Non ho sentito le parole incriminate di Sacchi, quindi non so se siano state clamorosamente ( e forse in malafede, per montare il caso) fraintese, oppure l'ex CT si sia espresso in modo infelice.
Quello che so è che, leggendo l'intervista sul Corriere ad Arrigo, sono persuaso che sia sincero, e che, dichiarazioni fraintese o no, quello che lui stigmatizza non è il colore della pelle ma l'invasione di troppi stranieri (bianchi o neri non conta) nel nostro calcio.
E penso abbia ragione.
Poi certo, si può esseri tifosi dell'Inter ed essere felicissimi della legione straniera che da tempo è la loro squadra. Personalmente, preferisco le squadre che, pur cercando l'inserimento di stranieri di talento, cercano di avere un'ossatura nazionale.
«Io sono intelligente
non posso essere razzista »
«Né l’uno, né l’altro».
Ma come, le danno del razzista per aver detto «troppi giovani di colore nei settori giovanili» e lei non ci resta male?
«Le spiego: sono stupito. E molto anche. La mia storia, il mio presente, parlano per me. Come si fa a descrivermi come un razzista. Ho allenato per trent’anni, a ogni livello, e non ho mai fatto distinzioni di pelle. Sa quando abbiamo litigato il Milan e io? Quando io volevo ingaggiare Rijkaard e la società puntava a Borghi. Rijkaard è di colore, però mai e poi mai ci siamo messi a parlare di bianchi o neri, ma di gioco, di talento, di adattabilità alle mie idee. E io ho preso Rijkaard e non Borghi. Credo che i fatti mi abbiano dato ragione. E poi io non ho mai detto “troppi giovani di colore”. Ho commesso un’imprudenza, lo ammetto, ma in un discorso più ampio che riguardava i settori giovanili ho accennato a “tanti giocatori stranieri, tanti giocatori di colore”. Una frase che è stata strumentalizzata, fino all’accusa di razzismo».
Sepp Blatter l’attacca, in un tweet scrive: «Sacchi la smetta». Fabio Capello la difende: «Sacchi non voleva parlare di colore della pelle, ma di troppi stranieri nel calcio italiano. Macché razzismo».
«Ringrazio Fabio. Negli attacchi alla mia persona, alla mia cultura, riscontro un moralismo, un populismo, un opportunismo vigliacco. O pensano che io sia impazzito e mi metta a fare discorsi razzisti, oppure vogliono cercare una vetrina, ribadisco, ricca di demagogia e populista».
Ma qual è il suo pensiero rispetto al calcio italiano, alla ricerca del talento?
«Partiamo dal peccato originale. Il calcio italiano è esageratamente orientato all’ingaggio dello straniero. Come si dice? Il troppo stroppia. Non abbiamo un orgoglio Italia. Mi viene in mente il Real Madrid dove ho lavorato: lì i tifosi, la società, il movimento spagnolo privilegiavano il giovane calciatore che arrivava dalla cosiddetta “cantera”, il giocatore spagnolo proveniente dal settore giovanile. Da noi invece la tendenza è diversa: si va sullo straniero, cercandolo in ogni parte del mondo. Se va bene, ok, se invece il ragazzo si perde, lo si abbandona, creando degli infelici. I ragazzi non sono per nulla tutelati. Questo è ciò che penso, il colore della pelle non c’entra proprio niente».
Anche il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Delrio l’ha criticata.
«Sono convinto che se avesse sentito la registrazione integrale non l’avrebbe fatto».
Cercherà di chiarirsi con Graziano Delrio?
«Se desidera delle spiegazioni, sono pronto, certo non vado io a cercarlo».
Matteo Salvini, segretario della Lega, ha apprezzato le sue parole.
«Mi attaccano da sinistra, mi difendono da destra, io che non sono né di destra, né di sinistra. Tutte strumentalizzazioni politiche che avrei voluto evitare. Ho le mie idee...».
Per chi vota?
«Un tempo la Dc, poi ho sostenuto Silvio Berlusconi, un uomo che stimo. Ma non parliamo di politica, sono un uomo di sport, di calcio».
Appunto, questo calcio italiano non le piace più?
«No, il calcio mi piace sempre, sono un innamorato di questo sport. È l’ambiente che mi sta deludendo. Per quattro anni ho diretto il settore giovanile della Federcalcio, preferendo il contatto, il lavoro con i ragazzi, ad altre proposte, al ritorno su panchine prestigiose, proprio perché sarei stato lontano dal calcio business. Questo sì, non mi va giù».
Come lavora il nostro calcio sui giovani?
«Stiamo vivendo un periodo delicato, di difficoltà. Il calcio è spesso lo specchio del Paese. Riscontro nel calcio italiano un sentimento dominante, di pessimismo, e quando si è pessimisti è difficile essere creativi, avere pazienza, proprio quello che occorre lavorando sui giovani. Il talento ha bisogno di un programma a lunga scadenza. Se si vuole vincere, e subito per giunta, si cercano scorciatoie. Io nel mio operare sui giovani prima di tutto dicevo: cerchiamo il talento, sogniamo il campione, ma prima di tutto costruiamo l’uomo. Si capisce perché non posso essere razzista... Ho sempre pensato che il razzista sia un limitato. Scusatemi, io forse sono un po’ presuntuoso...».
Perché?
«Perché credo di essere intelligente. Ciò che non è un razzista».
Daniele Dallera
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