martedì 10 febbraio 2015

OGGI RICORDIAMO LA TRAGEDIA DELLE FOIBE

 

Così come questo Blog desidera che non vengano dimenticati episodi come Porzus, con l'uccisione di venti partigiani "bianchi" da parte di quelli rossi, che volevano fare cosa gradita ai titini (post :  http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2015/02/70-anni-dalleccidio-di-porzus-io-voglio.html ) , parimenti e a maggior ragione diamo spazio al giorno della memoria per la tragedia delle Foibe, ignorate per 60 anni e finalmente poi riapparse nella storia della nostra nazione.
Chissà se alla Boldrini, costretta ad essere presente, gli avranno dato il bromuro per sopportare una simile "fascista" commemorazione...
Poche ma efficaci le righe di Dino Messina, sul Corriere della Sera.


Tragedia delle foibe il ricordo dopo l’oblìo

 
La cerimonia che si svolge oggi a Montecitorio con il capo dello Stato Sergio Mattarella e la presidente della Camera Laura Boldrini per celebrare il «Giorno del Ricordo delle Foibe e dell’Esodo giuliano-dalmata» non è un rito stanco. Istituito con una legge nel 2004, il Giorno del Ricordo suona come risarcimento alla memoria di quelle oltre diecimila vittime gettate vive nelle foibe, le cavità carsiche ai confini orientali, o uccise dopo processi sommari dai comunisti titini. Due le ondate di violenza omicida: la prima nel settembre-ottobre 1943, la seconda, più forte, nell’aprile maggio 1945. Settant’anni fa, quando in molte parti d’Italia si festeggiava la Liberazione, a Trieste, Gorizia, Monfalcone, nei territori dell’Istria si viveva nella paura.
Le esecuzioni non riguardavano soltanto gli ex fascisti, ma anche i partigiani non comunisti o quanti erano visti come ostacolo al disegno egemonico di Tito, appoggiato dal capo del Pci Palmiro Togliatti che il 19 ottobre 1944 dopo un incontro con Edvard Kardelj e Milovan Gilas, scrisse che «l’occupazione jugoslava è un fatto positivo, di cui dobbiamo rallegrarci e in tutti i modi favorire».
Degli eccidi del ‘43-’45 e dell’esodo dei trecentomila italiani che abbandonarono i territori diventati jugoslavi per mezzo secolo non si è potuto parlare. Una pagina lacerante della nostra storia tenuta nascosta per tre motivi.
Il primo è che la rottura fra Stalin e Tito ci spingeva a dar credito alla falsa vulgata di una «spontanea lotta di popolo» mentre si trattò di un piano preordinato che prevedeva l’annessione di Trieste alla Jugoslavia e la slavizzazione di un ampio territorio. Il secondo è l’imbarazzo dei governi italiani che volevano coprire i militari ancora in carriera responsabili di misfatti durante l’occupazione fascista. Il terzo sono le ambiguità politiche e culturali del nostro Partito comunista che crearono un clima di ostilità in tutta Italia attorno ai profughi giuliano-dalmati, spesso tacciati di fascismo.

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