Decisamente desolante, ma difficilmente opinabile, la fotografia che Michele Ainis propone dello stato di lotte corporative e partitiche che squassono il tessuto sociale, proponendo non solo conflitti esterni - lobby contrapposte - ma anche interni.
Il tutto favorito anche da regole multiformi e confuse.
Il caos delle regole
divide le professioni
L’Italia unita non è mai stata troppo unita. Corporazioni e campanili
recano i segni di un’antica divisione, cui generalmente manca ogni
visione. Mai un progetto slacciato dal proprio tornaconto, mai una
scintilla di solidarietà. Ma adesso divampa un fenomeno senza
precedenti: l’implosione delle lobby. E dei partiti, e delle parti
sociali. Perché alla guerra contro il nemico esterno si va sostituendo
la guerra intestina, il conflitto tra fazioni armate l’una contro
l’altra. E forse è questa l’eredità più consistente che ci lascia in
corpo l’anno I del governo Renzi I.
Non che le categorie professionali abbiano smesso di combattersi. Per
dirne una, a febbraio il disegno di legge Concorrenza ha acceso livori e
furori. Derby fra notai e avvocati, dato che questi ultimi potranno
surrogare i primi nella compravendita d’immobili fino a 100 mila euro. E
contro gli avvocati pure i commercialisti (perché loro sì e noi no?).
Infine geometri e architetti contro l’apertura del mercato privato alle
società d’ingegneria. Mentre fra avvocati e medici, sempre il mese
scorso, s’è aperta una battaglia a colpi di spot televisivi. Da un lato,
l’esortazione a denunziare la malasanità; dall’altro, la maledizione
nei confronti degli «avvoltoi» dei risarcimenti.
Scaramucce,
rispetto allo scontro che infuria in ogni dove. Perché la notizia di
giornata è questa: lo scontro s’estende a tutti i corpi associativi, e
per l’appunto si consuma al loro interno, volge in lotta fratricida.
Nella magistratura l’unità delle correnti, da sempre divise per
accaparrarsi posizioni, e però sempre coese nella difesa corporativa del
potere giudiziario, è andata in fumo sulla riforma della responsabilità
civile: i moderati volevano lo sciopero, le correnti di sinistra no.
Nel frattempo si spacca Magistratura indipendente, in sospetto di
connivenza col governo per interposto sottosegretario (Cosimo Ferri); e
Davigo fonda una nuova corrente. Ma si spacca altresì la Cgil, dilaniata
dal conflitto tra Camusso e Landini. Si spacca la Lega Pro del calcio
(29 club contro altri 29 sulla fiducia al presidente Macalli). E si
spacca, in generale, ogni categoria investita dalle riforme del governo.
Così, la riforma Delrio delle Province ha avuto l’effetto di porre
i loro dipendenti contro gli altri dipendenti pubblici. La riforma
Giannini della scuola promette d’innescare una contesa fra precari
semplici e abilitati. La riforma Madia dell’amministrazione, insieme al
tetto sugli stipendi pubblici, ha riacceso il malanimo fra impiegati e
dirigenti. I chirurghi sono sul piede di guerra contro il comma 566
della legge di Stabilità, che li equipara alle altre professioni
sanitarie. A dicembre i giovani avvocati si sono rivoltati contro la
Cassa forense: in seguito a un regolamento del governo, quest’ultima ha
trasformato i contributi previdenziali in un salasso. All’università la
penuria di risorse ha posto, ormai da tempo, i ricercatori contro i
professori. Con il futuro accorpamento dei tg, anche alla Rai si
preannunziano lotte per la sopravvivenza. Senza dire del progetto
d’unificare le forze di polizia, sempre annunciato e sempre rimandato: 5
corpi sono troppi, ma alla fine della giostra c’è il rischio che ne
rimanga in piedi uno soltanto, con una pistola fumante tra le mani.
Dice: ma dopotutto non c’è di che allarmarsi, se qualcuno s’arrabbia
significa che qualcuno ci rimette, significa perciò che le riforme
stanno cambiando la faccia plumbea di questo Paese. Vero, ma fino a un
certo punto. Non se monta una rabbia di tutti contro tutti. Non se la
divisione penetra come un coltello nel corpaccione dei partiti, delle
stesse istituzioni. A destra, Forza Italia è spaccata tra Berlusconi e
Fitto, la Lega tra Zaia e Tosi. A sinistra, il Pd ha più correnti del
Mar dei Caraibi. Non solo nella minoranza, frastagliata tra bersaniani,
civatiani, lettiani, cuperliani, fioroniani, bindiani, dalemiani. Non
solo in mezzo con i Giovani turchi, un piede di qua, l’altro di là. No,
anche la maggioranza si scheggia in varie minoranze. A breve — con la
benedizione di Delrio — il battesimo dei catto-renziani, autonomi e
distinti dai renziani-renziani. Di questo passo lo stesso Renzi finirà
tagliato in due come il visconte dimezzato di Calvino.
Infine il
seme della discordia mette radici nella cittadella delle nostre
istituzioni. Attraverso l’abuso dei decreti, che ha provocato ruvide
carezze fra la presidenza della Camera e quella del Consiglio. E di
nuovo attraverso le riforme. La legge elettorale, che distingue fra
capilista bloccati e candidati votati, alimentando un bel dubbio di
legittimità costituzionale. Il Parlamento prossimo venturo, con una
Camera d’eletti e un Senato di negletti. Divide et impera , dicevano i
latini. Ma a forza di dividere, nella bandiera italiana rimarranno
soltanto le bande. Armate.
Nessun commento:
Posta un commento