martedì 21 luglio 2015

ASSOLTI DALL'ACCUSA DI VIOLENZA DI GRUPPO. LA VITTIMA SI SFOGA SU UN BLOG : " FORSE OGGI NON LI DENUNCEREI "


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Ho molti e crescenti motivi per pensare tutto il male possibile per la classe dei magistrati, episodi recenti non hanno che accentuato questa mia generale disistima e diffidenza per la categoria, e a questo punto inverto il salvacondotto percentuale : le eccezioni sono i casi buoni. 
Ciò posto, i processi bisognerebbe conoscerli da vicino per giudicare i singoli casi, affidarsi alla sola cronaca cd. giudiziaria è altamente aleatorio (io per esempio sono netto solo nei casi di esperienza personale e quella di colleghi di cui mi fido assolutamente, e le storie di ordinaria, incresciosa ingiustizia sono in costante lievitazione, per impreparazione e sciatteria). E quindi mi domando come faccia la giornalista Antonella Mollica a mostrare tanta sicurezza nel suo biasimo evidente alla sentenza della Corte d'Appello di Firenze che ha ribaltato la condanna di primo grado inflitta a sei ragazzi per violenza contro una ragazza. Io ho letto le motivazioni della sentenza e per quanto mi lascino perplesso le circostanze fattuali - ragazza ubriaca, sei ragazzi che hanno rapporti con lei...difficile pensare ad un vero consenso...- è anche vero che non ci trovo le semplificazioni che poi leggo nell'articolo riportato. Certo, è lo sfogo della vittima, e si può comprendere. Oltretutto  non sono affatto sicuro dell'innocenza di quei giovanotti, però non leggo nelle motivazioni dei giudici quel "se l'era cercata" che fa parte della condanna del popolino di fronte ad una ragazza troppo dinisibita nel vestire e negli atteggiamenti. 
Piuttosto, vedo il biasimo per una condotta sicuramente censurabile, da parte degli imputati, ma dai giudici ritenuta penalmente non rilevante in quanto priva della certezza della volontà e consapevolezza di commettere un reato, essendo credibile il pensiero scriminante di trovarsi di fronte ad un consenso. 
L'ho già scritto, ma meglio ripeterlo : il fatto che la ragazza fosse alticcia e che i ragazzi fossero sei, mentre lei sola, francamente mi lascia alquanto perplesso, ma oltre non vado.
Sicuramente ad alcuni, leggendo, verrà in mente il drammatico  film con Jodie Foster , Sotto Accusa... : Sarah Tobias, cameriera in un bar con una pessima reputazione, una sera viene violentata nel locale da tre ragazzi, tra l'incitamento generale degli avventori. Nel film all'inizio va bene ai ragazzi, che se la cavano con le sole lesioni colpose, giocando a loro favore la fama non buona della ragazza. Poi le cose cambiano.
Qui è andata all'opposto. 

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Violenza di gruppo, tutti assolti
La lettera della ragazza vittima:
«Giudicata io, non lo stupro»

Dopo le motivazioni dei giudici che hanno assolto il gruppo dallo stupro del 2008 in Fortezza da Basso, un blog pubblica una lettera della vittima. La sentenza è definitiva perché la procura non ha fatto ricorso

di Antonella Mollica

FIRENZE - «La cosa più amara e dolorosa di questa storia è vedere che ogni volta che cerco con le mani e con i denti di recuperare la mia vita, di andare avanti, c’è sempre qualcosa che ritorna a ricordarmi che sì, sono stata stuprata e non sarò mai più la stessa». Giulia (nome di fantasia) racconta tutto il suo dolore all’indomani delle motivazioni della sentenza che ha assolto i sei ragazzi accusati di averla violentata sette anni fa dopo una serata alla Fortezza da Basso a Firenze. La procura generale di Firenze non ha presentato ricorso per Cassazione contro la sentenza della Corte di appello con la quale sono stati assolti i sei giovani: il verdetto quindi è diventato definitivo.

