessuale ), il gusto anche epicureo e un po’ smodato dello stare insieme. Così hanno preso lucciole per lanterne, cambiando continuamente le ipotesi di reato (dalla prostituzione minorile all’induzione fino al favoreggiamento), senza mai trovare le prove, rifugiandosi nelle testimonianze delle due “pentitine”, due ragazze come le altre ma meglio orientate al politically correct .
Non hanno potuto imputare a nessuno il reato di prostituzione, che nel nostro paese non esiste. Ma hanno anche mostrato di non capire quale è la differenza tra la prostituta e la mantenuta, o l’amante. La prostituzione è una prestazione d’opera, una professione, e andrebbe al più presto legalizzata e trattata secondo le norme del codice civile. Tutto il resto sono comportamenti. E come tali vanno rispettati. Non ci piacciono? Fatti nostri. Ma vanno rispettati. Se non c’è rispetto, allora gridiamo tutti insieme, ogni giorno, guardandoci intorno, spiando gli altri dal buco della serratura, “vergogna”.
Vergogna ogni volta che una ragazza si sposa per interesse. Vergogna ogni volta che una velina si accompagna a un calciatore miliardario. Vergogna ogni volta che un uomo o una donna sposati hanno l’amante. Vergogna se l’amante accetta regali o magari il pagamento dell’affitto. Vergogna ogni volta che l’amante ti offre una bella vacanza. Se vogliamo, possiamo vedere tutta quanta la società come un grande casino, i rapporti tutti mercenari, le relazioni tutte scandalose.
Questa sentenza è anche contro le donne e contro la loro conquistata libertà sessuale. Contro quella rivoluzione sessantottina che fu la minigonna, il diritto a dormire fuori casa, a usare la pillola. Le conquiste delle madri delle ragazze di Arcore. Da cui non vorremmo più tornare indietro, né noi madri né le nostre figlie. Forse la consigliera regionale Nicole Minetti non aveva capito che, quando si entra nelle istituzioni bisogna tener conto anche delle apparenze, magari non indossare una maglietta con scritto “senza sono anche meglio”, e mettersi invece una giacca grigia e essere un po’ più ipocrite.
Ma hanno osservato queste banali regoline di bon ton per esempio la ministra Giannini con il topless o la deputata Alessandra Moretti fotografata mentre si sbaciucchiava con Massimo Giletti? No, erano libere nei loro comportamenti come lo era Nicole Minetti. In che modo la ragazza avrebbe dunque favorito la prostituzione di ragazze che come lei avevano magari voglia di divertirsi o anche di non disdegnare le attenzioni di un signore attempato  ma ricco e potente?
Un tribunale non è una chiesa e nemmeno una moschea. Non è neanche una casa di rieducazione di ragazze perdute, di “fiori del fango” da ricondurre sulla retta via. La sentenza della corte d’appello di Milano dovrebbe indurci tutti a gridare “vergogna”. E a rivendicare il nostro diritto a essere “per bene” o “per male”. Senza doverci giustificare per i nostri comportamenti nei tribunali.

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