venerdì 19 dicembre 2014

SI CHIUDE IL SEMESTRE ITALIANO DI PRESIDENZA UE. INUTILE, COME SEMPRE.




Si sta per concludere il semestre di presidenza italiana della Unione Europea. Bilancio modesto, scrive Danilo Taino sul Corsera, e ovviamente ha ragione, ma cosa si aspettava ? IN realtà, cosa si aspettano tutti ogni volta che arriva il nostro turno ? Perché mai, in che modo, il fatto di essere formalmente presidenti di una Unione che poi ha una Commissione con il suo capo (adesso è Junker), un Parlamento del tutto slegato dai singoli stati (com'è anche giusto che sia), Corti di Giustizia che impallinano le leggi nazionali che è un piacere, potrebbe avere una qualche particolare rilevanza, per non dire influenza ? Certo, il Consiglio raduna i vari capi di governo, e quindi, quando questo accade, potrebbero essere prese decisioni importanti, ma questo prescinde dal ruolo a tempo del presidente pro tempore.
Insomma, dire che abbiamo perso un'occasione, dando di questo la colpa al premier toscano, mi sembra francamente eccessivo. Si tratta di un ruolo meramente formale, dove il paese di turno ha oneri di ospitalità delle riunioni UE del semestre. Non mi pare altro.
I problemi di cui parla Taino, sicuramente importanti, come per esempio la decisione sulla possibilità di escludere dai conteggi del deficit gli investimenti cd. produttivi, non hanno trovato soluzione, ma questo è male antico, e non vedo come il fatto di presiedere il Consiglio UE per sei mesi poteva incidere su questo.
Infatti non è accaduto.

Esito modesto di un semestre
di Danilo Taino 
 
 L’ ultimo vertice europeo tenuto sotto la presidenza di turno italiana della Ue, ieri, non è stato un trionfo. Come non sono stati, per il governo Renzi, una marcia trionfale i sei mesi precedenti, soprattutto se misurati sulla retorica che li ha preceduti e sulle aspettative sollevate. Segno che la «strategia dell’impazienza» a Bruxelles funziona meno che a Roma. E soprattutto constatazione che i 28 partner sono oggi più divisi su questioni fondamentali di quanto lo fossero a inizio anno. Ieri lo si è visto prima e durante il Consiglio europeo.
L’agenda non era folta ma rilevante: gli investimenti in Europa sulla base del Piano da 21 miliardi (che diventano più di 300) presentato dal presidente della Commissione Jean-Claude Juncker e i rapporti con la Russia. Sul primo punto, il Consiglio ha accettato le linee di Juncker, ha chiarito che gli investimenti dei governi all’interno del Piano non saranno conteggiati ai fini del patto di Stabilità europeo e ha rinviato la formalizzazione di queste decisioni a gennaio. Dubbi e poca convinzione sull’utilità di questa strategia sono però venuti da più di un membro. Sulla non contabilizzazione a deficit degli investimenti nazionali (la cosiddetta Golden Rule ) tutto è invece rinviato all’anno prossimo, ma qui il no di Angela Merkel è netto. Difficile definire questo risultato una svolta in direzione di investimenti e crescita, obiettivo dichiarato di Renzi.
Le divisioni sono state ancora più nette sulla posizione da tenere nei confronti di Mosca. Barack Obama e il Congresso di Washington sono intenzionati a intensificare le sanzioni (ieri ne sono scattate di nuove sulla Crimea). Su questo i 28 hanno posizioni diversissime e l’hanno fatto sapere addirittura prima di iniziare la discussione sul tema, durante la cena. Il presidente francese François Hollande ha detto che se Putin facesse «gesti» positivi non solo non si dovrebbero varare altre sanzioni, ma al contrario allentare quelle esistenti. Alcuni Paesi dell’Est vorrebbero invece seguire le orme dell’America. La Germania fa capire di non pensare a una de-escalation delle misure contro il Cremlino. Renzi si è collocato vicino a Hollande: «assolutamente no» a ulteriori sanzioni; e ha aggiunto che sulla Russia occorre fare una riflessione «diversa da quella fatta finora». Posizione controversa nella Ue, che continua a fare apparire l’Italia come uno dei Paesi più disponibili a considerare le argomentazioni di Putin.
Un semestre dopo, «svolte» vere e concrete nessuna. E 28 partner più divisi di prima. Esito modesto, si poteva e si doveva fare meglio.

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