mercoledì 31 dicembre 2014

SE TSIPRAS VINCESSE



Il Garantista è un giornale di sinistra. Io , liberale storico, lo acquisto per la sua lodevole missione di informazione a tutela dei diritti e delle garanzie (in effetti, si tratta di valori che inizialmente ebbero a gauche il loro più ampio riconoscimento...poi deve essere successo qualcosa da quelle parti e il giustizialismo è diventato il nuovo totem della maggioranza dei sinistrorsi, con un amore smodato per i procuratori "di ferro"). Apprezzo poi diversi giornalisti e opinionisti che ci scrivono, a partire dal direttore Sansonetti per proseguire con Errico Novi, Francesco Pacifico, Lanfranco Caminiti, Tiziana Maiolo... Frequenti gli interventi di valenti colleghi tra cui spicca, per sagacia ed efficacia della prosa, Valerio Spigarelli, da molti già rimpianto ex presidente delle Camere Penali. Ciò posto, sempre un giornale di sinistra è, e quindi ci sta che, alle prossime elezioni greche, faccia il tifo per Tsipras e il suo partito, Syriza.
La questione greca è delicata. Da una parte inquieta leggere di un paese stremato, con un quarto della popolazione abile disoccupata, salari e pensioni spesso insufficienti, e, nonostante i sacrifici imposti da 4 anni, con un debito pubblico al 170% che non flette di un centesimo...Allo stesso tempo, leggo di aiuti erogati da parte della famigerata Troika per 240 miliardi !!! Se stanno messi così male nonostante questa pioggia di denari, come starebbero mai abbandonati a se stessi ? Bini Smaghi, in un post che sprizza pessimismo, spiega i costi sia economici che politici di una ristrutturazione del debito greco, quasi interamente in mani straniere (quello italiano supera un terzo, all'incirca). Un cul de sac direbbero i francesi, a cui certi amici romani risponderebbero : ci vorrebbe un sac de cul...(è fine anno, sdrammatizziamo almeno un po' !).

Rischi sottovalutati del voto in grecia 
Lorenzo Bini Smaghi 

 

I mercati finanziari sembrano aver digerito rapidamente l’annuncio di nuove elezioni in Grecia, nonostante la prospettiva di una nuova ristrutturazione del debito e la fine della politica di austerità. Si è così diffusa l’impressione che il rischio di contagio agli altri Paesi, in particolare l’Italia, sia oramai contenuto. È una illusione.
Rispetto agli eventi drammatici del 2011, che si sono scatenati subito dopo l’avvio delle discussioni sulla ristrutturazione del debito greco, sono state create in Europa due importanti reti di protezione. La prima è il Fondo salva Stati, che è stato rafforzato e che può intervenire direttamente sui mercati. Il secondo, ancor più importante, è lo strumento Omt ( Outright monetary transactions: l’acquisto di titoli di Stato di Paesi dell’eurozona sul mercato secondario) della Banca centrale europea, che consente di intervenire anche in modo illimitato per evitare che un Paese sia costretto ad uscire dall’euro.
Tuttavia, queste due reti non possono essere usate nei confronti di un Paese come la Grecia, e rischiano addirittura di sfaldarsi.
Il motivo è che circa l’80% del debito greco è attualmente detenuto dagli altri Paesi europei, dal Fondo salva Stati e dal Fondo monetario internazionale. Il resto è nel bilancio della Bce, delle banche greche e solo in minima parte dei creditori privati. Ciò significa che un taglio del debito greco, come proposto da alcune forze politiche di quel Paese che si candidano a governarlo, si tradurrebbe in un trasferimento di risorse in via definitiva da parte degli altri Stati e in un pari aumento del loro debito netto (per l’Italia fino a 20 miliardi di euro).
Una tale operazione creerebbe una serie di problemi.
Il primo sarebbe quello di confermare il timore di molti Paesi creditori, soprattutto del Nord Europa, che i prestiti erogati ai Paesi in difficoltà sono molto più rischiosi di quanto inizialmente stimato, e possono trasformarsi in trasferimenti a favore di altri Stati, contrariamente a quanto previsto dal trattato di Maastricht. Si scatenerebbero nuovi ricorsi, in particolare alla Corte suprema tedesca, sulla costituzionalità del Fondo salva Stati. In ogni caso, i Parlamenti nazionali che saranno chiamati in futuro ad esprimersi su eventuali aiuti a favore di Paesi in difficoltà tenderanno ad essere molto più restrittivi. In sintesi, l’efficacia del Fondo salva Stati verrebbe seriamente ridimensionata. Anche l’azione della Bce verrebbe indebolita da una ristrutturazione del debito greco. Si rafforzerebbe la posizione di chi, nell’ambito del Comitato direttivo della banca centrale, si oppone all’acquisto di titoli di Stato che non hanno il rating più alto, dato che i costi di una eventuale ristrutturazione verrebbero scaricati su tutti i contribuenti europei. Verrebbe rafforzato anche chi sostiene che un’eventuale politica di Quantitative easing potrebbe essere realizzata solo se il rischio dei titoli di Stato acquistati dalla Bce venisse scaricato sulle rispettive banche centrali nazionali, e non sull’intero sistema come le normali operazioni di politica monetaria. Ciò ridurrebbe l’efficacia di tale strumento e l’esporrebbe a pregiudizi di costituzionalità.
Lo stesso annuncio della Bce di fare tutto il necessario per salvare l’euro verrebbe indebolito nel caso di ristrutturazione del debito greco, perché verrebbe in questo modo evidenziato che tale impegno può comportare perdite ingenti per la Bce, che aggravano i bilanci degli Stati senza l’approvazione dei rispettivi Parlamenti. Peraltro, la Grecia non potrebbe beneficiare direttamente dell’intervento della Bce, poiché l’operazione Omt è condizionata all’adesione a un programma con la Troika, che viene invece rifiutato dal nuovo governo greco.
In sintesi, se il governo che uscirà dalle urne greche a fine gennaio metterà in atto le misure annunciate, inclusa la ristrutturazione del debito e l’aumento della spesa pubblica, la rete di salvataggio creata negli ultimi anni in Europa rischia di saltare, facendo precipitare il continente in una nuova crisi profonda.
I mercati finanziari non sembrano per ora credere in questo scenario. Forse dimostrano, come varie volte in passato, di non essere pienamente efficienti. Oppure sperano che, sull’orlo del precipizio di una nuova crisi, anche il nuovo governo greco rientri nei ranghi.

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