martedì 30 giugno 2015

LA GRECIA E' IL BAMBINO CHE SVELA CHE IL RE (UE) E' NUDO

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Io temo che la Grecia sia il bambino disvelatore della reale condizione del re Europa : è nudo.
Nel senso che di regale non ha nulla, al momento.
La grande crisi ha mostrato tutti i limiti di una Unione costruita piuttosto male, con controlli paradossali su TUTTO ( è di ieri l'allucinante notizia che i produttori italiani si devono mettere in regola e usare più latte in polvere nella produzione dei loro formaggi !!! Un delirio folle ), che venivano sopportati solo in funzione della stabilità finanziaria che stare nell'euro assicurava. Ora questo pregio fondante sta venendo meno, l'esistenza di una Banca Centrale Unica, con tutti gli stati pseudo liberi di gestire la politica fiscale, senza però avere più le risorse antiche quali la svalutazione e lo stampare moneta autonomamente, si è rivelata un vulnus. 
Allo stesso tempo, il problema greco sta costando un'emorragia di miliardi in aiuti (150 scriveva ieri Oscar Giannino solo nel periodo 2012-2015, senza contare la prima fase, quella utile a far rientrare dei loro crediti le banche tedesche e francesi...), e non si capisce, nel dibattito acceso, se, liberati dal fardello pesante degli interessi sul debito, la Grecia potrebbe poi camminare sulle sue gambe. 
A mio modesto modo di vedere, è quest'ultimo il nodo principale. 
Perché se una sanguinosa - per i creditori - ristrutturazione del debito (che a livello privato è già avvenuta, ricordava giustamente il mio amico Paolo Cavuto, senza che ci sia strappati troppo le vesti) consentisse di mettere la parola fine a questa sfinente diatriba, probabilmente sarebbe il minore dei mali. Per non aver restituto la Grecia 1,6 miliardi al Fondo Monetario, ieri in borsa ne sono stati bruciati non so quante centinaia. 
MA se anche facendo questo la Grecia, causa una struttura statale ed economica inadeguata, non potesse comunque sopravvivere senza ulteriori prestiti ?? 
Allora il discorso quale diventa ? Che si accetta che in Europa esistano paesi da mantenere sistematicamente a spese degli altri ? Sarebbe questo l'orgoglio greco ?
Devo pensare di no, e che quindi Tsipras e i suoi siano veramente convinti che senza il peso dei debiti la nuova Grecia, quella che immaginano loro, saprebbe camminare sulle sue gambe.
Io, se fossi Draghi e la Merkel, li farei provare.
Il discorso di Antonio Polito, che trovate di seguito, è tutto politico,  incentrato sulla necessità di far sopravvivere l'Europa, e si capiscono bene le ragioni di questa perorazione.
Ma resta che QUESTA Europa è sbagliata, e forse questo choc può essere salutare per cambiare veramente qualcosa.
E farla finita con le menate tipo latte in polvere ....






Una questione di sopravvivenza
di Antonio Polito
 
Dice Angela Merkel che se fallisce l’euro, fallisce anche l’Europa. È vero. Ma è vero anche il contrario. Se fallisce la Ue, se viene cioè meno il patto politico sottoscritto a Roma nel 1957 per «un’unione sempre più stretta fra i popoli dell’Europa», non solo non si salva l’euro, ma va in pezzi l’unico piano di cui disponga il Vecchio Continente per sopravvivere nel nuovo mondo.
Eppure sta succedendo, proprio davanti ai nostri occhi. In una futura storia dei giorni che sconvolsero l’Europa, non ci sarà solo l’uscita (o la cacciata) della Grecia dall’Eurogruppo. Appena due giorni prima i leader avevano formalmente discusso dell’ipotesi che sia la Gran Bretagna, anche lì con un referendum, a lasciare la Ue; e il giorno prima ancora avevano concesso a Ungheria e Bulgaria, oltre che al Regno Unito, alla Danimarca e all’Irlanda, di uscire dall’Europa senza frontiere, chiudendole ai profughi che chiedono asilo.
Una vecchia metafora dice che il progetto europeo è come una bicicletta: se smetti di pedalare, cadi. A tenerla in equilibrio finora è stata la prassi «funzionalista» di Monnet e Schuman, un pezzo di integrazione alla volta, che se ne porta appresso un altro, e così via fino agli Stati Uniti d’Europa. Ma qui ormai nessuno pedala più, anzi: si va all’indietro. Come potrebbe reggere quel progetto all’uscita della Grecia? 

L’ Unione Europea è una storia di successo, o non è. È fatta per avere la fila di Paesi alla porta per entrare, come è accaduto in tutti questi anni, non può consentirsi le porte girevoli di chi arriva e di chi parte, diventare una associazione à la carte , una Onu in miniatura.
E poi: la Grecia è nei Balcani, e con i Balcani non si scherza, da lì è cominciata cent’anni fa quella guerra civile cui l’Europa ha solennemente annunciato di voler mettere fine unendosi. La Grecia è l’Oriente dell’Europa, confina geo-politicamente con la Russia. Perdere l’Ellade — dopo aver già perso la Turchia — sarebbe un nuovo scisma, perché passa di lì una linea di faglia storica, culturale, religiosa. È in Grecia che, dalla fondazione fino alla caduta di Costantinopoli, l’Impero bizantino ha tenuto in vita per mille anni il mito della «nuova Roma», e con esso l’aspirazione all’unità politica del continente.
Ma per «tenere» la Grecia, l’Europa non può più fare come sempre. Non può più sperare di resistere a dispetto, o a scapito, o all’insaputa della democrazia degli Stati-nazione. Il comportamento ai limiti dell’irresponsabile del governo greco le offre paradossalmente l’occasione per misurare la forza residua del suo progetto sul campo di battaglia della democrazia. Non a caso, contravvenendo a una regola ferrea che proibisce a Bruxelles di ingerirsi nelle vicende interne degli Stati, è stato proprio il capo della tecnocrazia non eletta della Commissione, l’impettito Jean-Claude Juncker, a rivolgersi direttamente al popolo greco affinché dica sì al referendum, e smentisca così la coppia scravattata Tsipras-Varoufakis. In cambio, gli fa eco Berlino, nuove trattative dopo il referendum; e forse, chissà, anche la ristrutturazione di un debito a detta di tutti non sostenibile, un ostacolo ormai insormontabile per qualsiasi nuovo inizio.
Ma è una tragica ironia della storia che, in questa sfida democratica senza precedenti con un Parlamento nazionale, il campione del progetto europeo finisca per essere proprio Juncker, certo non il volto più seducente da schierare contro i demagoghi di Atene. I leader dell’Europa devono capire che ormai esiste una «sfera pubblica» comune, un embrione di demos europeo, e che anche le loro sorti politiche si giocano sulle sorti dell’Unione. Né Renzi, né Hollande, e forse neanche Merkel, sopravvivrebbero a una sua dissoluzione. E del resto non è detto che l’immagine dei pensionati greci in fila davanti ai bancomat favorisca così tanto gli agitatori anti-euro, da Salvini a Le Pen, da Podemos a Fassina.
Disfare oggi l’Europa sarebbe un disastro storico. Ci vogliono leader capaci di dirlo ai loro popoli e al popolo greco, come Kohl ebbe la forza di fare prendendosi sulle spalle la Germania dell’Est, o come Mitterrand quando accorse tra la gente di Sarajevo assediata, o come Alexander Hamilton, che alla fine del Settecento firmò la pace tra gli Stati americani debitori e quelli creditori. Quando torna in campo la democrazia, è questione di leadership . Vediamo se l’Europa ce l’ha. 

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