martedì 13 ottobre 2015

A ME I POVERI NON PIACCIONO

 Risultati immagini per banca mondiale numeri sulla povertà

A me i poveri non piacciono.
Chiude così il suo articolo Davide Giacalone, dedicato al commento dei dati pubblicati dalla Banca Mondiale che rivela come, grazie alla globalizzazione, al mercato, agli ogm, povertà, mortalità, denutrizione siano drasticamente diminuiti negli ultimi lustri. Noi, grassi occidentali, non lo vediamo, anzi abbiamo una percezione opposta perché il nostro lauto benessere è diminuito, ma, appunto, è il lato di chi guarda a fare la differenza. E i numeri, se sono corretti, come la fonte farebbe supporre, sono netti.
Certo, per una parte dell'opinione pubblica è semplicemente impossibile ammettere l'evidenza, e probabilmente la loro attenzione andrà sempre sul lato vuoto del bicchiere : i poveri, i bambini che muoiono, gli affamati sono ancora troppi. Ma non è la loro ricetta che ha migliorato le cose e/o le migliorerà, e invece loro continueranno a pensare che, abolendo il mercato e ostacolando il progresso alimentare, si otterranno risultati meravigliosi.
Inutile parlare con loro.




Meglio il mercato della carità


 
Il mondo è più ricco e anche i poveri sono meno poveri. Il mercato ha funzionato meglio della carità. Le disuguaglianze indotte dalla crescita hanno portato più fortuna dell’uguaglianza generatrice di stagnazione. La Banca mondiale pubblica dati che dovrebbero indurre soddisfazione e riflessione, anche se comportano il crollo di tanti luoghi comuni. Bene ha fatto Pierluigi Battista a coglierne il nocciolo: la globalizzazione ha dato buoni frutti.
Nel 1990 in 1 miliardo 958 milioni vivevano sotto il livello di sussistenza, oggi sono 702 milioni. Troppi, ma molti meno. In un quarto di secolo 1 miliardo e 200 milioni di persone sono riuscite a superare il reddito minimo, oggi fissato in 1.90 dollari al giorno (tenuto presente il potere d’acquisto locale, che rende quella cifra non irrisoria). Ma c’è un altro dato, che s’impone: nello stesso lasso di tempo la mortalità infantile, nel mondo, è diminuita del 53.5%. E se non è un successo questo non cosa mai possa esserlo. Si può e si deve fare di più, ma molto è stato fatto.
La distribuzione percentuale della povertà estrema aiuta a capire cosa è successo. Nel 1990 era largamente prevalente quella dell’Asia orientale e area del Pacifico, oggi è stata superata dall’Asia meridionale e, soprattutto, dall’Africa sub-sahariana. I poveri sono drasticamente diminuiti a oriente. Cosa è successo? Che si sono sviluppati, hanno messo in moto l’economia, l’hanno spinta nella globalizzazione.
Nel 1990 i denutriti erano il 23.3% della popolazione mondiale, oggi il 12.9. La globalizzazione ha portato con s’è diverse rivoluzioni, a cominciare dal fatto che se il raccolto di un’area va male non per questo si cominciano a contare i morti da carestia, ma s’importano beni alimentari. Che sono cresciuti, in quantità e qualità, come mai nel passato. Sono cresciuti perché la ricerca e la tecnologia hanno fatto passi in avanti, e mentre i ricchi si sono fatti prendere dalla superstizione ipocrita, i poveri sono rimasti in vita grazie (anche) alle sementi geneticamente modificate, e al fatto che con gli ogm si nutrono gli allevamenti che poi nutrono gli umani. E’ un lusso da viziati, quello che si permette l’Italia, in cattiva compagnia con altri europei, pretendendo d’essere “biologici” nelle coltivazioni interne nel mentre sono pressoché totalmente ogm nelle importazioni di mangimi. 
Se si fosse rifiutato quel che l’oscurantismo schizzinoso rifiuta, gli ogm, quella crescita mondiale di cibo si sarebbe dovuta accompagnare a un impiego enormemente maggiore di acqua e insetticidi. La prima cosa impossibile e la seconda nociva.
Il mondo nel quale viviamo è migliore di quello che abbiamo alle spalle, ma questo non significa che non vi siano insidie micidiali, come anche occasioni da cogliere. La globalizzazione è figlia della fine della guerra fredda, dell’aprirsi dei mercati e, naturalmente, dell’esplodere delle comunicazioni. Ciò non toglie che siano in corso conflitti pericolosi, come, del resto, ve ne erano anche durante la guerra fredda, che noi europei abbiamo vissuto come la più lunga pace. Siccome non c’è sviluppo dove ci sono guerre, e siccome di sottosviluppo si muore, se non si scappa, ove si voglia porre un freno alle emigrazioni per fame e alle fughe per guerra si deve agire partendo dalla lezione che i numeri sopra ricordati impartiscono. Chi è ideologicamente convinto che le guerre siano frutto del mercato non lo ammetterà mai, ma è il mercato a fermare le guerre, altrimenti prospere con fanatismi, ideologismi e fondamentalismi. Gli interessi in conflitto esisteranno sempre, ma hanno aspetti positivi. La pretesa di negare la libertà e lo sviluppo non hanno aspetti positivi e deve essere combattuta.
Lo sviluppo diffuso è un bene, ma pone problemi energetici e di compatibilità ambientale. Questo è a sua volta un bene, perché apre la strada a nuova ricerca e nuova tecnologia, perché l’energia rinnovabile non sia il mezzo per incassare contributi governativi, ma la risorsa da immagazzinare e sfruttare. Un mercato ricchissimo, ancora largamente inesplorato.
Questi numeri scandalizzeranno molti, che rifiuteranno di accettarli. Ci sono interi filoni culturali e politici che amano i poveri e desiderano che ci siano sempre. A me i poveri stanno antipatici, preferirei non ce ne fossero. In venticinque anni si è fatta molta strada, ma molta ne resta da fare.

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