martedì 10 febbraio 2015

GALLI DELLA LOGGIA : SE LA DESTRA SI SPOSTA TROPPO A DESTRA


Ultimamente è aumentata l'attenzione per le sorti dello schieramento di Destra del paese, specialmente da parte di quegli osservatori che ritengono una buona cosa il sostanziale bipolarismo, se non addirittura il bipartitismo di stampo americano, con una salutare e fisiologica alternanza al governo (nel cd. ventennio berlusconiano, è stata la regola, anche se gli strabici non se ne sono accorti), e un'opposizione in grado di fare il suo mestiere e di candidarsi con vere possibilità di successo a conquistare la maggioranza alle elezioni successive.
La prospettiva crescente di un PD sostituto della DC che per quasi 50 anni governò il paese, oltretutto in una misura peggiorata dall'istituzione di una legge elettorale che assicura il controllo del Parlamento anche senza una effettiva maggioranza di consensi (il 40% dell'Italicum, che sarebbe anche compromesso accettabile, non lo è più se svincolato da una soglia minima di partecipanti al voto, potendo diventare, come si è visto in varie elezioni amministrative, un 25 se non addirittura un 20% dei voti effettivi ) preoccupa un po' coloro che hanno a cuore un andamento accettabile della vita democratica, a prescindere dal vincitore di turno.
Tra questi, Galli della Loggia, autore dell'editoriale che potete leggere di seguito.
Devo dire che non sono d'accordo con alcune considerazioni del celebre e apprezzato politologo. 
E' vero che i governi di Sinistra si possono permettere iniziative anche non apprezzate dalla parte radicale del loro elettorato, che in linea di massima rimane poi fedele (oddio, nel 2013 mica tanto, che lo smottamento verso Grillo a Bersani gli è costato Palazzo Chigi), Anzi, nel nostro singolare paese SOLO la Sinistra può attuare qualche riforma di "destra", reggendo meglio la protesta dei suoi membri e alleati, come intellettuali e sindacati.  Berlusconi che voleva rimuovere l'articolo 18 e riformare il lavoro si trovò 3 milioni in piazza, mentre la Camusso, contro il Jobs Act, ne avrà mobilitati, al di là delle fandonie, il 10%. Parimenti, qualche accenno di liberalizzazione e, ancor meno, di tagli alle spese, la Sinistra di governo riesce a farli digerire, sia pure con molti brontolii, per la Destra c'è la rivolta sociale.
Quindi, è vero che Berlusconi nei suoi governi ha fatto poco, ma Galli della Loggia mi perdonerà se io ho sentito, più che la mancanza di cose di "sinistra" in quegli esecutivi, la latitanza di riforme liberali ! 
Quanto all'attuale situazione, sicuramente la crescita di Salvini e il declino di Forza Italiam conseguente a quello del suo capo, sposta, visto le parole d'ordine del leader leghista, l'asse del centro destra TROPPO a destra, e quindi perdendo l'importante, decisivo favore dell'elettoraro moderato, che può ritenere di fidarsi di più del renzismo, che, per ora, mostra in effetti un PD non più asservito alla Sinistra-Sinistra, ma anzi con la prevalenza di un leader poco ideologizzato, senza pedigree ortodosso e proprio per questo più accettabile per chi si sente rassicurato da politiche "centriste". 
Però la situazione economica dell'Italia continua ad essere grave. Renzi si mostra bravo a sfruttare la sua situazione di forza quando ci sono passaggi elettorali come le europee o, recentemente, il Quirinale. 
Ma i dati sull'occupazione e la crescita continuano ad essere dolenti assai, e questo, prima di Mattarella, aveva portato il consenso per il PD e il suo capo in discesa netta. Adesso, come facilmente prevedibile (lo scrivemmo all'indomani dell'elezione del nuovo Capo dello Stato, senza aspettare i sondaggi) i vincitori sono in recupero (dal 34% risaliti al 36), ma ben lontani da quel mitizzato 40% delle europee.
Insomma, è sull'efficacia delle riforme economiche - Lavoro, Fisco, Ristrutturazione della spesa pubblica - che Renzi dovrà portare risultati. Lui si preoccupa di assicurarsi con alchimie anche scilipotiane i numeri in Parlamento, ma governare è altra cosa.
Comunque, Buona Lettura


