martedì 21 giugno 2016

RENZI AMMETTE LA SCONFITTA...DIFFICILE NON FARLO CON 45 MUNICIPI PERSI !

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A sentire le dichiarazioni di renzino post ballottaggi, con l'ammissione netta della sconfitta e della non liquidazione del voto ortottero a mera manifestazione locale e/o di protesta, mi sono detto " Però, antipatico il toscano, però sincero, non si nasconde".
Poi, stamane, leggendo i giornali apprendo che il PD ha perso qualcosa come 45 municipi sui 90 che deteneva prima delle elezioni... Ebbè, con questi numeri era ben difficile non ammettere di aver perso...
Capisco, fino ad un certo punto, che il ministro Martina- antipatico come il padrone - si presenti a Porta a Porta, nonostante la batosta generale, tronfio per averla scampata a Milano, ma se è comprensibile il sollievo da disastro evitato ( cadeva anche la Madonnina, altro che Caporetto ! ), non la faccia di tolla di chi vince per un soffio e si permette di dire "tutto previsto", invece di accendere un cero alla Madonna (e alla metà dei milanesi che sono rimasti a casa...). Del resto, Martina era quello che due settimane fa andava in giro sulle TV a bearsi delle proiezioni che davano  Sala avanti di 5 punti, salvo poi nascondersi a notte inoltrata quando la rimonta di Parisi si era fermata a solo un punto di differenza...
Dicono che la Serracchiani perderà la poltrona di vicesegretario (paga la sconfitta a Trieste ? o l'inadeguatezza sua generale ?) e questo è bene. Poi però i rumors danno su quella sedia Martina, e questo sarebbe malissimo...
Forse ai renziani qualcuno non sta spiegando bene come la loro arroganza, innata o scopiazzata dal capo, non stia portando grandi risultati, e che forse dovrebbero imparare da un Di Maio che, ovviamente gongolante, cerca di tenere un profilo contenuto, controcorrente rispetto all' old style ortottero - tuttora rappresentato da esagitati come Di Battista, Fico per non parlare della Taverna - che, scriveva bene oggi Pierluigi Battista, si sta positivamente modificando, ed emergono personaggi nuovi, come per esempio la vincente Appendino che non usa toni trionfalistici o di rivincita verso Fassino (che mal la sopportava dagli scranni dell'opposizione, dove la definiva Giovanna D'Arco, Secchiona e via così).
Tutto questo mentre, ricorda opportunamente Massimo Franco, nella sua analisi sul Corsera che trovate di seguito, l'astensionismo continua a farla da padrone.
Al primo turno hanno votato il 60% degli aventi diritto, ma questa cifra, non positiva ma almeno un minimo passabile, non ha riguardato nessuno dei grandi capoluoghi. Poi, al ballottaggio, more solito ( molti di quelli che vedono non andare avanti i propri candidati non vanno a votare), si scende un altro po' . Alla fine la media è del 50%.
Questo vuol dire che a Milano Sala governerà con pieni poteri - oddio, quelli del Sindaco, con limiti di cassa noti - pur avendo il consenso VERO di un milanese su quattro. Un po' meglio la Raggi, che col suo quasi 70% può dire che almeno un romano su tre l'ha scelta, e se non è il migliore dei mondi possibili, già si tratta di una folta minoranza che potremmo dire forte e dignitosa.
I giudici siano prudenti, sarà un problema impallinarla come Marino (che era stato votato da meno di un romano su cinque...).
La chiosa di Franco la dedico a tutti quelli che - sono tanti, anzi troppi - , di fronte al problema dell'astensione, strologano di "qualunquismo" o, ancora peggio, di "voto maturo", all'anglosassone... Come se l'Italia fosse paragonabile alla maturità civica e politica del Nord Europa...

Non viene in mente a costoro una spiegazione più desolante e veritiera, proposta invece dal noto editorialista :
esiste un Paese in attesa di un’offerta politica più seria e qualificata: da parte di tutti.


Il Corriere della Sera - Digital Edition

COSì MUTANO I CONFINI TRA I PARTITI

 di Massimo Franco
Risultati immagini per risultati comunali 2016
La favola di Matteo Renzi come «re Mida» della sinistra, che trasforma in oro elettorale tutto quello che tocca, ora rischia di essere raccontata alla rovescia. Il suo Pd domenica ha dimezzato i Comuni in cui governa. Il M5S è passato da zero a 19. Il bistrattato centrodestra più o meno tiene. E i leader dimostrano quanto sia difficile analizzare i ballottaggi con freddezza. Lo sfondo è frammentato e mescola fattori locali e nazionali: a conferma che il rapporto con l’opinione pubblica ormai è difficile, volatile.Eppure, qualche linea di tendenza affiora, insieme a molte incognite per l’autunno.

