sabato 23 maggio 2015

LA DIFESA ( IMPOSSIBILE ) DEL TRASFORMISMO

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Ho scritto altre volte che apprezzo e stimo Michele Salvati, commentatore di sinistra spesso ospite nella pagina delle opinioni del Corriere della Sera. Lo leggo sempre e ormai riconosco stile ed idee senza bisogno di vedere la sua firma in calce all'articolo. Per questo mi dispiace quando capita, come oggi, che l'uomo si faccia prendere la mano da un pur comprensibile animus partigiano.
Salvati non credo sia renziano nel senso di fan del premier, però ha fiducia (forse speranza è il termine più esatto ?)  che Renzi possa effettivamente attuare un programma riformatore, con tutti i limiti derivanti da una situazione estremamente difficile, per ragioni storiche e contingenti.
E fin qui, nulla di male. Però da qui a far diventare il "trasformismo", qualcosa di positivo....
Siccome non è stupido, l'autore del post che trovate appresso, si trincera dietro la rievocazione storica del fenomeno in Italia, riprendendo in questo un editoriale di qualche giorno fa di Galli della Loggia, facendo finta di non vedere cosa invece è OGGI il trasformismo : il mercato delle vacche, favorito dal bisogno spasmodico dei parlamentari di rimanere attaccati alla loro poltrona, vinta come un terno a lotto grazie al combinato disposto di una legge poi dichiarata incostituzionale, che eleggeva i nominati dalle segreterie, con l'eccezione dei grillini dove, grazie alla scempiaggine delle parlamentarie in rete, si è diventati onorevoli con i voti di mamma, papà e qualche decina di amici e parenti...
Michele Salvati, per difendere QUESTO trasformismo, dovrebbe lasciare in pace Depretis, e rispondere cortesemente a due domande :
1) cosa ne pensa del fatto che oltre 250 eletti abbiano cambiato casacca in due anni di legislatura. Il record di voltagabbana (Salvati, di questo si tratta ! ) apparteneva a quella precedente, dove però se ne contarono di meno - circa 200, e sembravano già un esercito - e nell'arco dell'intera legislatura  ?!
2) se mi cita un esempio di paese democratico "avanzato" - per usare un termine caro alla sua parte - dove la legge elettorale prevede un premio di maggioranza simile all'Italicum. Sicuramente non parla di USA, di GB, Germania e nemmeno Francia, che quelli li conosco abbastanza bene.  






Se il trasformismo fa bene alle riforme



I nostri politici studieranno i risultati delle imminenti elezioni regionali con lo stesso interesse che gli aruspici romani dedicavano alle viscere dell’animale prescelto per il vaticinio. Dalle regionali si trarranno poi congetture per le più lontane elezioni nazionali: continuerà la resistibile ascesa di Matteo Renzi e il disfacimento di Forza Italia? Riuscirà Salvini a estendere la sua influenza a tutto il Paese? Il disgusto e l’indignazione per la politica continueranno a gonfiare le vele dei Cinque Stelle? Nessuno può negare che si tratti di interrogativi importanti, meritevoli di analisi, sondaggi e vaticini. Credo però che cittadini, politici e commentatori debbano rassegnarsi ad una fase non breve di instabilità e di incertezza, diversa sia dalla facile prevedibilità della Prima Repubblica (prevalenza sicura della Dc e dei suoi alleati), sia da quella della Seconda (vittoria o sconfitta di Berlusconi e alleati contro sinistra e alleati), esito questo meno facile da prevedere ma inquadrato in uno schema bipolare chiaro. Questo schema oggi è in pezzi e quale sia quello che lo sostituirà è per ora ignoto.
In un editoriale di grande interesse ( Corriere della Sera , 17 maggio) Ernesto Galli della Loggia vede nel nostro futuro quel che era già avvenuto nel passato, un esito trasformistico, l’impossibilità di organizzare stabilmente la competizione politica sulla base di due schieramenti. Alternativi sì, ma idonei a governare per il rispetto che entrambi nutrono per i principi del liberalismo e della democrazia, per l’adeguatezza dell’analisi dei mali del Paese e delle riforme necessarie a contrastarli, per la qualità delle classi dirigenti che possono mettere in campo: vogliamo chiamarli una destra e una sinistra civili? Il trasformismo di Depretis nasceva proprio dal riconoscimento che, raggiunta l’Unità attraverso il Regno, le vecchie passioni che avevano alimentato il conflitto tra destra monarchica e sinistra repubblicana si andavano attenuando ed entrambe erano disposte a collaborare al compito gravoso di costruire un Paese moderno e rispettato. Collaborare tenendo ai margini le forze antisistema, quelle che si rifiutavano di accettare il fatto compiuto di un Regno laico e conservatore: repubblicani intransigenti, cattolici, socialisti. E, di nuovo, fu trasformistica l’esperienza di un passato più recente, la seconda parte della Prima Repubblica: la necessità di impedire l’accesso al governo del Pci «costrinse» a stare insieme forze politiche che in altri Paesi si alternavano al governo, democristiani e socialisti.
Insomma il trasformismo (in senso sistemico, l’impossibilità di alternanza, non solo il banale cambiar casacca per opportunismo individuale) starebbe nelle corde profonde del nostro Paese e ora riemergerebbe nelle forme del «partito della Nazione», il partito democratico di Renzi. Vedo anch’io le forze che oggi si oppongono ad una democrazia dell’alternanza: Berlusconi ha fallito nel suo compito — ma se l’era mai posto? — di creare un partito di centrodestra capace di buon governo, e che fosse in grado di reggere al declino inevitabile del suo potere carismatico. E non sarà né semplice, né rapido il processo che condurrà all’emersione di uno sfidante serio al Pd, anche a seguito della forza d’attrazione che la sua linea riformatrice e centrista esercita sui ceti più moderati e governativi del centrodestra.
Faccio però fatica a paragonare questa incipiente fase di centrismo con le due lunghe fasi storiche cui Galli della Loggia si riferisce: le forze che impedivano l’alternanza allora erano assai più potenti di quelle che la rendono difficile ora. Oggi il suffragio è universale, la legge elettorale si limita a concedere un premio di maggioranza non diverso da quello che con diversi metodi il partito più votato ottiene in altri Paesi democratici, e non c’è alcuna conventio ad excludendum come quella che ostacolava l’accesso al governo del Pci nella Prima Repubblica: se Grillo o Salvini ottengono più voti di Renzi, governano loro.
Io resto un sostenitore di una democrazia competitiva, che consenta alternanza di governo. E spero che il centrodestra sia in grado di trovare un campione credibile in tempi non biblici. Ma se l’attuale governo soddisfa gli elettori non vedo cosa ci sia di male se esso viene sostenuto da ceti sociali e da politici che in passato avevano appoggiato governi di diverso colore. «Se qualcheduno vuole entrare nelle nostre file, se vuole accettare il mio modesto programma, se vuole trasformarsi e diventare progressista, come posso io respingerlo?»: questa è la famosa frase di Depretis che diede origine all’epiteto di «trasformismo» (G. Sabbatucci, Il trasformismo come sistema , Laterza, 2003). In un italiano più moderno potrebbe averla detta Renzi — di fatto ha spesso sostenuto tesi simili — e la troverei assennata: se la competizione non è esclusa, un po’ di centrismo e di stabilità governativa possono anche favorire un processo riformatore.

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