Tutto ciò che manca alla destra
di Ernesto Galli della Loggia

 
Tutto lascia credere che l’elezione del presidente della Repubblica, avendo mandato all’aria il cosiddetto patto del Nazareno, abbia posto fine a quella strategia dei «due forni» sulla quale il governo Renzi ha fin qui potuto contare: cioè l’usodi maggioranze parlamentari di volta in volta diverse, includenti oppure no Forza Italia, a seconda dei provvedimenti da votare.Il che, tuttavia, non ha certo cancellato quello che è forse l’elemento chiave che nel nostro sistema politico nato nel 1994 assicura fisiologicamente, come un fatto abituale, un grosso vantaggio competitivo alla Sinistra rispetto alla Destra. Beninteso, ve ne sono parecchi, di questi elementi fisiologici di preminenza: il fatto, tanto per cominciare, che la Sinistra ha dietro di sé settori della società civile più compatti e in certo senso più strategici (ad esempio i media e la cultura); che può contare in linea di massima su una maggiore motivazione, e quindi fedeltà, del proprio elettorato; che essa ha maggiore familiarità e conoscenze con personalità e circuiti politici internazionali. Ce n’è uno però, come dicevo, più importante degli altri. Questo: la Sinistra, quandoè al governo, sa e può fare,pur se entro certi limiti e per intenderci alla buona, politiche sia di sinistra che di destra, dal momento che sa che anche in questo ultimo caso conserverà comunque i propri voti, e in più attirerà quasi certamente voti dal campo avversario. La Destra invece no: essa sa e può fare (quando pure ci riesce) solo politiche di destra; e dunque al massimo può conservare il bacino elettorale suo proprio non potendo tuttavia sperare di ampliarlo di molto.
Nella Seconda Repubblica ha funzionato così. Specialmente, come dicevo sopra, per effetto del diverso grado di fedeltà e di senso di appartenenza — o se si preferisce di «laicità» — che esiste in Italia tra il «popolo» di sinistra e quello di destra. Anche se è vero che in compenso la Destra gode del vantaggio di partenza di rappresentare socialmente la maggioranza del Paese. Sta di fatto che nel gioco politico iniziatosi nel ’94 mentre la prima riesce a disporre di due strade la seconda è sembrata sempre capace di percorrerne una sola.
Di tutto ciò, come ha mostrato ieri su queste colonne Michele Salvati, l’azione finora svolta da Matteo Renzi è il massimo esempio — ma non il solo: negli enti locali i casi sono moltissimi — di quanto sto dicendo. Pur con vari mal di pancia perché di certo in contrasto con molte sue premesse, la Sinistra renziana, infatti, può fare liberalizzazioni, riformare la Costituzione, cancellare privilegi nel mercato del lavoro, prendere di petto i sindacati, invocare inchieste e castighi sui vigili fannulloni di Roma, dare un’immagine di sé insomma (non importa che poi la realtà sia talvolta un’altra) diversa da quella sua tradizionale, e così facendo ricevere un gran numero di consensi pure dal centro e dalla destra. Che cosa è stata capace di fare invece di analogo in senso opposto nei suoi anni d’oro la Destra?
Certo, ha pesato molto la leadership berlusconiana, i cui limiti sono divenuti presto evidenti. Specialmente la sua scarsa determinazione e la sua inettitudine a tenere insieme la maggioranza e a guidarne l’azione di governo. Che infatti è apparsa fin da subito priva di un riconoscibile orientamento generale, di un qualunque disegno, sfilacciata in mille provvedimenti dettati dall’emergenza o da puri interessi particolari. La conclusione è stata che nei loro lunghi anni di governo, Berlusconi e i tanti che erano con lui non sono riusciti a trasmettere al Paese l’idea di che cosa potesse voler realmente dire un programma politico di destra, quali principi — se mai c’erano — essa mirasse a realizzare. Tanto meno — figuriamoci! — Berlusconi e i suoi (anche quelli che poi lo hanno abbandonato) sembrano aver mai pensato di spingersi su una strada programmatica che potesse apparire «di sinistra».
Questo è forse il principale problema che il tramonto dell’ex premier lascia in eredità alla sua parte. Se la Destra vuole tornare ad essere elettoralmente competitiva deve prefiggersi una linea che sia riconoscibilmente alternativa a quella della Sinistra, naturalmente, ma che al tempo stesso sappia interpretare anche alcune esigenze di fondo dell’ elettorato di quest’ultima. Ciò sarà possibile, io credo, ma solo a una condizione.
Una condizione che si spiega con la storia particolare del nostro Paese e delle sue culture politiche. Tra le quali quella liberal-democratica nei fatti si è sempre mostrata fragile, poco radicata e soprattutto incapace di sorreggere vaste ambizioni. Altrove sarà diverso, è certamente diverso, ma in Italia — come del resto in molti altri Paesi dell’Europa continentale — una sostanziale contaminazione della Destra moderata con punti programmatici diversi dai propri, i quali guardino verso sinistra, è possibile solo se la Destra riesce a integrare dentro di sé, stabilmente — non già in modo estrinseco sotto forma di fragili accordi di vertice che lasciano il tempo che trovano — la cultura del cattolicesimo politico.
Berlusconi ha pensato che fosse sufficiente un’alleanza con le gerarchie ecclesiastiche all’insegna di una strumentale condivisione di «valori irrinunciabili» (a lui e al suo ambiente peraltro del tutto estranei). Ma evidentemente non di questo si tratta. Bensì di fare i conti con quel lascito di idee e di propositi che vengono da una lunga storia e che hanno alimentato un’esperienza che è stata decisiva per la vicenda della democrazia italiana.
Altrimenti, per una Destra che oggi miri a contrastare l’egemonia renziana l’alternativa è una sola: quella di puntare spregiudicatamente su un massiccio smottamento ideologico-emotivo delle masse (popolari e non) verso particolarismi anarcoidi, verso forme di xenofobia e di antieuropeismo radicali. È la via attuale della Lega: una via tenebrosa e senza ritorno. 

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