sabato 23 maggio 2015

QUANDO FALCONE NON ERA L'EROE NAZIONALE DELLA LOTTA ALLA MAFIA

 

Il 24 maggio moriva Giovanni Falcone e giustamente oggi lo celebriamo tutti. MA quando era vivo non andava esattamente così, come il sindaco di Palermo, Leoluca Orlando - dove si nasconde, ogni anno il 24 maggio costui ?? - potrebbe ben spiegare ( nel post http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2014/05/in-morte-di-giovanni-falcone-le-sue.html le frasi di Falcone contro il politico siciliano).
O come, dal lato opposto della barricata, ci può ricordare una che fu una vera amica del coraggioso e bravo uomo di legge, Ilda Boccassini, che attaccò con parole sprezzanti e piene di rabbia i colleghi ipocriti che si riunivano per plaudire e piangere l'eroe - perché morto - dopo aver ostacolato in tutti i modi l'uomo - quando era vivo.
Sembra incredibile pensare oggi, che sono passati più di 20 anni dall'attentato omicida di Capaci, che ci fu un tempo in cui questa icona nazionale della lotta alla mafia - lui con il compagno di lotte e di destino, Paolo Borsellino, che lo seguì di lì a pochi mesi - fosse un uomo che divideva l'opinione pubblica e aveva contro la maggioranza dei magistrati.
Eppure è così, e non è male ricordarlo.
Anche un giornale radical chic, come Repubblica, quello della sinistra per bene e intellettuale, a suo tempo aveva posizioni assai critiche nei confronti di Falcone, probabilmente ad un certo punto colpevole di essere amico di Martelli (il delfino di Craxi...ai tempi il male d'Italia, come lo sarebbe diventato, non molto dopo, Silvio Berlusconi).
Sandro Viola era un giornalista che leggevo con interesse, non condividendo un buon 50% delle volte quello che scriveva, ma apprezzandone lo stile. 
Un sito della rete, FANPAGE, ha ritrovato l'attacco durissimo che Viola, uno degli editorialisti di punta di Scalfari, rivolse contro Falcone pochi mesi prima che quest'ultimo venisse ucciso.
Quell'articolo nell'archivio di Repubblica non si trova, ché comprensibilmente lo hanno fatto sparire.
Però è stato ritrovato, e chi vuole può leggerlo anche qui.





FANPAGE.IT

Ed eccolo, quell’articolo su Repubblica contro Giovanni Falcone

Abbiamo recuperato l'introvabile articolo di Sandro Viola che nel gennaio 1992 si scagliava contro Giovanni Falcone, accusandolo di essere un "guitto televisivo". Qualche giorno dopo sullo stesso giornale Giuseppe D'Avanzo difendeva il giudice antimafia: "Non ha mai avuto una vita facile".

Giovanni Falcone
È il 9 gennaio del 1992, un giovedì. Il quotidiano la Repubblica in quel periodo vende mediamente circa 750mila copie. Nella pagina dedicata ai commenti viene pubblicato un articolo dal titolo "Falcone, che peccato…" vergato da Sandro Viola, firma di punta del quotidiano fondato da Eugenio Scalfari. L'argomento del commento è il giudice antimafia che Viola prende di mira per via della sua esposizione mediatica. Un pezzo durissimo che oggi, a vent'anni dalla strage di Capaci che fece saltare in aria Falcone, la moglie e la scorta, ritorna a galla con la violenza d'una colpa. L'articolo, introvabile nell'archivio online di Repubblica, è oggetto di discussione in queste ore sulla Rete, ma nessuno l'ha pubblicato integralmente, in maniera da consentire al lettore un'autonoma valutazione.

L'articolo contro Giovanni Falcone

Eccolo, l'articolo, in versione integrale: recuperato grazie all'Emeroteca Tucci di Napoli. Che ognuno faccia le sue valutazioni dopo averlo letto.
Viola attacca definendo Giovanni Falcone "magistrato che alla metà degli anni Ottanta inflisse alcuni duri colpi alla mafia". Una definizione quanto meno riduttiva per l'anima del maxi-processo di Palermo, per colui che, lo dicono i suoi colleghi magistrati, individuò nuove tecniche e nuovi metodi per l'approccio alla questione mafiosa. Continua Viola: "da qualche tempo sta diventando difficile guardare al giudice Falcone col rispetto che s'era guadagnato".

Poi, l'accusa di essere diventato una sorta di esternatore, al pari dell'allora Capo dello Stato, il "picconatore" Francesco Cossiga: "Egli è stato preso – scrive Viola su Repubblica – infatti, da una febbre di presenzialismo. Sembra dominato da quell'impulso irrefrenabile a parlare, che oggi rappresenta il più indecente dei vizi nazionali. Quella smania di pronunciarsi, di sciorinare sentenze sulle pagine dei giornali o negli studi televisivi, che divora tanti personaggi della vita italiana – a cominciare, sfortunatamente per la Repubblica, dal Presidente della Repubblica".
La preoccupazione dell'editorialista è che Giovanni Falcone abbia perso il suo equilibrio. Gli chiede di lasciare la magistratura viste le sue rubriche sulle pagine dei giornali: "Perché nessun paese civile ha mai lasciato che si confondessero la magistratura e l'attività pubblicistica".
"Quel che temo, tuttavia – continua il pezzo – è che a questo punto il giudice Falcone non potrebbe più placarsi con un paio di interviste all'anno. La logica e le trappole dell'informazione di massa, le sirene della notorietà televisiva tendono a trasformare in ansiosi esibizionisti anche uomini che erano, all'origine, del tutto equilibrati". Poi si passa all'analisi, anzi alla demolizione, del libro ‘Cose di cosa nostra' scritto da Falcone con la giornalista francese Marcelle Padovani pure lei nel mirino della penna al vetriolo di Viola: "E scorrendo il libro-intervista di Falcone ‘Cose di cosa nostra' s'avverte (anche per il concorso di una intervistatrice adorante) proprio questo: l'eruzione di una vanità, d'una spinta a descriversi, a celebrarsi, come se ne colgono nelle interviste del ministro De Michelis o dei guitti televisivi".
Nel finale, Viola, pur ammettendo di trovarsi davanti ad un "valoroso magistrato" si chiede "come mai desideri essere un mediocre pubblicista". Il giornalista ignorava che il giudice aveva intuito qualcosa: la necessità di comunicare ad una platea più vasta, da magistrato, la mentalità mafiosa. Inoculare il virus ai giovani come un vaccino, in maniera da renderli resistenti al fascino della cultura dell'omertà e della morte.
"Non ha mai avuto una vita facile e anche stavolta c'è chi farà di tutto per rendergliela difficile": qualche giorno dopo, dalle colonne della stessa Repubblica, qualcuno scriveva questa frase, riferendosi a Giovanni Falcone. Quel qualcuno si chiamava Giuseppe D'Avanzo.



 

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