sabato 3 gennaio 2015

GALLI DELLA LOGGIA ESORTA ANCHE L'EUROPA AL "COLPO DI RENI". LO DICE PURE DELL' ITALIA...CON LE STESSE PROBABILITA'...



Prendendo spunto dai recenti drammatici episodi di incidenti in mare dove si è scoperto che sulle navi coinvolte viaggiavano decine se non centinaia di clandestini, il tutto con la silente complicità delle aurità portuali greche, Ernesto Galli della Loggia denuncia il prevalere degli egoismi nazionali, la mancanza di una politica coesa comunitaria che testimonia l'assenza di un vero senso di appartenenza alla cosiddetta Unione Europea. Cose note, che il politologo vede senza soluzione in mancanza di un colpo di reni coraggioso che cambi radicalmente le regole attuali, mantenendo le quali l'equivoco europeo fallirà definitivamente. Io credo invece. in sintonia con Angelo Panebianco, che si dovrebbe prendere atto che questo senso di appartenenza non c'è e non ci sarà, per motivi storici, culturali e linguistici, per cui sarebbe meglio ridimensionare il progetto Europa, ciroscrivendo lo stesso ad alcune aree e solo a quelle, limitando conflitti veri e unità false.



Gli egoismi nazionali 
e l’audacia che serve all’ue


È tale l’estraneità dell’Unione Europea a qualunque dimensione politico-statale che di quanto avviene ai suoi confini — per esempio di chi e come e quando li vìola — sembra che non gliene importi sostanzialmente nulla: nei fatti Bruxelles preferisce sempre girare lo sguardo dall’altra parte.
Si veda quanto è successo negli ultimissimi giorni lungo la frontiera marittima meridionale dell’Unione, quella più toccata dal problema dell’immigrazione clandestina. Problema per il quale l’Ue ha cercato anche di immaginare regole e controlli, di stabilire strategie di contenimento comuni, attribuendone la gestione almeno in teoria a un’apposita agenzia dell’Unione, Frontex.
Bene. Poi però c’è un Paese, la Grecia, nei cui porti, ormai è chiaro, le autorità chiudono gli occhi, non controllano nulla, e grazie a varie complicità fanno salire sulle navi in partenza quanti clandestini lo vogliano, allo scopo, è molto probabile, di liberarsene mandandoli da qualche altra parte. Proprio questo, infatti, è ciò che verosimilmente è successo al Norman Atlantic. Nelle cui stive si addensavano decine di passeggeri non registrati destinati alla misera fine che sappiamo, e alcuni dei quali non sono forse estranei alla causa dell’incendio all’origine del naufragio. Ancora: appena dopo due giorni, le stesse autorità greche hanno lasciato tranquillamente transitare davanti alle loro coste il cargo Blue Sky M, carico di un migliaio di clandestini 


Tutto ciò nonostante le medesime autorità avessero ricevuto un Sos ma si fossero poi dette rassicurate da una sedicente ispezione a bordo che non aveva trovato nulla di anomalo. Sì, proprio nulla: tanto è vero che trascorse poche ore il cargo si dirigeva senza guida, con il timone e il motore bloccati, diritto filato a fracassarsi sulle coste pugliesi se non fosse intervenuta la Guardia costiera italiana. Così come solo il massiccio intervento della medesima Guardia costiera nonché della nostra Marina e della nostra Aviazione sono state necessarie per evitare che il disastro del Norman Atlantic assumesse dimensioni ancora maggiori.
La domanda che questo insieme di fatti suscita è fin troppo ovvia: è ammissibile che un Paese dell’Unione Europea si comporti così nei confronti di un altro? Con una simile disinvoltura che rasenta la menefregaggine? Scaricando sulle sue spalle gli scomodi problemi che si trova a dover affrontare? Ma d’altra parte proprio in questo campo l’Italia non ha certo le carte in regola per protestare. L’Italia per prima, infatti, spesso evita di registrare gli immigrati clandestini che arrivano sul suo territorio, e che a norma degli accordi europei dovrebbe trattenere presso di sé, ma cerca invece di favorirne il passaggio verso altri Paesi: i quali, figurando così come prima destinazione, sono tenuti loro all’obbligo a cui noi fraudolentemente ci sottraiamo.
Quando insomma si arriva al dunque degli interessi e/o degli egoismi nazionali — e li si può far valere senza pagare pegno — la realtà dell’Europa è questa. Non certo quella rappresentata dalla solidarietà, dal sentirsi realmente uniti, parte di una stessa comunità. Altrimenti, del resto, non si spiegherebbe come sia possibile, tanto per fare un esempio, che da anni un terzo della popolazione proprio della Grecia sia costretta a vivere in una condizione di vera e propria indigenza, priva in molti casi di assistenza sanitaria, con migliaia e migliaia di bambini sottonutriti, senza che l’opulenta Europa lussemburghese, renana o scandinava abbia mai pensato di muovere un dito per prestarle il minimo soccorso.
Sta qui il vero nodo della mancata crescita politica dell’Unione. In questo inesistente o debolissimo senso di appartenenza a cui è pressoché impossibile porre rimedio fintanto che resteranno in piedi le attuali regole che presiedono al funzionamento dell’Unione, in specie dei suoi organi di vertice, fondate sulla lottizzazione e sull’assenza di responsabilità politica collettiva. Questa è la questione realmente cruciale, quella che viene prima di ogni altra e da cui ogni altra dipende: la riforma in senso forte della governance della costruzione europea. Facendola designare direttamente dal Parlamento, attribuendole poteri di governo diretti ed esclusivi in un certo numero di materie, per esempio nell’immigrazione e in certi ambiti della fiscalità generale: magari con la garanzia del diritto di veto attribuito a certe condizioni ai governi nazionali.
Se vuole sopravvivere, se vuole cercare di diventare un vero corpo politico, cioè un’entità coesa, tenuta insieme da un legame autentico, e perciò capace di un’azione efficace, l’Europa ha una sola strada davanti: quella di una stagione costituente radicale, audace. In mancanza di ciò, su troppe cose che contano continueremo ad andare in ordine sparso, magari a raccontarci la favola che tanto a «fare l’Europa» ci pensa il programma Erasmus, aspettando che inevitabilmente qualcuno prima o poi però,con le buone o con le cattive, decida di uscire dall’Unione e di chiederne il fallimento.

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