mercoledì 4 marzo 2015

MICHELE AINIS E GLI ITALIANI, L'UNO CONTRO L'ALTRO ARMATI

Decisamente desolante, ma difficilmente opinabile, la fotografia che Michele Ainis propone dello stato di lotte corporative e partitiche che squassono il tessuto sociale, proponendo non solo conflitti esterni - lobby contrapposte - ma anche interni.
Il tutto favorito anche da regole multiformi e confuse.




Il caos delle regole divide le professioni





L’Italia unita non è mai stata troppo unita. Corporazioni e campanili recano i segni di un’antica divisione, cui generalmente manca ogni visione. Mai un progetto slacciato dal proprio tornaconto, mai una scintilla di solidarietà. Ma adesso divampa un fenomeno senza precedenti: l’implosione delle lobby. E dei partiti, e delle parti sociali. Perché alla guerra contro il nemico esterno si va sostituendo la guerra intestina, il conflitto tra fazioni armate l’una contro l’altra. E forse è questa l’eredità più consistente che ci lascia in corpo l’anno I del governo Renzi I.
Non che le categorie professionali abbiano smesso di combattersi. Per dirne una, a febbraio il disegno di legge Concorrenza ha acceso livori e furori. Derby fra notai e avvocati, dato che questi ultimi potranno surrogare i primi nella compravendita d’immobili fino a 100 mila euro. E contro gli avvocati pure i commercialisti (perché loro sì e noi no?). Infine geometri e architetti contro l’apertura del mercato privato alle società d’ingegneria. Mentre fra avvocati e medici, sempre il mese scorso, s’è aperta una battaglia a colpi di spot televisivi. Da un lato, l’esortazione a denunziare la malasanità; dall’altro, la maledizione nei confronti degli «avvoltoi» dei risarcimenti.
Scaramucce, rispetto allo scontro che infuria in ogni dove. Perché la notizia di giornata è questa: lo scontro s’estende a tutti i corpi associativi, e per l’appunto si consuma al loro interno, volge in lotta fratricida. Nella magistratura l’unità delle correnti, da sempre divise per accaparrarsi posizioni, e però sempre coese nella difesa corporativa del potere giudiziario, è andata in fumo sulla riforma della responsabilità civile: i moderati volevano lo sciopero, le correnti di sinistra no. Nel frattempo si spacca Magistratura indipendente, in sospetto di connivenza col governo per interposto sottosegretario (Cosimo Ferri); e Davigo fonda una nuova corrente. Ma si spacca altresì la Cgil, dilaniata dal conflitto tra Camusso e Landini. Si spacca la Lega Pro del calcio (29 club contro altri 29 sulla fiducia al presidente Macalli). E si spacca, in generale, ogni categoria investita dalle riforme del governo.
Così, la riforma Delrio delle Province ha avuto l’effetto di porre i loro dipendenti contro gli altri dipendenti pubblici. La riforma Giannini della scuola promette d’innescare una contesa fra precari semplici e abilitati. La riforma Madia dell’amministrazione, insieme al tetto sugli stipendi pubblici, ha riacceso il malanimo fra impiegati e dirigenti. I chirurghi sono sul piede di guerra contro il comma 566 della legge di Stabilità, che li equipara alle altre professioni sanitarie. A dicembre i giovani avvocati si sono rivoltati contro la Cassa forense: in seguito a un regolamento del governo, quest’ultima ha trasformato i contributi previdenziali in un salasso. All’università la penuria di risorse ha posto, ormai da tempo, i ricercatori contro i professori. Con il futuro accorpamento dei tg, anche alla Rai si preannunziano lotte per la sopravvivenza. Senza dire del progetto d’unificare le forze di polizia, sempre annunciato e sempre rimandato: 5 corpi sono troppi, ma alla fine della giostra c’è il rischio che ne rimanga in piedi uno soltanto, con una pistola fumante tra le mani.
Dice: ma dopotutto non c’è di che allarmarsi, se qualcuno s’arrabbia significa che qualcuno ci rimette, significa perciò che le riforme stanno cambiando la faccia plumbea di questo Paese. Vero, ma fino a un certo punto. Non se monta una rabbia di tutti contro tutti. Non se la divisione penetra come un coltello nel corpaccione dei partiti, delle stesse istituzioni. A destra, Forza Italia è spaccata tra Berlusconi e Fitto, la Lega tra Zaia e Tosi. A sinistra, il Pd ha più correnti del Mar dei Caraibi. Non solo nella minoranza, frastagliata tra bersaniani, civatiani, lettiani, cuperliani, fioroniani, bindiani, dalemiani. Non solo in mezzo con i Giovani turchi, un piede di qua, l’altro di là. No, anche la maggioranza si scheggia in varie minoranze. A breve — con la benedizione di Delrio — il battesimo dei catto-renziani, autonomi e distinti dai renziani-renziani. Di questo passo lo stesso Renzi finirà tagliato in due come il visconte dimezzato di Calvino.
Infine il seme della discordia mette radici nella cittadella delle nostre istituzioni. Attraverso l’abuso dei decreti, che ha provocato ruvide carezze fra la presidenza della Camera e quella del Consiglio. E di nuovo attraverso le riforme. La legge elettorale, che distingue fra capilista bloccati e candidati votati, alimentando un bel dubbio di legittimità costituzionale. Il Parlamento prossimo venturo, con una Camera d’eletti e un Senato di negletti. Divide et impera , dicevano i latini. Ma a forza di dividere, nella bandiera italiana rimarranno soltanto le bande. Armate.

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