Erano tutti «certamente alticci ed euforici», in quanto «compagni di bevuta e balli allusivi» quella sera d’estate alla Fortezza. Ma gli elementi a favore dell’accusa — quella che sostiene l’ipotesi di una violenza di un branco contro una ragazza di 23 anni — «restano davvero labili, fumosi e volatili». I giudici della Corte d’Appello di Firenze, che lo scorso marzo hanno assolto sei ragazzi dall’accusa di violenza sessuale, scrivono che con la denuncia la ragazza avrebbe voluto «rimuovere» quello che riteneva essere stato un suo «discutibile momento di debolezza e fragilità» in una «vita non lineare»: «Apprezzabile è stata la volontà di Giulia (nome di fantasia, ndr) di stigmatizzare quell’iniziativa di gruppo comunque non ostacolata, volontà che si è estrinsecata in una serie di comportamenti successivi ai fatti espressione di una presa di coscienza e di un’energica reazione, con ricorso al centro antiviolenza, all’associazione Artemisia, evidentemente per rispondere a quel discutibile momento di debolezza e di fragilità che una vita non lineare come la sua avrebbe voluto censurare e rimuovere».
Il 26 luglio 2008 Giulia trascorre la serata con amici del suo amico, regista di film splatter. La serata scorre tra shottini, balli e sfide al toro meccanico. Le indagini conclusero che furono i ragazzi a farla ubriacare prima di portarla in macchina per abusare a turno di lei. Per i giudici dell’Appello invece le cose andarono diversamente: «Tutti avevano bevuto insieme un quantitativo di shottini non particolarmente elevato e comunque imprecisato, e in fin dei conti Giulia, aveva tenuto una condotta tale da far presupporre che, se anche non sobria, era tuttavia presente a se stessa, si era mantenuta a cavallo del toro meccanico, aveva cercato al telefono l’amico che si era allontanato con la fidanzata, aveva risposto a tono a una ragazza (che le aveva chiesto se aveva bisogno di aiuto, ndr) una volta uscita dalla Fortezza, insomma nessuna condizione di menomazione poteva individuarsi rispetto agli autori del fatto».
I ragazzi, scrivono i giudici, possono aver «mal interpretato la sua disponibilità» «Fino all’uscita Giulia non aveva palesato particolare fastidio per le avances ricevute (strusciamenti e palpeggiamenti)e si era fatta sorreggere fino all’auto, se poi, come racconta, era rimasta come “in trance”, “inerme”, “come un qualcosa in balia della corrente” mentre gli altri effettuavano manovre invasive su di lei, e si erano mostrati “quasi stupiti” quando lei aveva detto basta, recuperando borsa e scarpe uscendo dall’auto, allora non può che dedursi che tutti avevano mal interpretato la sua disponibilità precedente, orientandola a un rapporto di gruppo che alla fine, nel suo squallore non aveva soddisfatto nessuno, nemmeno coloro che nell’impresa si erano cimentati».
Subito dopo i giudici Angela Annese (presidente), Maria Cannizzaro e Federico Boscherini spiegano che «il racconto della ragazza configura un atteggiamento ambivalente nei confronti del sesso, che evidentemente l’aveva condotta a scelte da lei stessa non pacificamente condivise e vissute traumaticamente o contraddittoriamente, come quella di partecipare dopo il fatto al workshop estivo Sex in Transition vicino Belgrado o prima del fatto quella di interpretare un film splatter del regista imputato al processo, intriso di scene e di violenza che aveva mostrato di reggere senza problemi».
Le conclusioni dei giudici, alla fine sono nette e capovolgono la sentenza di primo grado che aveva portato a una condanna di 4 anni e mezzo per i sei imputati: «Assolti perché il fatto non sussiste» in questa «incresciosa storia, non encomiabile per nessuno, un fatto penalmente non censurabile, mancando i connotati essenziali del reato».
Sul blog
Lo fa dalle pagine di un blog «Al di là del Buco — Verso la fine della guerra fredda (e pure calda) tra i sessi»: «Ho ancora attacchi di panico e lotto giornalmente contro la depressione - scrive — non riesco a vivere più nella mia città, ossessionata dai brutti ricordi. Mi è stato detto che ho una condotta sregolata, una vita non lineare, una sessualità “confusa”, che sono un soggetto provocatorio, esibizionista, eccessivo, borderline. Perché sono bisessuale dichiarata, femminista e attivista lgbt. Se per essere creduta e credibile come vittima di uno stupro non bastano referti medici, psichiatrici, mille testimonianze, prove del dna, ma conta solo il numero di persone con cui sei andata a letto prima che succedesse, o che tipo di biancheria porti, se usi i tacchi, se hai mai baciato una ragazza, se non sei un tipo casa e chiesa, non puoi essere creduta». Tutti sconfitti di fronte a una sentenza del genere, scrive Giulia: «Ciò che più fa tristezza è che nessuno ha vinto. Non hanno vinto loro, gli stupratori, la loro arroganza. Abbiamo perso tutti. Ha perso la civiltà, la solidarietà umana quando una donna deve avere paura e non fidarsi degli amici, quando si giudica la credibilità di una donna in base al tacco che indossa, quando dei giovani uomini si sentiranno in diritto di ingannare e stuprare una giovane donna perché è bisessuale e tanto “ci sta”. Quello che vince invece, giorno per giorno è la voglia di non farmi intimidire, di non perdere la fiducia in me stessa».
«La giustizia prima o poi cambierà»
«Se potessi tornare indietro — conclude Giulia — sapendone le conseguenze non so se sarei comunque andata a denunciare. Ma forse sì, comunque, per ripetere al mondo che la violenza non è mai giustificabile, indipendentemente da quale sia il tuo lavoro, che indumenti porti, quale sia il tuo orientamento sessuale. Che se anche la giustizia con me non funziona prima o poi funzionerà, cambierà, dio santo, certo che cambierà».
Telefono Rosa
«Serve un cambio di cultura della magistratura — chiede Telefono Rosa in una nota della presidente Maria Gabriella Moscatelli che annuncia una lettera al ministro della Giustizia Andrea Orlando e al presidente della Repubblica Sergio Mattarella per capire le motivazioni «di un’ennesima aberrante sentenza»: «Siamo di fronte a un giudizio che ci riporta indietro di un secolo. I giudici hanno compreso quale effetto disastroso può provocare una simile decisione, che rischia di autorizzare tutti i futuri stupratori a chiedere un’assoluzione?». Anche i consiglieri di Firenze riparte a sinistra, Tommaso Grassi, Giacomo Trombi e Donella Verdi, puntano il dito contro la sentenza: «Cosa c’entra la vita non lineare, l’essere bisessuale, avere rapporti occasionali? Ancora una volta è stata processata la ragazza e non gli stupratori. Sono passati 37 anni dal processo che suscitò scalpore nel 1978 con l’avvocata Tina Lagostena Bassi — scrivono — nel quale «si affermava che una donna di buoni costumi non poteva essere violentata ma nulla è cambiato».

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