martedì 25 novembre 2014

"STASI MERITA 30 ANNI" . E' LA TERZA VOLTA CHE L'ACCUSA LI CHIEDE, STAVOLTA QUELLA BUONA ?


Vorrei capire, nella restrizione al diritto di appello che i magistrati, pubblici ministeri innanzi tutto, propongono nella loro riforma della giustizia, se questa sorte tocchi anche alle sentenze di assoluzione. Immagino di sì, visto che poi il principio aureo del ragionevole dubbio - che pure suscita palese fastidio a talune procure e alle genuflesse redazioni della maggior parte dei quotidiani - deporrebbe assai di più a favore dell'inappellabilità delle SOLE sentenze assolutorie, mentre non dovrebbe valere per quelle di condanna. Sappiamo che una legge in questo senso venne varata e la Corte Costituzionale la bocciò affermando, se non ho capito male, come il processo penale vada visto come un tuttuno e i singoli gradi dello stesso non come entità separate. In questo modo i giudici della Consulta ritennero di superare il problema di come si possa mai ritenere una condanna in secondo grado "oltre ogni ragionevole dubbio" quando altri giudici, nel primo, avevano assolto. 
Nel caso di Alberto Stasi, sia il primo processo che il secondo si erano conclusi con la sua assoluzione, ed è stata la Cassazione   a stabilire che il processo andava rifatto entrando pesantemente nel merito della valutazione degli indizi (nemmeno prove) processuali, il che stride non poco con il principio di "giudici di mera legittimità" che pure definisce le toghe di P.za Cavour. 
La sensazione, che spero errata, è che i supremi giudici - così pomposamente sono definiti quelli del terzo grado - si siano convinti della fondatezza della colpevolezza di Stasi e abbiano date precise istruzioni ai nuovi giudici di Assise su come correttamente valutare gli elementi indiziari per poi condanare.  Quand'anche, e non lo prevedo, la Corte di merito si ribellasse al messaggio sostanziale delle istruzioni ricevute e assolvesse di nuovo, Stasi può solo sperare che siano diversi i giudici della Cassazione chiamati poi a pronunciarsi sull'inevitabile impugnazione della Procura, per non dover affrontare l'ennesimo processo. 
Con tutto questo, lo ribadisco per i ciechi e i sordi, non voglio dire che io sia convinto dell'innocenza dell'imputato, che lombrosianamente (cioè a pelle, vedendolo), manco mi sta simpatico, anzi. Ma leggere che il movente di un omicidio possa essere la rabbia della fidanzata per aver scoperto sul pc dell'uomo delle foto porno, bè francamente mi sembra un po' un'assurdità. 
Ma si sa, da tempo il movente non è più un elemento di cui l'accusa si deve preoccupare.


Il Corriere della Sera - Digital Edition

«Stasi omicida crudele, dategli 30 anni»
La richiesta dell’accusa al processo d’appello bis: ha mentito
e ha ostacolato le indagini.
Il nodo delle impronte di sangue sul pigiama di Chiara.
«Poi Alberto si è lavato le mani»



