martedì 23 dicembre 2014

IL PAESE DOVE L'EMERGENZA E' NORMALITà, L'ECCEZIONE E' REGOLA



Come non dare ragione a Michele Ainis, quando denuncia un sistema nel quale le eccezioni sono la regola, dove l'emergenza è la normalità ? Non è certo il governo Renzi l'unico colpevole di un modus che rende ridicolo il Parlamento, dove gli onorevoli sono per lo più degli schiaccia bottoni, diciamo che è solo l'ultimo.
Buona Lettura



L’eclissi della regola
di Michele Ainis



L’ eccezione è sempre eccezionale, direbbe monsieur de La Palice. Invece alle nostre latitudini è normale. Nel senso che la misura straordinaria costituisce ormai la norma, la regola, la prassi. Il caso più eloquente investe l’abuso dei decreti: 20 in 10 mesi, per il governo Renzi. Una media in linea con quella dei suoi predecessori, dato che Letta ne aveva sparati 22, Monti 25. Sicché questo strumento normativo, che i costituenti brevettarono per fronteggiare i terremoti, è diventato il veicolo ordinario della legislazione. Significa che in Italia i terremoti sono quotidiani, peggio che in Giappone. Come d’altronde i voti di fiducia, che hanno l’effetto di terremotare il Parlamento. Quello ottenuto dal governo sulla legge di Stabilità era il trentesimo della serie: dunque una fiducia ogni 10 giorni, record planetario. E oltre la metà delle leggi approvate sotto il ricatto del voto di fiducia.
C’è sempre un argomento che giustifica la misura eccezionale: forza maggiore. Se non intervengo per decreto, chissà quando si decideranno a intervenire le due Camere. Se non pongo la fiducia, magari mi voteranno contro. E così via, fra un maxi emendamento e una seduta notturna sulla manovra finanziaria, per scongiurare l’esercizio provvisorio. Del resto la XVII legislatura s’aprì con la rielezione del presidente uscente. Non era mai avvenuto, ma quella scelta fu possibile — come disse lo stesso Napolitano — perché la Costituzione aveva lasciato «schiusa una finestra per tempi eccezionali». Dalla forza maggiore deriva l’eccezione, dall’eccezione l’eclissi della regola.

Dovrebbe trattarsi di un’eclissi temporanea; invece è divenuta permanente. Così, in ogni democrazia i governati conferiscono un mandato ai loro governanti; ma gli ultimi tre esecutivi (Monti, Letta, Renzi) non hanno ricevuto alcun mandato. La loro investitura deriva dalla necessità, dallo stato d’eccezione.
L’urgenza permanente inocula un elemento ansiogeno nella nostra vita pubblica. E anche in quella privata, come no. Tu scopri che l’ultimo Consiglio dei ministri si è tenuto alle 4.40 del mattino, t’accorgi che il prossimo è stato convocato alla vigilia del Natale, e allora ti ficchi un elmetto sulla testa: dev’esserci una guerra, benché nessuno l’abbia dichiarata. In secondo luogo, l’urgenza impedisce programmi a lungo termine, però in compenso alleva misure frettolose, strafalcioni, commi invisibili come quelli votati (si fa per dire) dai senatori sulla legge di Stabilità. In terzo luogo e infine, chi decide sull’urgenza? Per dirne una, quest’autunno il Parlamento si è riunito a raffica per eleggere due giudici costituzionali. Ne ha eletto uno, dell’altro non si sa più nulla. Il primo era urgente, il secondo no.
Da qui il frutto avvelenato che ci reca in dono il nostro tempo. Perché la dottrina del male minore — cara a Spinoza come a Sant’Agostino — ci abitua a stare in confidenza con il male, sia pure allo scopo d’evitarne uno peggiore. E perché, laddove sussista una causa di forza maggiore, dovrà pur esserci una forza minore, una vittima sacrificale. Ma quella vittima è la legalità.

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