lunedì 27 luglio 2015

"LA GIUSTIZIA DEVE FARE IL SUO CORSO" . PECCATO CHE SIA A CASACCIO

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Immagino che sia un male comune a tutti quelli che lavorano essere afflitti dalle carenze che infestano il proprio campo.
Ospedali, Scuole, Trasporti ...
Il mio è la cd. Giustizia. Quando trovo qualcuno che ancora ci crede a questa sgangheratissima macchina, e mi esorta a non rimanere fermo nella mia ormai assoluta disillusione, rispondo con le parole di Curzio Malaparte  scrittore e  protagonista del libro La Pelle .
Tra miseria e macerie di una città appena liberata, Curzio Malaparte, capitano del Corpo Italiano di Liberazione, quel che resta del Regio Esercito, media tra gli Alleati e la popolazione di Napoli, dove tutto accade nonostante la vita continui. Con finto cinismo, cerca di spiegare ad un giovane e incredulo tenente americano, le aberrazioni di una città che cerca di sopravvivere ai disastri del dopoguerra. 
Ma di fronte all'ennesimo dramma ( il padre di un bambino che per errore rimane schiacciato sotto cingoli di un carro armato americano), si arrende all'evidenza e lascia ogni speranza. All'esortazione del giovane tenente di proseguire con lui verso Roma liberata, risponde " vai tu, tu hai vinto". 
Ecco, andate avanti voi, che ancora ci credete. Io non ci credo più. 
E racconti come quello di Vitiello, che riporto su segnalazione del maestro Battista, semmai mi avviliscono di più, vedendo che 70 anni fa le cose erano come ora, senza miglioramenti.
Anzi.




La lotteria della giustizia


Ignazio Silone - Il Segreto Di Luca 
Alcuni casi recenti e disparati (il garbuglio dell’Ilva, le nebbie dell’affaire Crocetta, i pasticci nell’applicazione della Severino, il “grande scaricabarile istituzionale” – formula di Oscar Giannino – di qualche vicenda prefettizia, il quarantennale ritardo della giustizia per la strage di Brescia), casi che si aggiungono a una lunga sequela di altri più antichi o meno visibili, sembrano indicare che l’incertezza del diritto è ormai alle nostre spalle, e siamo entrati nel regno onirico e fiabesco della pura aleatorietà. Regno onirico, perché in esso diventa sempre più difficile connettere secondo logica le cause e gli effetti, i delitti e le pene; e regno fiabesco, perché la sottomissione della giustizia ai capricci del caso suscita nobili reminiscenze letterarie, da Rabelais a Borges. Ad aggravare le cose, in Italia, c’è che tutto questo risuona con un modo di pensare e di sentire radicato, e aiuta a radicarlo ancora più a fondo: alludo a un’idea fatalistica della giustizia (e ancor più dell’ingiustizia) assimilata al destino, alla buona o alla cattiva sorte. Ma anche per questo è possibile evocare qualche memoria romanzesca, e cogliere l’occasione per un invito alla lettura, o alla rilettura.
“Figurati che lui credeva di prendere il sopravvento su di me, battendo il pugno su un libretto che aveva sempre tra le mani. ‘Cosa ci avete in quel libro così importante’, gli domandai, ‘i numeri del lotto?’. ‘Qui ci sono gli articoli e i paragrafi’, egli mi spiegò”. Così Luca Sabatini rievoca l’incontro con il suo giudice accusatore ne Il segreto di Luca, romanzo che Ignazio Silone pubblicò nel 1956. I numeri del lotto non saranno i dadi del giudice rabelaisiano, ma anche qui giustizia e fortuna fanno una cosa sola. Il segreto di Luca è un romanzo su un errore giudiziario, genere poco frequentato malgrado il molto lodato e poco imitato modello manzoniano. Luca ritorna al suo paese, Cisterna dei Marsi, dopo quarant’anni di carcere: in punto di morte il colpevole ha confessato, e per lui è arrivata la grazia. Un politico, Andrea Cipriani, s’interessa del caso e interroga la gente del luogo. “‘Se Luca è innocente’, domandai a Teresa, ‘perché l’hanno condannato?’. ‘Non gli è riuscito di sfuggire al suo destino’, ella mi rispose. Quella parola di destino dava all’ingiustizia un senso tremendo: essa diventava in un certo senso naturale. Poiché non potevo ammettere la malvagità e neanche la malafede di mia madre, del parroco, del maestro di scuola, cominciai a pensare che l’ingiustizia potesse non dipendere affatto dalle buone o cattive disposizioni degli uomini. La crudeltà era come il cattivo tempo”.
Ma qualcosa di più crudele attende chi, pur scagionato, torna tra i suoi. Dove l’ingiustizia è una variante della malasorte, l’uomo che ne è colpito finisce per confondersi con lo jettatore, che occorre evitare con ogni scongiuro. La vecchia domestica del prete dove Luca si è stabilito fugge via: “Anche lei… Cos’ha da rimproverargli?”. “Evidentemente, d’aver passato la vita all’ergastolo”. La zia di Andrea non vuole che il graziato metta piede in casa: “‘Zia’, cercò di spiegare Andrea ‘tu forse non lo sai, ma il pover’uomo era innocente’. ‘Innocente o meno, egli è stato all’ergastolo. Andrea, tu vorresti che un tale individuo…’”. Peggio del processo all’untore, è il processo stesso che trasforma in untore chi lo subisce.
Questo può accadere quando il diritto si fa così aleatorio da apparire come una divinità capricciosa. Ne avvertiamo un’eco, sbadatamente, tutte le volte che qualcuno ripete quella formula agghiacciante: la giustizia deve fare il suo corso.

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