domenica 21 dicembre 2014

PARTECIPATE PUBBLICHE : DOVE IL VERSO NON CAMBIA MAI



Ho scritto altre volte che Sergio Rizzo e il suo sodale Gian Antonio Stella non sono tra i giornalisti che apprezzo particolarmente tra quelli del Corrierone di Milano (certo, ce ne sono di peggio . Tutti quelli che si occupano di cronaca giudiziaria per esempio...) . Però se dei due non amo l'approccio troppo nazional popolare, non infrequentemente le loro denunce hanno un giusto fondamento .
Come quella di oggi, sul mancato taglio delle partecipate, una delle ragioni primarie della corruzione e dell'inserimento del malaffare nei centri di spesa pubblica. Cottarelli aveva in programma, in tre anni, di portarle a 1000. Vasto programma. Infatti lo hanno rimandato a Whashington, e di spending review VERA nella legge di stabilità se ne vede poco o nulla. Anche perché i tagli che si fanno da una parte, vanno a tappare maggiori buchi da un'altra, col risultato che spesa e debito non scendono.  Rizzo rammenta che sette mesi fa il Premier aveva fatto proprio l'obiettivo di Cottarelli. Poi qualcosa deve essere cambiato.
Certo, NON il verso...



Il taglio (mai iniziato) delle partecipate 
E quel verso che stenta a cambiare 
 
 

Fece anche questo annuncio, il premier Matteo Renzi, in diretta tivù. Per l’esattezza, al programma Quinta Colonna di Paolo del Debbio, Retequattro. Testuale: «Le aziende partecipate sono ottomila. Voglio fare una scommessa e dico che fra tre anni le portiamo a mille». Per un’opera tanto ambiziosa di anni magari ne servirebbero anche di più. Il punto è iniziare. E il problema è che passati ormai sette mesi e mezzo da quella esternazione non si è cominciato affatto. Al contrario. Le società che andavano chiuse (Ram, Arcus, Difesa servizi...) sono state in molti casi rivitalizzate con il rinnovo dei consiglieri. Non di rado, scelti fra politici trombati o scartati alle elezioni. Sulle partecipate locali, poi, peggio che andar di notte.
Non è difficile scorgere dietro il brutale contrasto fra parole e azioni l’amara verità che disboscare non interessa a nessuno. Interessano molto di più le 38 mila poltrone e i 300 mila posti di lavoro spesso inutili e clientelari garantiti da quella giungla sterminata con il suo strascico di affari e soldi pubblici: pazienza se è la fonte peggiore di inquinamento della politica, come sta rivelando l’inchiesta Mafia Capitale. E fanno perfino tenerezza le dichiarazioni di certi alleati di Renzi. Mentre si manifestano scandalizzati dall’immobilismo del governo su questo fronte contrattano sottobanco strapuntini nelle società pubbliche in centro e periferia che oggi dicono di voler chiudere e invece nei lunghi anni durante i quali governavano con il centrodestra contribuivano a moltiplicare.
Finita nel dimenticatoio insieme al lavoro di Carlo Cottarelli, la promessa del disboscamento è stata soppiantata dal realismo, purtroppo immortale, della vecchia politica. Lo stesso malanno che ci sta di nuovo regalando nella legge elettorale il virus delle preferenze. Per Renzi non è solo una questione di coerenza. Ma a questo punto di credibilità: dov’è cambiato il verso?

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