Non mi piace Milena Gabanelli, e non mi piace la sua trasmissione, Report, proprio per i motivi che Angela Azzaro molto bene denuncia nel suo articolo odierno su Il Garantista. Più che la ricerca della verità, sembra la Santa Inquisizione, determinata a tutti i costi a trovare il Male. Anche un po' le Iene sono così, però almeno lì c'è anche qualche servizio divertente.
Si è parlato per tanto tempo del metodo Boffo, ma gli agguati che quelli di Report fanno non sono cosa tanto migliore per le vittime dei mastini d'assalto sguinzagliati dalla Milena inquisitrice.
E così un giornalista, Emanuele Lanfranchi decide di ripagare con la stessa moneta il collega Mottola, sputtandandolo con la messa in rete di una telefonata nella quale chiede conto all'uomo di Report di una intervista chiesta a Zingaretti per parlare dei tagli dei costi della Regione, laddove poi di tutto si parlerà, e sarà messo in onda, meno che del miliardo di euro risparmiati dalla giunta del nuovo governatore del Lazio. Insomma la storia della spending review virtuosa era una trappola, una sorta di cavallo di Troia per ottenere la disponibilità dell'intervistando.
Ma Report fa servizio pubblico di denuncia, scopre le verità scomode... Mica sempre, ché sono tante ormai non solo le polemiche ma anche le querele, a volte con cause miliardarie, per diffamazione intentate alla rubrica, e non a caso il rinnovo del contratto in RAI della Gabanelli è stato alquanto sofferto proprio perché la dirigenza, sentito il parere degli esperti legali, dubitava alquanto all'idea di esporsi di nuovo ai risarcimenti rilevanti derivabili dalle azioni legali intentate contro Report. La proposta era : rinnoviamo ma senza copertura legale, per le querele ve la vedete voi. Col cavolo, la risposta coraggiosa della Gabanelli. Alla fine la Rai, che aveva già perso Floris (sau che danno !!), ha deciso di tenersela, e forse se n'è già pentita.
Se avete 5 minuti di tempo, ascoltatela la telefonata, la trovate qui di seguito.
Chi di Report ferisce di Report perisce
Questa volta vittima del metodo Report è stato un collaboratore dello stesso programma di Gabanelli, Giorgio Mottola. Il capoufficio stampa di Zingaretti, Emanuele Lanfranchi, ha registrato e diffuso una telefonata da cui appare chiaro come i giornalisti del programma di Raitre non chiedano e facciano interviste con lo scopo di capire i fatti, ma con l’idea di incastrare il mal capitato.Come se si facessero i processi senza dire quale sia l’accusa. Ma almeno per una volta a Gabanelli è andata male.
Ci sono vari modi di fare un’inchiesta giornalistica, in Italia e nel mondo. Da noi, in questi anni, si è imposto il metodo Report. È un’inchiesta molto particolare: non si tratta di scoprire la verità, di fare luce sui meccanismi che dominano la politica o l’economia. Ma di sputtanare le persone, metterle al bando, trovando il marcio costi quel che costi. In tanti ci sono passati, e pur dichiarandosi ed essendo di fatto innocenti, hanno dovuto subire questo trattamento. Credo che ancora in molti ricordino il caso di un dirigente della Regione Lazio, poi purtroppo morto di tumore, che fidandosi del giornalista di Report, ha detto off record delle cose che poi sono finite in prima serata rovinandogli la carriera e rendendogli la vita un bel po’ più difficile.
Questa volta “vittima” del metodo Report è stato un collaboratore dello stesso programma di Milena Gabanelli, Giorgio Mottola. Il giornalista ha ricevuto una telefonata che è stata registrata a sua insaputa e mandata in rete, ottenendo in poco tempo migliaia di visualizzazioni. Cosa è successo? Il capoufficio stampa di Nicola Zingaretti, Emanuele Lanfranchi, ha chiamato il collega di Report che gli aveva chiesto l’intervista col presidente della Regione Lazio. La richiesta era stata fatta per parlare dei tagli fatti dalla Regione, un miliardo di soldi pubblici risparmiati. Nel servizio, andato in onda domenica, non c’è nessuna traccia di questo tema. Il servizio, in cui compare anche Zingaretti, parla d’altro. Un’accusa contro la regione e i dirigenti chiamati a collaborare. A quel punto, il capoufficio stampa invece di subire un metodo veramente poco trasparente, si è incazzato e ha chiamato il giornalista di Report. La telefonata, che trovate facilmente su internet, è davvero emblematica. Lanfranchi incalza il collega, quello balbetta. Ma alla fine ammette: le domande sui tagli erano una scusa. Il vero intento del servizio era far risaltare ciò che non va, mettere in risalto le eventuali, auspicate, storture.
Da questa telefonata, che dovrebbe essere ascoltata nei corsi di giornalismo (altro che gli inutili corsi di aggiornamento che si stanno svolgendo anche in queste ore) emergono due cose: 1) Il giornalista di Report non fa le domande per capire. Arriva con una tesi in testa e fa di tutto per dimostrarla attraverso le parole dell’intervistato 2) Non interessa informare la persona intervistata di quale sia il motivo dell’inchiesta, permettendogli quindi di difendersi, ma lo si prende a tradimento. È come se in un processo l’imputato non sapesse per cosa è processato, quale sia l’accusa, quali i testimoni, quali le prove. Deve rispondere a delle domande ma senza sapere quale sia il vero obiettivo del dibattimento. Così accade nel programma di Gabanelli. Il processo, perché di processi si tratta, avvengono con un Pm dotato di pieni poteri, mentre l’accusato non solo è privo di avvocato, ma non sa neanche perché è oggetto di accuse.
La telefonata del capoufficio stampa di Zingaretti è importante perché svela dall’interno il vero metodo Report, ma anche (e soprattutto) perché fa vedere come ci si può ribellare. Basta subire, è questo il messaggio più forte. Siamo nell’era digitale e social, e tutti – volendo – possono servirsi di nuovi strumenti per mettere alle strette chi usa l’informazione in maniera così disinvolta. Sarebbe bello che fosse anche il segnale di un clima mutato: il metodo Report o dello sputtanamento a tutti i costi si sta incrinando e questo rende più complicato usarlo con disinvoltura. Per Gabanelli «c’è del marcio in Danimarca» si è tradotto in questi anni in «ci deve essere del marcio in Danimarca, trovatemelo!».
Non si tratta di fare i buonisti, di smettere di fare le inchieste, rinunciando a un giornalismo capace di mettere in discussione il potere. Ma di fare tutto ciò senza distorcere i fatti, in nome – diciamolo pure – dell’audience e del proprio potere.
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