In una domenica tranquilla, almeno sul Corriere della Sera, mi piace dare spazio al breve omaggio che Sergio Romano, stimolato dalla lettera di un lettore, dedica a Renzo De Felice, grande storico del periodo fascista. La sua vasta opera - 4 poderosi volumi e migliaia di pagine - fu richiesto e apprezzatissimo regalo di laurea
(unitamente a quella di Romeo su Cavour).
Allo storicismo mediocre e partigiano, in tutti i sensi, di quella che Romano chiama la "vulgata resistenziale", De Felice non poteva piacere. Ma la serietà dello studioso e la bontà del suo lavoro sono stati più forti dei pregiudizi di questi signori.
Una volta tanto.
Omaggio a De Felice
Storico del fascismo
Il suo accenno a Renzo De Felice nella risposta di sabato 14 febbraio mi fa riemergere un antico quesito a cui non ho mai saputo dare una risposta, ossia: come ha potuto lo storico De Felice riuscire a svolgere la professione di storico e a affermarsi come storico, mantenendo fra l’altro l’impegno di docente universitario, in una Italia in cui tutta la cultura era dominata da una visione univoca della storia?
Cesare Scotti
Caro Scotti,
Le consiglio la lettura di un interessante articolo su De Felice scritto da Dino Cofrancesco (storico del Pensiero politico nella Università di Genova) per Nuova Storia Contemporanea , la rivista diretta da Francesco Perfetti. Constaterà anzitutto che De Felice non fu mai solo. In Italia poté contare sulla stima e l’amicizia dei maggiori studiosi liberali, da Rosario Romeo a Nicola Matteucci, e sullo spazio che Il Giornale di Indro Montanelli offriva quotidianamente agli scrittori che non erano prigionieri di quella che fu definita la «Vulgata resistenziale».
Il fascismo occupò per più di vent’anni la scena politica nazionale, attraversò fasi alterne di consenso e dissenso, creò istituzioni che vennero in parte ereditate dalla Repubblica democratica. Trattarlo alla stregua di un buco nero significava rinunciare a comprendere perché gli italiani, fra il 1922 e il 1926, avessero fatto quella scelta. Tutti sciocchi o incantati dal fascino del Duce? Come era prevedibile, De Felice si scontrò con un certo antifascismo dogmatico e conformista. A Roma, nel 1981, ho preso parte alla presentazione del quarto volume della sua monumentale biografia di Mussolini («Lo Stato totalitario 1936-1940») e ho ascoltato i suoi critici muovere le solite obiezioni e manifestare i soliti timori. Per quella occasione, tuttavia, era venuto a Roma da Torino anche Giulio Einaudi, editore di De Felice, ma anche dei «Quaderni del carcere» di Antonio Gramsci e di altri scrittori antifascisti. Anche quando avrebbe potuto scegliere altri editori, il rapporto fra De Felice e Einaudi rimase saldo fino alla morte dello storico.
Vi è un altro fattore, caro Scotti, che ha molto contribuito alla reputazione di De Felice. La sua opera così pacata e distaccata piacque anche a molti esponenti del vecchio regime che volevano riscattare la loro immagine e avevano nei loro archivi lettere, diari, documenti. Molti dettero le loro carte a De Felice perché sapevano che sarebbero state utilizzate con equanimità. Lo storico divenne così il destinatario di una importante documentazione, ora custodita dalla Fondazione Ugo Spirito-Renzo De Felice.
Nessun commento:
Posta un commento