venerdì 17 aprile 2015

LUCI E OMBRE DELLA SENTENZA DI STRASBURGO SU CONTRADA

 

 La sentenza della Corte Europea di Strasburgo che condanna lo Stato Italiano per aver condannato a sua volta Bruno Contrada per un reato che, all'epoca della commissione, non era tale, è naturalmente giunta gradita, e la soddisfazione si è accresciuta nel constatare lo scorno palese di alcuni magistrati - ed ex - a seguito della stessa.
Tra l'altro, chissà se ha ragione Errico Novi, del Garantista, nell'osservare che sulla base dello stesso principio andrebbe annullata la condanna che sta scontando dell'Utri, visto che anche per lui i fatti contestatigli sono antecedenti al 1994, data per la quale il reato di concorso esterno alla Mafia andrebbe considerato, secondo i giudici europei, "in vigore". 
Peraltro Novi ipotizzava la soluzione della grazia, in considerazione che anche la Cedu ha tempi non brevi (per Contrada circa 7 anni, tra una cosa e l'altra), e finirebbe che la pronuncia, prevedibilmente analoga a questa ( da quelle parti si spera siano un attimino più coerenti con le proprie decisioni, non applicando il principio nefasto "giudice che vai, sentenza che trovi") arriverebbe quando Dell'Utri avrebbe finito di scontare una pena.
La sentenza di Strasburgo però ha un retrogusto molto amaro, perché avalla qualcosa che da noi si contesta, finora vanamente, da 20 anni, e cioè che la Giurisprudenza della Cassazione possa divenire fonte normativa. E già perché si ha un bello sfogliare il codice penale, ma questo "concorso esterno in associazione mafiosa" NON C'E'. 
I giudici e i loro serventi sostengono che si evince dal "combinato disposto" di altre due norme, invece esistenti, ma si tratta di una evidente forzatura. Come diceva Boskov, "rigore è quando arbitro fischia", e "reato è quando il LEGISLATORE lo definisce tale". Non ci sono nel nostro sistema di Diritto altre fonti (poi i legislatori sono diversi, si sa...statali, regionali, comunali....in un florilegio infinito e devastante la legalità) e quindi i giudici si devono limitare ad applicare le esistenti. Anche interpretandole, certamente, ma sempre col compito di risalire alla volontà del legislatore, non certo alla propria. 
Vincenzo Vitale scrive un bell'articolo al riguardo e noi lo pubblichiamo. DI seguito trovate il commento di una lettrice, evidentemente non fan del giornalista che riporto solo per dare spazio alla mia replica, postata sul Garantista, ed esprimere una volta di più cosa penso di certi commenti e commentatori del web.
Buona Lettura 


Il Garantista

Primo importante stop, ma con alcune ombre

 di VINCENZO VITALE


a. Buno Contrada

E così, dopo oltre vent’anni, la Corte Europea dei diritti umani ha condannato lo Stato italiano per aver processato
Bruno Contrada per concorso esterno in associazione mafiosa. Stabilendo in tal modo, la Corte ha per un verso ragione, ma per altro torto e spiego subito il perché.

