mercoledì 3 giugno 2015

PANEBIANCO, LE MELE E LE PERE. CHE PERO' DEVONO ESSERE TENUTE DISTINTE SEMPRE.



Dopo aver dato spazio a Polito (http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2015/06/polito-renzi-pareggia-grazie-de-luca-ma.html ) ,  Ricolfi  ( http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2015/06/anche-per-ricolfi-si-e-trattato-di-un.html ), Giacalone ( http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2015/06/perche-una-persona-seria-dovrebbe.html ) è il turno di Angelo Panebianco nella carrellata di opinioni post elezioni.
Quasi sempre mi trovo d'accordo con il professore, stavolta meno. Non tanto con le singole osservazioni, tutte pertinenti, quanto nel volere escludere qualsiasi valenza nazionale del voto, cosa che in Italia non accade mai veramente del tutto. E' senz'altro vero che le elezioni territoriali locali hanno meno appeal rispetto a quelle politiche, dove ancora l'astensione non arriva ai picchi ormai registrati in ogni tornata regionale. Basti pensare che alle ultime, dove comunque si registrò una sensibile  flessione rispetto alle precedenti del 2008 ( 80%), andarono a votare il 75% degli aventi diritto, mentre qui ormai la tendenza è del 50%.
Però sono anche vere due cose, che Panebianco sembra sottovalutare :
1) Questo ragionamento dell'astensione vale pari pari per le europee, dove pure vi fu un'astensione grave : 46%
2) Quelli che non vanno a votare per lo più sono i moderati, coloro che continuano a non fidarsi della sinistra, in qualsivoglia modo coniugata, ché sempre tassaiola e statalista rimane. 
Quindi, il recupero di quell'elettorato, molto più facilmente si tradurrebbe come una ripresa della parte di centro destra, se finalmente l'offerta politica migliorasse, piuttosto che per renzino.
Il bel discorso delle mele e delle pere mi può anche stare bene, ma va fatto SEMPRE. E quindi se non sono paragonabili le regionali con le europee, parimenti il discorso vale tra queste ultime e le politiche.
E invece quel quasi 41% diventò l'investimento popolare che al premier mancava, il lavacro della contestazione di un presidente del consiglio non eletto. Delle due dunque una : o le comparazioni si fanno sempre e solo omogenee, e allora nessuno di noi sa qual è il peso di Renzi a livello politico nazionale, perché il putto quelle elezioni non le ha finora MAI affrontate, oppure, coi debiti distinguo, ogni volta che gli italiani votano - e questa volta erano 22 milioni che potevano farlo (poi lo hanno fatto in scarsi 12) - gli osservatori registrano e commentano numeri e flussi dei voti. Che dicono come tutti i partiti hanno perso voti nelle stesse regioni di un anno fa, e il PD più di tutti. 
E che quel 41% da tempo era scomparso da qualsiasi previsione sondaggistica, a riprova che la gente sta passando dalla solita speranza per il nome nuovo alla richiesta di risultati concreti, soprattutto in economia. 
Buona Lettura 




