venerdì 7 agosto 2015

OSTELLINO ATTACCA LA CARTA COSTITUZIONALE. FORSE ESAGERA

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Non sono tra quelli che hanno il mito della sacralità della nostra Costituzione, non penso che sia la "più bella del mondo", e sono d'accordo con chi, ripercorrendo la storia, ne rileva il carattere di profondo compromesso tra culture e forze politiche contrapposte.
Però, detto questo, non arrivo nemmeno a pensare che in essa si trovi l'origine dei mali italiani. Una parte di essi sono assai più antichi, e alla realizzazione di quel compromesso parteciparono uomini eccellenti, molti di stampo liberale.
Sicuramente si poteva fare meglio, ma nel 1945 avevamo il triste primato del partito comunista più forte d'occidente e ce lo siamo tenuto per 45 anni. Nonostante questo, per circa 20 anni dalla fine della guerra siamo riusciti a diventare la nazione industrializzata che ancora siamo. Poi certo, ci sono stati gli anni 70, il sindacalismo selvaggio, il consociativismo da una parte e le tante corporazioni dall'altra, e il nostro paese ha rallentato fino a fermarsi. La congiuntura nel mondo peraltro è totalmente mutata, e noi, ormai grassi e pigri, non siamo capaci di rispondere alle nuove sfide. Viviamo troppo bene, e il nostro paese è troppo bello. Ideale per "pensionati e turisti" ha scritto qualcuno, e a giudicare dai numeri drammatici della disoccupazione giovanile e da quanti ragazzi pensano sempre di più ad andarsene all'estero illudendosi che basti varcare un confine, non è una provocazione sbagliata.
Tutto questo per dire che non sono del tutto d'accordo con l'analisi del peraltro grande Piero Ostellino che nell'articolo che posto oggi prende di petto proprio la Carta Costituzionale.
Troppo, e troppo poco, almeno secondo me.
Comunque, vale sempre la pena di leggere il grande giornalista liberale. 


La Costituzione è la zavorra che ci tiene fermi

Mercato e capitalismo sono l'unica strada per uscire dal pantano

Piero Ostellino  
La previsione del Fondo monetario internazionale secondo cui all'Italia ci vorranno anni per uscire dalla crisi in cui è precipitata e nella quale ancora si dibatte, non è di quelle che incoraggino all'ottimismo e, allo stesso tempo, è un severo monito per il nostro governo.
Se i governi che si sono succeduti nel Dopoguerra avessero fatto le riforme, gli anni, ora, sarebbero meno. Insomma, l'Italia ha perso un'altra occasione per migliorarsi.
Sono decine di anni che, da noi, si parla della necessità di fare le riforme, e non le si fa. Le promesse di Renzi sono l'ultima spiaggia cui un governo sia approdato a parole, ma che, poi, non ha fatto niente. Perché? Forse, mondo della politica e media dovrebbero chiedersi perché non le si facciano e cercare di sgombrare le cause che le impediscono.
Personalmente, sono dell'opinione che all'origine dell'inerzia ci sia un peccato originale – la natura del nostro sistema politico sanzionato dalla Costituzione del 1948 - del quale non riusciamo a liberarci. Il pasticciato compromesso, fra l'esigenza di tornare ad un sistema di mercato e il dirigismo fascista e quello comunista uscito dalla Resistenza monopolizzata dal Pci. Una Costituzione che non sancisce il diritto di proprietà, ma lo considera una sorta di accidente della storia, non prefigura propriamente un sistema politico ed economico in sintonia con l'Occidente nel quale l'Italia, almeno nelle intenzioni, è inserita.
Invece di parlarne tanto, perché non si mette concretamente mano alla Costituzione? Si abbia il coraggio di chiedersi se essa non sia il vero impedimento e si smetta di venerarla come un oggetto religioso. La sua sacralità è stata storicamente smentita dai fallimenti del socialismo reale, cui si era fatto riferimento con un eccessivo ottimismo puntando sul comunismo come superamento del capitalismo. Si riconosca oltre tutto che, se l'Italia è - tutto sommato e malgrado le molte carenze - un Paese decente, lo si deve a quel poco capitalismo che pure c'è stato e che ha prodotto il miracolo economico del Dopoguerra, con De Gasperi ed Einaudi. Si prenda atto che la crisi nella quale si trova è dovuta ai governi e alla cultura di sinistra che ne hanno condizionato lo sviluppo, orientandolo verso una dittatura burocratica che tutto ha preteso di regolare, attraverso licenze, permessi, divieti tipici di uno Stato di socialismo reale. Gente, sveglia! Il socialismo reale è fallito sotto le dure repliche della storia e da noi la sua stessa prospettiva ha procurato più danni che soluzioni.
Continuiamo a pagare il prezzo di una cultura rivelatasi nei fatti fallimentare e non ci decidiamo a prenderne atto. Il mercato è ancora una brutta parola, come lo era nell'immediato Dopoguerra, e un bagno salutare nella libertà di concorrenza non ci decidiamo a farlo, anzi, ne siamo impediti dall'adesione ad una idea d'Europa unita che ripropone lo stesso errore con il suo burocratismo centralizzato e dirigista. Abbiamo bisogno di uno scatto culturale, che prenda atto che il comunismo è stato un fallimento e ci inserisca definitivamente nell'Occidente democratico-liberale e capitalista. Un Occidente che si emancipi dall'eredità culturale del Dopoguerra, quando ancora si credeva ottimisticamente che la programmazione fosse il rimedio alle eventuali carenze del mercato e il suo superamento. C'è bisogno di una rinfrescata d'aria, di mettere coraggiosamente da parte le stupide remore figlie di una cultura fallimentare della quale non abbiamo l'onestà di parlare come di uno storico fallimento.
Pareva che Renzi, con le sue intenzioni di rottamatore, ne sarebbe stato l'artefice. Ma si è rivelato anche lui un prodotto di quella stessa cultura del compromesso storico espressa dalla Costituzione e che domina ancora ogni iniziativa del Paese. Lo si dica, allora, senza alcun complesso sia nei confronti dello stesso Renzi, sia della Costituzione. La previsione pessimistica del Fondo monetario, in fondo, ci invita a prenderne atto culturalmente e, poi, a provvedere politicamente. Coraggio, Renzi, faccia seguire alle parole qualche fatto che, almeno, indichi la strada che bisogna intraprendere se non vuole passare alla storia solo come un furbo chiacchierone che persegue unicamente le proprie ambizioni personali.

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