La Corte ha affermato la responsabilità dello Stato italiano e lo ha condannato a risarcire il danno (probabilmente simbolico ) di diecimila euro, in quanto all’epoca dei fatti – cioè tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta, il suddetto delitto non era stato ancora individuato dalla giurisprudenza con sufficiente univocità, come poi invece è accaduto – continua la Corte – dopo la metà degli anni Novanta.
Ne viene che all’epoca dei fatti contestati, in base al principio di legalità, che esige si possa essere giudicati e condannati solo per reati previsti come tali dalla legge prima dei fatti contestati, Contrada, e nessuno con lui, poteva conoscere che certe azioni sarebbero state considerate punibili e perciò il processo a suo carico per quelle imputazioni non poteva essere celebrato.
Ma siccome lo si è celebrato con durezza per molti anni, si è violato il principio di irretroattività della legge penale – secondo il quale appunto la legge penale deve prevedere i reati “prima” che i relativi comportamenti vengano posti in essere – e da qui la condanna dello Stato italiano e il risarcimento.
Tutto bene allora ? Non proprio.
Infatti, la Corte Europea, ragionando in tal modo, dimentica una cosa fondamentale e cioè che il principio di legalità che essa stessa invoca ed applica prevede testualmente che «nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente preveduto come reato dalla legge né con pene che non siano da essa stabilite» .  La Corte dimentica insomma che a prevedere i reati e a dichiararli punibili deve essere la legge e soltanto la legge e che, per giunta, tale previsione deve esser fatta dalla legge “espressamente”, cioè senza sottintesi o rimandi di alcun genere .
Nel caso del concorso esterno in associazione mafiosa, invece, la previsione dei comportamenti punibili è del tutto aleatoria, in quanto effettuata per mezzo di elaborazioni giurisprudenziali, per natura oscillanti e modificabili.  Per due volte perciò questo fantomatico reato viola gravemente il principio di legalità, che è il vero cardine dello Stato di diritto: per un verso, perché non è la legge a prevederlo e a punirlo, ma sono i Tribunali e le Corti; per altro verso, perché tale previsione dovrebbe essere “espressa” – vale a dire testuale – ed invece è del tutto implicita, sottintesa, adombrata da interpretazioni e valutazioni esegetiche di fatti e norme operate appunto dai giudici.
Sicché, a rigore, nessuno può sapere con certezza quali siano considerati comportamenti punibili a titolo di concorso esterno in associazione mafiosa, neppure oggi, cioè neppure in epoca successiva alla metà degli anni novanta alla quale si riferisce la Corte Europea, proprio perché la giurisprudenza – dal momento che non si identifica con la legge – si evolve, cambia, torna sui suoi passi, come è normale che sia: non è né può essere sclerotizzata per decenni.
A ciò si aggiunga – altro aspetto sfuggito all’attenzione della Corte Europea – che se il diritto esige che a stabilire i reati sia la legge, e non altra cosa, c’è una ragione precisa e indefettibile: e cioè che la legge – e soltanto la legge – è di sicuro conoscibile da parte di tutti i cittadini.
Ciò è tanto vero che la Corte Costituzionale italiana con una celebre sentenza del 1988 ha stabilito che nel caso in cui il testo della legge sia oscuro e non comprensibile da una persona dotata di normale capacità di intendere, allora essa non obbligherà tale persona, perché costui non era stato messo in grado di comprenderne l’effettiva portata.

Ne deriva che se la Corte Europea avesse ragione anche in questo, tutti dovremmo farci assistere senza soluzione di continuità da avvocati ed esperti di diritto in ogni atto della vita quotidiana: perché solo costoro sarebbero in grado (ammesso che siano abbastanza bravi e preparati) di cogliere la reale portata della evoluzione giurisprudenziale in tema di concorso esterno: il che, pur se garberebbe agli avvocati che potrebbero vedere lievitare i loro guadagni, rimane del tutto assurdo.
Lo Stato di diritto e la Costituzione italiana esigono insomma la conoscenza della legge, non della giurisprudenza: nemmeno la Corte Europea è legittimata a sovvertire questo principio irrefutabile del vivere secondo diritto.
Invece, ormai da anni, la giurisprudenza italiana, svincolata da ogni limite di carattere testuale e legale, fa in proposito il bello e il cattivo tempo.
Oggi è arrivato un primo stop, ma non basta: siamo appena all’inizio.


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Commento di Maria Auriemma 
Ma la pianti ! E non dimentichi mai le porcherie che scriveva contro i giudici Falcone e Borsellino. E per quegli scritti dovrebbe vergognarsi fino al suo ultimo giorno di vita !

Il mio controcommento 

 Io apprezzo la mancanza di censura, il fatto che i commenti vengano accettati ancorché contrari all’autore dell’articolo. Però quelli finalizzati solo ad approfittare dello spazio dato per sfogarsi di antichi livori (qui si fa riferimento a Falcone e Borsellino…), senza entrare minimamente nel merito del post…Ecco, un commento così andrebbe immediatamente rimosso. Perché insensato, senza alcun ragionamento sul tema trattato, solo la possibilità di poter dire “vergogna !”, parola ormai tanto cara all’italica gente (e probabilmente mai come in questi casi sarebbe vero l’evangelico “scagli la prima pietra…”).
L’articolo di Vincenzo Vitale è giuridicamente corretto. Molti avvocati preparati hanno fatto le stesse considerazioni, esprimendo le loro forti perplessità per una sentenza, quella europea, che pure ribadisce un principio sacrosanto, quello della irretroattività della legge penale. Ma resta il problema dell’abuso giurispudenziale, che diventa fonte normativa laddove il nostro sistema NON lo prevede. Forse i giudici di Strasburgo hanno fatto confusione coi sistemi di Common Law, ma il nostro, appunto, non è tra questi.
Se la lettrice ha motivo di contestare questo assunto, noi la leggeremo con attenzione ed educazione.

Altrimenti non è lei a sbagliare, ma i quotidiani che danno accesso a qualsiasi sfogo.
 

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