Se c'è una cosa che umanamente non sopporto nelle persone è l'arroganza (seguita dalla palese ipocrisia, e quindi coi politici sto messo male male). Matteo Renzi è un uomo arrogante, ed è un politico.
Non che tanti suoi interlocutori non lo siano, ma due mali non si annullano, si raddoppiano o peggio.
Si svolgono le regionali in Emilia Romagna e in Calabria, e il 60% degli elettori non vanno a votare, come e peggio che alle europee, eppure stavolta si tratta del governo del proprio territorio.
Il nostro come commenta ? "Problema secondario". Mai un atto di umiltà, mai un accenno di autocritica ( non credo che tale possa essere considerato il berlusconiano "non abbiamo valorizzato abbastanza il tanto lavoro che abbiamo fatto"...ma vaffa !!!!).
Se lui è irritante, non parliamo dei commentatori genuflessi, che abbondano alla Stampa (la Gualmini è sospetta di infatuazione sessuale per il premier, Geremicca e Sorgi avranno altre motivazioni), e dei tifosi, privati del ben dell'intelletto pur di sostenere la causa.
Hanno rotto, e continuano a farlo, i cabasisi (cit. Montalbano di Camilleri) con la storia del 41% alle europee, risultato "storico" della sinistra, quando, a parte l'arrotondamento per eccesso, i voti presi in quell'occasione furono MENO di quelli presi dal PD all'esordio politico del 2008 e non di qualche migliaio...ma un milioncino circa...
Certo, se poi la gente non va a votare, i valori percentuali salgono, e così Veltroni si ritrovò un 37% e Renzi un 40,8.
Dopodiché, da un po', nessun istituto di sondaggi dà più quella percentuale al Premier, col PD tornato ad un più "normale" 35%. Certo, tutto questo avviene in un periodo dove un orbo è re, vista la terra di ciechi in cui si muove.
Siccome l'uomo ha difetti crescenti, ma non è stupido, perché queste posizioni così urticanti ? Il sospetto è che, in questa sua proposizione ammodernata del successo berlusconiano, ci sia anche la spaccatura in due dell'elettorato : pro e contro Renzi. Alla resa dei conti, ha valutato che gli giova, in considerazione che il fronte contrario è tutt'altro che compatto, e anzi si fraziona sempre di più.
Oltretutto, preciso, sta diventando proprio una questione di pelle, considerato che, non essendo certo io uno di sinistra, il fatto che Renzi non prenda voti perché quelli "duri e puri" non lo votano (e non avendo alternative se ne restano a casa) , il suo scontro con i sindacati e i burocrati (vedremo alla fine con quale sostanza) lo guardo con favore. Ma questa sua idea della democrazia, dove non ha importanza la rappresentanza, la partecipazione al voto, ma solo avere un voto in più per arrivare al potere non mi piace. Allora preferisco chi si leva la maschera e il voto e il parlamento li tratta apertamente come meri orpelli di facciata, come succede agli autocrati moderni, tipo Putin, per fare un esempio.
Fatto questo sfogo, dovuto all'irritazione che provo ogni volta che mi trovo di fronte a persone delle caratteristiche dette (arroganza e ipocrisia), passo la parola alla ponderata analisi del non voto di Angelo Panebianco, che mette in rilievo anche una crescente disaffezione per l'istituto regionale,
Il voto
di chi
non vota
Emilia tu quoque ? Persino l’Emilia-Romagna si è laicizzata fino a questo punto? Persino nella terra in cui più tenacemente resisteva il voto di appartenenza («giusto o sbagliato è il mio partito» e lo voterò sempre e comunque), tanti cittadini si sono improvvisamente svegliati da un lungo sonno pensando: «Io sono solo mio. Non ti appartengo più, voto solo se mi pare e quando mi pare»?
Le cose sono più complicate di quanto appaiano a un primo sguardo. Una parte ancora rilevante di voto di appartenenza, resiste, nonostante tutto, in Emilia-Romagna e ha giocato, questa volta, sia a favore sia contro il voto. Sono andati a votare, e a votare democratico, per pura disciplina di partito, anche tanti che forse non apprezzavano troppo Stefano Bonaccini, il candidato (vittorioso) del Partito democratico alla presidenza della Regione. Ma, per contro, non sono andati a votare, plausibilmente, molti che, pur continuando ad «appartenere», hanno accolto l’appello della Cgil contro il premier Renzi e la sua politica del lavoro. Al netto di tutto ciò bisogna dire che un processo di laicizzazione c’è comunque stato
Se si fanno brutte campagne elettorali, se si schierano candidati che, a torto o a ragione, i cittadini non giudicano adeguati, se non si riesce a scrollarsi di dosso, almeno in parte, il peso delle inchieste giudiziarie per il cattivo uso dei fondi pubblici (e c’è un solo modo per riuscirci: gettare nella campagna elettorale candidati brillanti, idee nuove e progetti originali), allora anche in Emilia-Romagna se ne paga il prezzo. È ciò che qui si intende per «laicizzazione». Ciò significa che, di volta in volta, è la natura contingente dell’offerta politica ad attirare o a respingere gli elettori. E nulla può essere più dato per scontato.
Questo voto influenzerà la politica nazionale? Sì, entro certi limiti. È plausibile che la parte del partito che osteggia Renzi e che ha forti ramificazioni in Emilia-Romagna, non si sia affatto mobilitata per portare al voto gli elettori e, semmai, abbia attivamente favorito l’astensione nel tradizionale elettorato di sinistra. La sinistra pd, antirenziana, ha già cominciato a usare contro Renzi l’astensionismo regionale, a citarlo come prova dei guasti che la politica del premier starebbe provocando nel rapporto fra il Pd e i suoi elettori tradizionali.
Anche a destra questo voto regionale avrà conseguenze, forse ancor più forti che a sinistra. Il successo della Lega di Salvini in Emilia-Romagna (il 19 per cento dei voti) e l’umiliazione di Forza Italia (diventata quasi irrilevante: quarto partito in Regione, con solo l’otto per cento) avranno alcune conseguenze. Accentueranno ulteriormente le divisioni interne indebolendo ancor di più la capacità di Berlusconi di controllare il partito.
Non si possono però oscurare le altre — e forse più importanti — ragioni del voto e del non-voto. Non si può dimenticare, in primo luogo, che fra gli elettori (ma di tutta Italia ) è ormai cresciuta moltissimo l’insofferenza per l’istituto regionale: se la sorte delle Regioni venisse affidata a un referendum, è probabile che la maggioranza ne proporrebbe l’abolizione. È inevitabile che ciò favorisca l’astensione.
Ci sono poi state, a gonfiare il non-voto, le tante ragioni locali: l’insoddisfazione per i profili di molti candidati e per l’assenza di idee nuove. E le diffuse valutazioni negative sulle performance delle amministrazioni locali.
Più che la massiccia (e prevista) astensione, dovrebbe soprattutto sorprendere un’altra cosa: la tenuta, nonostante tutto, del Partito democratico emiliano-romagnolo. Magari è sbagliata ma è una convinzione largamente diffusa che, complessivamente, la sua classe dirigente, per qualità, sia oggi l’ombra della classe dirigente di un tempo. A meno che il Pd non riesca a porci un serio rimedio, prima o poi quella diffusa convinzione potrebbe metterne a rischio il tradizionale primato regionale.
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