venerdì 13 febbraio 2015

SPEZZEREMO LE RENI ALLA LIBIA ? LECITO DUBITARE, MA LA SITUAZIONE E' GRAVE




Sentire un ministro italiano, degli esteri oltretutto, dire "siamo pronti a combattere" strappa un sorriso amaro di scettcismo. Se poi quel ministro ha le fattezze e un nome come Gentiloni ancora di più.
Eppure il problema è serio, ché nella spiaggia oltre il Mar di Sicilia quelli dell' Isis sembrano stare per fare ciò che hanno già fatto in Siria e in Iraq. Con la differenza, per noi, che ce li avremmo alle porte di casa. Il disfacimento libico aveva già portato l'invasione ormai ininterrotta della Sicilia da parte dei disperati dell'Africa del Nord e vicini, con corollario di naufragi, vittime e polemiche tra buonisti, cinici e realisti, e solo per questo dramma l'Italia ha tutto l'interesse che in quel paese torni un governo non ostile che impedisca, come faceva Gheddafi, dietro compenso, che le sue coste siano la base dell'invasione di gommoni e bagnarole precarie verso il nostro paese. 
Figuriamoci di fronte alla prospettiva di una Libia in mano a quelli dello stato islamico...
Tempo fa, postammo l'intervista di un generale libico, Haftar, ex consigliere di GHeddafi, poi caduto in disgrazia, e forse amico degli occidentali, il quale spiegava come era anche interesse nostro, italiani in primis, aiutare lui e le sue forze, armandole, a prendere il potere e ristabilire l'ordine in Libia. Magari tutti i torti...




L’ambasciata italiana: “Lasciate subito la Libia” Gentiloni: noi minacciati, pronti a combattere

L’invito è stato spedito dalla sede diplomatica a Tripoli ai connazionali. Il Paese nel caos. Battaglia a Sirte, gli islamisti conquistano la radio e trasmettono la predica del Califfo





Guido Ruotolo 

Ci siamo. I nostri connazionali devono immediatamente rientrare in Italia. Per motivi di sicurezza. L’invito è stato spedito dalla nostra ambasciata a Tripoli. E potrebbe anticipare la finora solo ipotizzata chiusura della nostra stessa rappresentanza diplomatica. Sono ormai in pochi gli occidentali che si trovano in Libia. In queste settimane per motivi di sicurezza lo stesso personale della nostra ambasciata è stato richiamato a Roma, lasciando a Tripoli l’ambasciatore con i suoi più stretti collaboratori. 
Gli islamisti occupano Sirte  
La situazione si aggrava con il passare delle ore. Stamani i tagliagole del Daesh hanno occupato la radio di Sirte e controllano parte della città. I libici si sono svegliati sentendo la predica del leader dell’Isis Al Baghdadi alla radio mentre sono state messe sul web le immagini di 21 prigionieri in tuta arancione, ripresi sulla spiaggia di Sirte. Sono 21 cittadini egiziani, «miscredenti», «cristiani copti». Il presidente dell’Egitto al Sisi ha invitato i suoi connazionali a lasciare precipitosamente la Libia. Le bande jihadiste che si apprestano a uccidere gli ostaggi sono le stesse che qualche giorno fa uccisero a un posto di blocco un gruppo di miliziani di Misurata.  
L’allarme di Renzi  
Ieri, al Comitato parlamentare per la sicurezza della repubblica, il Copasir, il direttore dell’Aise, il servizio segreto estero, Stefano Manenti, ha confermato che la situazione in Libia sta peggiorando sempre di più e che sta maturando la decisione operativa di abbandonare la Libia. Al Consiglio Europeo, giovedì sera il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha lanciato un grido d’allarme per la situazione libica, prendendo atto che i tentativi di dialogo per un governo di pacificazione nazionale - promotore del tavolo negoziale il delegato dell’Onu, Bernardino Leon - non stanno producendo i risultati sperati. Renzi ha annunciato che l’Italia «è pronta a fare la sua parte». 
Una nuova Somalia?  
Affiorano, a livello internazionale, posizioni diverse su come affrontare la crisi libica. L’Italia spinge, per dirla con il ministro dell’Interno Angelino Alfano, per un rapido intervento della comunità internazionale: «Senza una rapida mobilitazione generale per la Libia correremo il rischio di vedere installato un califfato islamico alle nostre porte». Sembra quasi un benservito al commissario Onu Leon. Ma pensare a una forza internazionale di «peacekiping» senza trovare prima una intesa con le milizie armate significa rischiare una nuova Somalia. 
Gentiloni: “Pronti a combattere” 
La situazione tratteggiata dal ministro degli Esteri Gentiloni non è ottimista: «Se non si trova una mediazione in Libia, bisogna pensare con le Nazioni unite a fare qualcosa in più. L’Italia è pronta a combattere in un quadro di legalità internazionale». 

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