So già l'obiezione dei miei amici (e anche non ) renziani alla lettura dell'editoriale odierno sul Corriere di Alesia e Giavazzi : facile parlare dalle cattedre, fate proposte alternative. Sembrerebbe un'obiezione giusta, che ripete un po' l'adagio per il quale chi sa fa, e chi non sa insegna. Invece giusta non è per due ordini di ragioni :
1) Il compito degli osservatori, giornalisti e/o esperti di cose economiche, ma anche giuridiche, sociali ecc., è quello di osservare, commentare, basandosi sulle previsioni e poi sui fatti. Dire "troppo comodo" è stupido, perché NON è il loro compito governare, né hanno chiesto di farlo. Ma chi vuole esercitare quel potere, poi deve portare risultati. Se non lo fa, dire "eh ma è difficile" non vale (non dovrebbe) l'elezione.
2) In realtà sia Alesina e Giavazzi, sia Luca Ricolfi, sia Giacalone, solo per citare quelli che io seguo di più, delle proposte concrete ed alternative le hanno avanzate eccome, e più di una volta. A suo tempo, quando Renzino si è inventato gli 80 euro ai dipendenti, tutte queste persone dissero che era un errore, e quei 5-6 miliardi era meglio destinarli a ridurre le tasse alle imprese. Renzi ha seguito la sua strada, che è risultata improduttiva di effetti utili alla ripresa del PIL e dell'occupazione (certamente è stata gradita dai beneficiati, e molti di questi si sono mostrati grati alla prima occasione : le elezioni europee). Adesso è il turno della legge di stabilità, anche questa oggetto di critiche - peraltro pacate e ragionate - e anche qui i critici hanno indicato strade diverse rispetto a quelle dell'esecutivo (ricordo il Job Italia di Ricolfi http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2014/10/il-job-italia-lo-studio-di-ricolfi-per.html, ma è solo un esempio).
Resta che NON è il loro compito, ma di chi governa. Ve lo immaginate Totti che sbaglia il rigore e si rivolge a Italo Cucci che sbuffa in tribuna stampa : "ahò e viecce tu a tirallo no ?!?!".
Buona Lettura
Tante misure
per così poco
di
Alberto Alesina e Francesco Giavazzi Quando presentò la legge di Stabilità, Matteo Renzi disse: «È una grande, grande, grande novità: una manovra anticiclica in un momento di difficoltà». A un mese di distanza facciamo fatica a vedere in che modo questa legge possa aiutare la crescita. Il deficit dei conti pubblici (stime della Commissione europea) sarà quest’anno il 3% del prodotto interno lordo, e scenderebbe al 2,7% l’anno prossimo. Il deficit «strutturale» (cioè depurato dal ciclo economico) rimarrebbe sostanzialmente invariato: 0,9% quest’anno, 0,8 il prossimo. La manovra quindi è a deficit costante.
Ma una manovra può essere espansiva anche se, a parità di deficit, riduce le tasse sul lavoro, compensandole con tagli di spesa, soprattutto in un Paese in cui la tassazione sul lavoro è una delle cause della scarsa competitività. Nemmeno questo pare essere il caso. Nell’audizione del 4 novembre alla Camera, il ministro Padoan ha detto: «Con la legge di Stabilità, la pressione fiscale passa dal 43,3% del 2014 al 43,2%, nel 2015». Cioè rimane invariata. E temiamo che questo calcolo parta dall’ipotesi ottimista che le Regioni non traducano i 4 miliardi di tagli loro imposti dallo Stato in maggiori tasse locali, come alcune già stanno facendo. Che cosa c’è di «grande» e di «anticiclico» in questa manovra? Ben poco. La legge di Stabilità elimina dalla base imponibile dell’Irap il costo del lavoro per dipendenti con contratti a tempo indeterminato. Ma cancella anche la riduzione delle aliquote Irap che era stata decisa a maggio. Dal prossimo anno l’effetto netto sarà comunque una riduzione della tassa. Ma il taglio delle aliquote oggi cancellato era stato finanziato aumentando dal 20 al 26% l’imposta sostitutiva sui redditi da capitale diversi dai titoli di Stato. Conclusione: l’aumento di imposte è confermato, il taglio cancellato, almeno per il 2014, quando varrà ancora la vecchia base imponibile Irap.
Insomma, una legge partita con buone intenzioni si è trasformata in una manovra irrilevante per la crescita. Perché? Il problema è che l’impegno di Renzi è durato lo spazio di un mattino. Approvata la legge, e difesala a Bruxelles, il premier, anziché seguirla passo passo, se ne è disinteressato e si è occupato d’altro: di legge elettorale e di riforme istituzionali. Riformare lo Stato non è tempo perso: serve a governare meglio, anche l’economia. Ma nell’emergenza in cui ci troviamo non possiamo permettercelo: il tempo stringe, tutte le forze vanno destinate a far riprendere la crescita, altrimenti avremo un Paese magari con istituzioni migliori, ma dissanguato.
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