giovedì 24 settembre 2015

LA VOLKSWAGEN COME I LEHMAN BROTHERS ? IL CIGNO NERO STAVOLTA TOCCA L'EUROPA TEDESCA

 

Mi sembrava strano che qualche procura italiana non decidesse di cavalcare l'onda e cercare un po' di pubblicità con il caso del giorno. Ci ha pensato la procura di Torino, con l'instancabile Guariniello, ad aprire il fascicolo.
Così la Stampa dà la notizia :

Disastro ambientale, il reato previsto dalla nuova legge sugli eco reati, è una delle ipotesi di reato su cui indaga la procura di Torino in relazione alle emissioni truccate dalla Volkswagen, oltre a quella di frode in commercio. Nel fascicolo non ci sono indagati.  

L’INCHIESTA DI GUARINIELLO  
Domani (venerdì 25) gli inquirenti cominceranno a sentire i vertici di Volskwagen Italia. Gli accertamenti sui veicoli della casa tedesca circolanti in Italia, affidati dal procuratore Raffaele Guariniello ai carabinieri del Nas, saranno estesi anche ad altre marche. Oggi sono stati ascoltati dagli investigatori i primi testimoni dell’inchiesta: si tratta di esperti (estranei alle vicende) consultati in merito alle specifiche tecniche delle centraline e alle emissioni.  
Allegate due schede interessanti :
  


FAQ - Che cosa deve fare chi ha un’auto Volkswagen (Piero Bianco) 

SCHEDA - Come funzionava la truffa (Massimo Russo) 


Dopodiché , propongo il commento di Fubini, sul Corriere della Sera,

Il Corriere della Sera - Digital Edition


La crisi tedesca ricorda quella americana dei subprime Nel 2008 il governo decise che le banche andavano salvate, le conseguenze sull’economia sarebbero state devastanti 
Sembrano «cigni neri» imprevedibili, ma c’è una catena di colpe perché volkswagen è la lehman d’europa


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Un «cigno nero» è un evento improvviso, casuale e devastante. Senonché si scopre sempre dopo che quella catastrofe non era solo un caso estremo di sfortuna, un fatto semplicemente imponderabile, ma il risultato di una serie di azioni di cui nessuno aveva mai tirato le somme. La nascita di un cigno nero in un certo momento è impossibile da prevedere, ma ogni diecimila cigni è certo che uno nero arriverà.
Ogni dieci anni di operazioni irresponsabili di Wall Street, una crisi finanziaria esploderà. E ogni undici milioni di Volkswagen vendute sulla base di una frode sulle emissioni inquinanti, presto o tardi qualcuno scoprirà l’inganno che ora minaccia il secondo costruttore mondiale di auto.
Le somiglianze tra la crisi dei subprime del 2007-2008 e Lehman Brothers e lo scandalo Volkswagen sono impressionanti.

 In entrambi i casi, i controlli sulla qualità del prodotto sono affidati a società pagate dal produttore stesso: nel caso dei subprime americani, le agenzie di rating arruolate dalle banche perché rassicurassero sull’affidabilità di quei titoli; nel caso Volkswagen, le aziende finanziate dal costruttore stesso perché certificassero che quei motori sono puliti.
In entrambi i casi colpisce anche lo squilibrio fra i regolatori pubblici e le aziende regolate. Nelle banche come nell’auto, i guadagni dei manager sono un multiplo di quelli dei funzionari che dovrebbero controllarli ma spesso sperano solo di essere assunti da loro. E per Wall Street come per Volkswagen, la conoscenza di tecnologie molto complesse gioca a favore delle imprese su chi dovrebbe controllarle: le aziende sanno tutto perché hanno creato loro quei prodotti, titoli strutturati o motori diesel, i controllori invece devono decostruirli e interpretarli da zero.
Poi c’è la politica. In entrambi i casi, Volkswagen come Wall Street, il potere economico e finanziario dell’industria è tale che il confine con il governo diventa permeabile. Prima del 2007 le porte girevoli fra New York e Washington hanno continuato a portare i manager di punta di Citigroup o di Goldman Sachs ai vertici del Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti. Anche Volkswagen, ricorda Eurointelligence, ha un rapporto consolidato con la politica nel suo Paese: un manager del gruppo, Peter Hartz, è autore delle riforme del lavoro e del welfare del governo di Gerhard Schroeder; il Land della Bassa Sassonia, da cui viene il leader della Spd e ministro dell’Economia Sigmar Gabriel, è azionista del gruppo e dipende da esso per i suoi ricchi dividendi e per i posti di lavoro che assicura; e lo stesso governo tedesco ha potere di veto contro operazioni sgradite sul gruppo di Duisburg.
Non è un caso se l’atteggiamento dell’esecutivo di Angela Merkel di fronte al caso Volkswagen ricordi quello di Tim Geithner alla Federal Reserve di New York prima del crash del 2007: entrambi sapevano di avere un problema, ma speravano di disinnescarlo in silenzio prima che esplodesse.
Ora è tardi: il cigno nero è di nuovo fra noi. E le somiglianze fra la crisi americana e quella tedesca rischiano di riconfermarsi. Nel 2008 il governo americano giunse alla conclusione che le banche di Wall Street erano «too big too fail», troppo grandi perché potessero essere lasciate fallire: l’impatto sull’economia degli Stati Uniti sarebbe stato devastante. Nascono così le operazioni che porteranno in pochi mesi al salvataggio pubblico di un gran numero di gruppi finanziari negli Stati Uniti.
La vicenda tedesca potrebbe rivelarsi simile. Volkswagen realizza vendite per oltre 200 miliardi di euro l’anno, è il più grande investitore al mondo in ricerca e sviluppo, assicura in Germania 600 mila posti di lavoro diretti (più milioni di posti indiretti). Il settore auto pesa per 300 miliardi di euro di esportazioni, la prima voce del made in Germany. Anche Volkswagen è «too big to fail», dunque il governo tedesco interverrà per salvarla: ma lo farà violando e forse demolendo le regole europee sugli aiuti di Stato, quelle che avevano rimesso un minimo d’ordine nel rapporto fra politica e imprese in Italia.
Ogni cigno nero è il punto d’arrivo di una serie di azioni a monte. Ma a volte può creare anche conseguenze a valle.

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