martedì 16 giugno 2015

"SE NON SEI LIBERALE, NON SEI GARANTISTA" E VALE IL CONTRARIO

Un articolo superlativo di Mauro Anetrini sulle pagine dell'Opinione, storico giornale liberale, attualmente on line.
Il ribadire i concetti essenziali e fondanti dell'essere liberali ( e quindi il primato della libertà, in primis quella della persona, nel corpo e nelle idee) e lo stabilire in modo netto il legale non dissolubile con il garantismo. Ho diversi amici avvocati (alcuni forse ex a questo punto) fieri garantisti e politicamente socialisti, sia pure con diverse declinazioni (del resto l'ideologia lo consente), dei quali mi piacerebbe sapere il pensiero alla riflessione del bravissimo Mauro.
Un post che merita il non frequente titolo di "imperdibile".






Garantisti/falsi liberali,
ecco il grande equivoco

di Mauro Anetrini
16 giugno 2015EDITORIALI
 

Tutte le volte che sento accostare a vanvera i concetti di liberalismo e di garantismo, confesso, mi viene l’orticaria. Non tanto perché i liberali non siano garantisti (è fatto notorio che il garantismo lo hanno inventato, guarda caso, proprio i liberali), ma piuttosto perché non tutti coloro che affermano di essere garantisti sono liberali e, quindi, non sono neppure garantisti veri. Vediamo come stanno le cose. Così, tanto per chiarire le posizioni.
Prima proposizione: non esiste un liberale che non sia garantista. Se ciò accadesse, saremmo in presenza di un ossimoro tale da stravolgere l’intera ideologia liberale, fondata sulla tolleranza delle idee, sull’accettazione delle diversità e sul riconoscimento dei diritti fondamentali della persona. 
Prima ho detto che sono stati i liberali ad inventare il garantismo. Mi correggo: i liberali lo hanno semplicemente scoperto, quando si sono resi conto di quanto fosse necessario proteggere i diritti della persona di fronte al potere dello Stato. Noi siamo per la libera espressione del pensiero, in ogni sua forma: è evidente che ci schieriamo con coloro che sono perseguitati per le loro idee.
Noi diciamo che gli uomini nascono liberi: possiamo non esigere la massima protezione per la libertà personale? Noi crediamo che gli uomini siano fallibili: è ovvio, ma vorrei dire scontato, che battiamo contro il sistema inquisitorio, di matrice religiosa e socialista e sosteniamo il sistema accusatorio. Noi pensiamo che un singolo uomo non valga meno dell’intera collettività e non debba subire lo squilibrio dei rapporti di forza con il potere costituito: per questo, nei processi, chiediamo garanzie idonee a bilanciare lo svantaggio. Essere garantisti, a conti fatti, è un modo di essere liberali. Tutti i liberali, per il solo fatto di essere tali, sono garantisti.
Mi chiedo, piuttosto, se sia possibile essere garantista senza essere liberale. Io penso di no; anzi: penso che coloro che affermano di essere garantisti senza essere liberali mentano, ovvero siano vittima di confusione. Posti di fronte alla domanda sullo scopo del processo, i non-liberali risponderanno sempre e soltanto una sola cosa: appurare la verità. La ricerca della verità, per chi crede alla verità, giustifica tutto, a cominciare da qualche piccola rinuncia in tema di garanzie. La verità, dicono, è nell’interesse di tutti, e tutti contano più di uno solo. La verità rende liberi, come la menzogna condanna alle catene e il sospetto della menzogna ne esige l’applicazione preventiva.
Noi non neghiamo la verità, ma sappiamo bene che, nella migliore delle ipotesi, non è cosa di questo mondo e, pertanto, non idolatriamo quelli che ci dicono di esserne i sacerdoti, contrapponendo loro la presunzione di non colpevolezza. Abbiamo dubbi - e ci sforziamo di renderli ragionevoli -; chiediamo che i fatti siano accertati con rigore - e alla verifica contrapponiamo la falsificazione -; noi non accettiamo di sacrificare la libertà di un solo uomo a vantaggio dello Stato. I nostri diritti non vengono dalla Costituzione: quella, a tutto concedere, è la Carta che ci protegge dal Moloch del potere.
La nostra, come sappiamo bene, è una posizione difficile, che ci rende invisi sia a quelli di una parte, che a quelli dell’altra. Eppure, tanto gli uni quanto gli altri, avvertono la necessità cogente di appropriarsi del nostro nome, trasformando un sostantivo in aggettivo, predicabile sempre ed adattabile a tutto, con la riserva mentale in forza della quale gli attributi non sono parte essenziale della sintassi del loro pensiero.
 

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