Per due volte ha sentito un magistrato chiedere che la sua vita fosse annientata con 30 anni di carcere. E per due volte altri magistrati hanno deciso che no, non meritava quella condanna. Ieri è successo di nuovo. «Chiedo per Alberto Stasi la pena di anni trenta» ha detto il procuratore generale Laura Barbaini chiudendo la requisitoria di sei ore sul caso Garlasco. E lui, Alberto, ha rivissuto tutto daccapo.
Sono passati sette anni tre mesi. Alberto diventò in automatico il sospettato numero uno lo stesso 13 agosto del 2007, quando Chiara Poggi fu trovata morta, ammazzata a colpi in testa e buttata in fondo alla scala che porta nella cantina della sua villetta, a Garlasco. «Ho trovato una persona uccisa in via Pascoli» disse la voce di Stasi a una centralinista del 118. La «persona» era la sua fidanzata. «Strano modo di dare l’allarme» valutarono gli inquirenti della prima ora.
Partirono da lì. Un indizio dopo l’altro si mise assieme il processo di primo grado e, dopo l’assoluzione, si imbastì il secondo grado tenendo più o meno conto degli stessi elementi-chiave: le scarpe che Alberto consegnò pulite dopo aver camminato nella casa del delitto sporca di sangue; la sua bicicletta bordeaux con il dna di Chiara su un pedale; la bici nera da donna vista davanti a casa Poggi da una testimone e il maresciallo dei carabinieri che non sequestrò proprio una bici nera da donna custodita nell’officina del padre di Stasi... Nessuno di quegli indizi bastò a spostare l’ago della bilancia verso la condanna. Ancora assolto. Finché la Cassazione non ha deciso di riaprire il caso e rimandare tutto a Milano per un nuovo processo d’appello, cominciato otto mesi fa.
Ieri, appunto, la requisitoria e la nuova richiesta di condanna a trent’anni. «Anche se sono innocente qualche volta penso all’ipotesi di essere condannato, sì» aveva confessato Alberto alla vigilia dell’appello bis in un’intervista al Corriere . «Ci penso perché so che i giudici possono anche sbagliare. Ma mi conforta essere a posto con la mia coscienza, perché io non ho ucciso Chiara».
«L’ha uccisa con crudeltà» gli ha invece detto in aula il procuratore generale. E ha «sistematicamente cercato di ostacolare l’inchiesta con omissioni che sono andate ben al di là del diritto di difesa».
È già difficile tornare sul banco degli imputati dopo due assoluzioni. Ma Alberto Stasi ci è tornato con una sentenza della Cassazione (molto criticata dalla sua difesa) che in qualche modo ha indicato la strada in direzione di una condanna. La Suprema Corte ha suggerito gli accertamenti che poi sono stati eseguiti in questi mesi e ha censurato il fatto che la lettura degli indizi fosse stata fino a quel punto troppo parcellizzata: non sono stati valutati nel loro insieme, hanno in pratica sostenuto i giudici. E per quanto ostenti serenità, Alberto sa fin troppo bene che non può dirsi salvo finché non sarà assolto dalla stessa Cassazione che lo ha riportato nell’incubo del processo. Perché è chiaro a tutti che comunque vada a finire, ci sarà un nuovo ricorso e si tornerà a Roma.
Ma quello sarà il capitolo del prossimo anno. Adesso siamo alla requisitoria del pg. Che ieri ha ripercorso gli indizi leggendoli (come chiedeva la Suprema Corte) in connessione l’uno con l’altro. Un collegamento inedito viene dalle prime fotografie del corpo di Chiara sulle scale con un dato scientifico. Su alcune immagini si vede l’impronta nitida di quattro dita insanguinate sulla spalla sinistra del pigiama rosa che Chiara indossava. Impronte che secondo Laura Barbaini sono in relazione con il fatto che l’assassino si lavò le mani in bagno: lì ci sono le orme di scarpe insanguinate, quindi l’omicida ci è passato, e per il pg non è un caso che proprio sul dispenser del sapone del bagno ci fossero «tracce digitali» di Stasi miste a dna di Chiara.
E infine il movente: secondo il procuratore generale sarebbe da cercare nell’ira di Chiara per aver trovato delle foto pornografiche nel computer di Alberto.

Giusi Fasano

2 commenti:

  1. Mi domando, se per ipotesi (nonostante le forzature dei giudici di cassazione) Stasi venga nuovamente assolto e la procura cerchi nuovamente di impugnare la sentenza in cassazione con esisto positivo si andrà al 4° processo e poi al 5° e poi .... all'infinito`?

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    1. Si, i magistrati non accettano di perdere per motivi di carriera. Purtroppo se poi l'imputato risulta innocente loro non devono risarcire nessuno.

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