Le previsioni azzardate
di Angelo Panebianco
 

Anche se in Italia invitare alla prudenza contro la pretesa di trarre da elezioni regionali indicazioni sulle future elezioni politiche è, per lo più, un’impresa inutile, proviamoci ugualmente, non si sa mai. Ci sono almeno tre ragioni per diffidare di siffatte indicazioni e previsioni. La prima riguarda il numero dei votanti. Con il 52,2 per cento dei voti queste elezioni hanno registrato un elevato astensionismo. È difficile che alle prossime consultazioni politiche la percentuale dei votanti resti così bassa (se non altro perché la posta in gioco sarà diversa, e più alta, di quella regionale).
S e salirà significativamente, vorrà dire che quella parte, rilevante, dell’elettorato detto moderato, poco portato verso le varie forme di estremismo, che è oggi rimasta a casa, sarà andata a votare. Se ciò accadrà, plausibilmente, le percentuali di voti dei partiti più estremi si ridurranno.
Tutto dipenderà dalle offerte politiche che Renzi da un lato e ciò che oggi continua a ruotare intorno a Berlusconi dall’altro lato, saranno in grado di offrire agli elettori. È improbabile, ad esempio, che i 5 Stelle, contrariamente a ciò che qualcuno ha ipotizzato, possano domani andare al ballottaggio contro Renzi in elezioni politiche nazionali. È forse sufficiente, perché ciò non si verifichi, che salga in modo significativo la percentuale dei votanti.
La seconda ragione per tenersi alla larga da previsioni azzardate ha a che fare con la fondamentale regola di saggezza secondo cui è vietato confrontare mele e pere. Regge assai poco il confronto fra le Europee dello scorso anno e le Regionali di oggi, fra una elezione tutta giocata sulla leadership di Renzi e elezioni regionali in cui sia le facce dei candidati in lizza (vedi, ad esempio, fra i vincenti, Emiliano e De Luca) sia i risultati conseguiti o non conseguiti nella passata gestione, contano quanto, se non più, delle leadership nazionali. Al netto delle divisioni entro la sinistra, chi ha perso in Liguria? Renzi oppure chi ha gestito la Regione nel decennio precedente? Per lo meno, possiamo dire che se Renzi vinse le Europee tutto da solo, in Liguria ha perso in buona e folta compagnia. Per la stessa regola di saggezza si eviti di accostare troppo disinvoltamente elezioni fra loro così diverse come le Regionali e le Politiche. Fare finta che i risultati di elezioni locali non siano fortissimamente influenzati da motivi locali è sbagliato, frutto di un pregiudizio ipercentralista secondo il quale tutto ciò che accade in giro per l’Italia è solo un riflesso di ciò che accade a Roma.
La terza ragione ha a che fare con le differenze di sistema elettorale. Se alle prossime Politiche si voterà con l’ Italicum e se non potrà essere aggirata la regola che vieta le coalizioni (già ora si sente parlare di listoni, un modo per far rientrare dalla finestra quelle coalizioni che sono state vietate dalla legge), si giocherà con regole assai diverse da quelle delle Regionali, e anche delle precedenti elezioni politiche. Se non ci saranno coalizioni, allora anche l’attuale autoincoronazione di Matteo Salvini quale leader del centrodestra non significherà molto. Perché ciascuno dovrà giocare per sé. E se gli astensionisti di centrodestra (quelli che già si astennero alle Politiche precedenti) ritorneranno in campo attirati da una buona offerta politica, la partita a destra diventerà apertissima.
In linea di principio, il ballottaggio favorisce le formazioni centriste. Ma perché ciò accada occorre che, per lo meno, tali formazioni esistano. C’è già oggi il (centro)sinistra, il Pd di Renzi. Manca ancora un (centro)destra con una rinnovata capacità di attrazione. Chi metterà mano alla sua ricostruzione dovrà affrontare un difficile problema: se è vero infatti che, con l’ Italicum , ciascuno correrà per sé, è anche vero che le due principali formazioni di destra (Lega e ex Forza Italia) non potranno comunque esasperare troppo la loro competizione politica. Chi andrà al ballottaggio dovrà poter contare, al secondo turno, sugli elettori della parte esclusa. Ciò significa che, anche senza formare una coalizione, le varie anime del centrodestra dovranno cercare un punto di mediazione. È un’operazione difficile: come si fa, ad esempio, a mettere insieme il no all’euro di Salvini e il sì all’euro della destra moderata? C’è chi pensa che Salvini abbia la duttilità necessaria per fare la richiesta convergenza al centro e c’è chi pensa che non potrà permetterselo. Ma non dipenderà solo da lui. Dipenderà anche dalla forza o dalla debolezza dei suoi interlocutori. 

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