domenica 1 febbraio 2015

TRIONFO DI RENZINO, IL CENTRO DESTRA ASFALTATO. ALTRO CHE DC



Non c'è alcun dubbio che, dopo le elezioni europee, quella di ieri sia stata la giornata più luminosa per Matteo Renzi da quando è presidente del Consiglio. E' lui il trionfatore dell'elezione del presidente della Repubblica. Aveva detto che sarebbe stato eletto al quarto scrutino, e così è stato. Aveva detto che avrebbe preso almeno 600 voti e Mattarella è stato eletto con 665. Aveva detto che si sarebbe presentato con un nome che gli altri non avrebbero potuto rifiutare (non vi ricorda un po' il Padrino...? ), e così tutto sommato è stato (anche se Forza Italia ha votato, nemmeno intera, scheda bianca). 
Probabilmente non voleva nemmeno stravincere, come di fatto è accaduto, umiliando l'alleato di governo (Alfano) e quello fuori (Berlusconi). Però l'uomo è questo : sa di essere più forte e sconti ne fa pochi. Forse mi sbaglio, ma non ricordo precedenti elezioni in cui il Capo del Governo sia apparso così univocamente decisivo nella scelta del nuovo Capo dello Stato, tanto che un mio amico ha ironicamente domandato : Mattarella giurerà a Palazzo Chigi ? 
Se il vincitore assoluto, anche nei confronti della minoranza interna e dell'opposizione di sinistra, tutti allineati e coperti dietro a Mattarella, visto quantomeno come uno sgarbo grande a Berlusconi, è Renzi, altrettanto facile individuare i due terremotati dalla vicenda, Berlusconi e Alfano, e con loro il centro destra, che peraltro da tempo versa in pessima salute.
Del resto è questa la forza principale di Renzino : la debolezza di tutti gli altri. 
Molti vedono nell'attuale PD renziano, decisamente disancorato dalla sinistra identitaria (che infatti soffre alquanto, ma manda giù), e quindi commestibile anche per i progressisti di area centrista, la nuova DC (con tanto di correnti bellicose ma alla fine unificate dal collante del potere, o quello che resta di esso, nell'epoca della globalizzazione e delle regole europee). AL momento sembra proprio sia così.
Solo che, anche nella mancanza di alternanza al governo, nella Prima Repubblica la DC doveva fare i conti - senza premio di maggioranza - con i necessari alleati e comunque aveva all'opposizione un PCI forte e in grado, tramite la sua forte presenza in determinate regione del paese e il controllo del sindacato più rappresentativo, di far pesare i suoi veti. Adesso invece, a bilanciare l'attuale egemonia renziana cosa c'è ? Anche il Presidente si è scelto e vedremo quanto Mattarella sarà veramente indipendente rispetto al suo unico, vero Grande Elettore.
Ma ecco le amare e non confutabili osservazioni di Pierluigi Battista sul panorama desolato del popolo di centro destra. 




CENTRODESTRA in crisi 
cambiare o sparire 

 Nel giorno dell’elezione di Sergio Mattarella e del trionfo di Matteo Renzi, ciò che resta del centrodestra certifica la sua completa dissoluzione.  Lo spettacolo umiliante di questi giorni non rivela infatti soltanto insipienza tattica, confusione mentale, goffaggine estrema nel perseguire un obiettivo, paralisi psicologica nel complesso e infido gioco parlamentare, incapacità di stabilire una strategia minima di alleanze. Rivela nel modo più doloroso per chi nell’elettorato italiano ha guardato in passato al centrodestra l’evanescenza di ogni leadership. Un fondo di disperazione politica di fronte a un avversario forte che ha impresso una svolta impressionante nello scenario politico italiano. Un legame sempre più sottile con la società italiana: interi ceti sociali che abbandonano la rappresentanza berlusconiana, la quasi totalità degli enti locali (se si esclude il Veneto, una ridotta lombarda e qualche macchia nel Sud) in mano al Pd, un’opinione pubblica frastornata, muta, sconfortata, residuale. Un partito afasico, con un leader che le vicende giudiziarie hanno piegato e ferito molto più di quanto non si dica. Una classe dirigente mediocre e inadeguata che pensa al partito come a una corte in fuga, in attesa di una parola e di un favore elargiti da un monarca sempre più appannato, come nell’ Ancien Régime alla vigilia del 1789. Forza Italia nel caos. Il «Nuovo centrodestra» vissuto come un poltronificio, i «Fratelli d’Italia» prigionieri di un reducismo minoritario. E accanto l’unico leader in partita, in crescita, aggressivo, capace di mietere nuovi consensi: Matteo Salvini. Che però è l’opposto di un centrodestra di governo: è la destra di protesta, vociante ed energica ma che non potrà mai aspirare a contendere a Matteo Renzi l’ingresso a Palazzo Chigi.
Il centrodestra ha cominciato a morire nel novembre del 2011, con l’estromissione traumatica di Berlusconi dal governo. Il Pdl era già spaccato in fazioni, il leader sembrava sul viale del tramonto, ma solo la non vittoria di Bersani nelle elezioni del 2013 ha dato la sensazione che il centrodestra, dopo aver perso 16 punti percentuali in soli 5 anni, potesse risorgere. Intanto il Pd si rinnovava, con le primarie imponeva il suo dibattito nell’agenda politica e nel mondo dell’informazione e dell’immagine, con la vittoria di Renzi si dimostrava capace di parlare a un mondo che non era già rinchiuso nei recinti del centrosinistra classico. E nel centrodestra? Con il leader condannato ai servizi sociali e un Pd in vertiginosa ascesa, il centrodestra berlusconiano si è aggrappato al «patto del Nazareno» come ultima spiaggia per contare qualcosa e addirittura per cointestarsi la regia delle riforme istituzionali: Berlusconi a Cesano Boscone al mattino, ma Padre della Patria nel pomeriggio. Ma un «patto» prevede, se non la perfetta parità, almeno una passabile equivalenza dei due contraenti. Le vicende di questi giorni, con il metodo renziano del prendere o lasciare, hanno dimostrato che tra i due contraenti del patto, uno detta le condizioni, l’altro può solo rincorrere e accettare i ritmi e le forme che il contraente giovane, pieno di futuro, carico di energia, spavaldamente certo di giocarsi la grande partita della vita impone al contraente stanco, sfiduciato, nel pieno del declino, con un partito sempre più fragile, silente, stordito.
E ora? Ora tra un Ncd che ha misurato in questi giorni tutta la sua precaria irrilevanza, con Forza Italia dilaniata da scontri mortali e una Lega salviniana sempre più tonica ma che rischia di trascinare l’intero schieramento dietro le sirene dell’antieuro e della guerra santa contro l’immigrazione, o nel centrodestra ci si rende conto che bisogna cambiare tutto, oppure il tramonto sarà inevitabile e doloroso. Cambiare tutto significa rimettere in discussione la leadership, il modo di essere, l’identità culturale. Significa un salutare bagno democratico. Rimettersi a parlare con il mondo e non starsene rinchiusi nella fortezza sempre più asfittica di un cerchio magico ripiegato in se stesso a contemplare le rovine. Altrimenti il bipolarismo italiano si trasformerà in monopolarismo, e una democrazia ha bisogno di almeno due competitori per essere sana e vitale. Perciò la dissoluzione del centrodestra riguarda l’intera politica italiana. Non una questione interna alla galassia tardo-berlusconiana, ma un problema dell’intero sistema. Se vogliamo ancora il bipolarismo.

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