Finito «l’effetto re Mida»

Il primo elemento di novità è, appunto, la fine dell’«effetto re Mida». La vittoria renziana alle Europee del 2014 è un ricordo ingiallito. I ballottaggi del 19 giugno hanno mostrato lo strano fenomeno di candidati del premier come Giuseppe Sala a Milano e Roberto Giachetti a Roma, che raccomandavano agli elettori di votare solo per loro, senza pensare a Renzi. Un paradosso. Fino a qualche mese fa, avveniva il contrario: si pensava che il segretario-premier fosse una sorta di carta in più offerta ai candidati per prevalere contro gli avversari.

Carta, in realtà, un po’ consunta: tanto che non ha funzionato nemmeno nella «sua» Toscana, dove il Pd ha perso molte delle sue roccaforti. A livello locale, da tempo si percepiva una perplessità diffusa verso il capo del governo. Arrivavano strane richieste di alcuni candidati, tipo quella di non avere Renzi ai comizi finali. I fischi, per quanto uniti agli applausi, collezionati in alcune manifestazioni da ministri e ministre, erano scricchiolii.
Risultato: amministravano 90 Comuni di quelli in cui si è votato, e ora solo 45. Ha fatto meglio il bistrattato centrodestra: ne conserva 34.

M5S campione di ballottaggi

È una frattura con l’opinione pubblica che i ballottaggi hanno certificato; e della quale si è avvantaggiato un M5S che al secondo turno dà il meglio perché non esprime un’ideologia definita.
E si affida a concetti facili come onestà e semplicità, abbinati alla narrativa antisistema. È un’operazione ambigua ma di successo, affidata all’istrionismo di un Beppe Grillo che scompare e riappare a seconda delle convenienze. Così, da zero è passato a controllare 19 città: comprese Roma e Torino. D’altronde, sfrutta un risentimento sociale diffuso.

Ma il Movimento comincia a esprimere un voto più politico, e più micidiale nei suoi effetti. Esce dall’isolamento e cerca di condizionare i risultati non solo quando presenta propri candidati, ma quando si tratta di danneggiare i nemici: di nuovo, il Pd. E lo fa scegliendo un profilo di radicalismo moderato, «d’ordine»: un asse di fatto col centrodestra.

«Perdere qualche Comune è normale»

Il premier sostiene che «dopo due anni di governo è normale perdere qualche Comune». Ha anche ribadito che si è trattato di un voto locale vinto dal M5S nel segno del cambiamento. Ragionamento ineccepibile, ma politicamente un po’ autoassolutorio: soprattutto se tra le città perse ci sono la capitale d’Italia, Torino e Napoli; e se sono cadute in mano a un M5S da sempre schierato contro il Pd, e viceversa. Quando si parla di cambiamento, per quanto ambiguo e da decifrare nella sua portata e nei suoi approdi, è il partito di Grillo a esprimerlo.

Renzi lo riconosce. Eppure viene il sospetto che lo faccia anche per poter regolare meglio i conti interni: come se i candidati perdenti fossero stati scelti non da lui ma da altri; e adesso si trattasse solo di compiere l’ultimo passaggio della «rottamazione». Nel cambio di fase che i grillini cavalcano con abilità e spregiudicatezza, il rischio del Pd è di apparire datato a sua volta.

Un referendum a ostacoli

Se dovesse radicarsi un sentimento del genere, i contraccolpi sul referendum istituzionale di ottobre si farebbero sentire. Renzi è convinto di stravincerlo, e probabilmente ha buoni motivi per pensarlo. Ma dopo la delusione dei ballottaggi, la strada si presenta in salita. E la tendenza a analizzare quanto è accaduto scaricando sugli altri le responsabilità potrebbe alimentare l’insofferenza verso il premier. Alle perplessità sul merito delle riforme approvate, si sommerebbe il rifiuto della personalizzazione del referendum.

Il limbo del centrodestra

In questo scenario, lo schieramento che fa capo a Silvio Berlusconi e a Matteo Salvini sembra condannato al ruolo di comparsa: al massimo di portatore d’acqua. Il vuoto lasciato da FI non viene riempito dalla Lega in chiave xenofoba e estremista. Eppure quel serbatoio di consensi esiste ancora: nonostante l’assenza di una leadership condivisa a livello nazionale.

Lo sconfitto, semmai, è Salvini col Carroccio. Mai come ora avrebbe potuto strappare a FI il primato. Invece esce dal voto ridimensionato nelle ambizioni anche personali. Brucia soprattutto l’insuccesso di Varese, conquistata dal centrosinistra nonostante la candidatura del governatore della Lombardia, Roberto Maroni.

L’astensionismo, primo partito

Ma sconfitte e vittorie, anche del M5S, sono sovrastate da un aumento dell’astensionismo: a conferma che nessuna forza è capace di riassorbire il distacco crescente dalle urne.
Ai ballottaggi ha votato appena il 50,54 per cento: quasi il 10 per cento meno che al primo turno. Si può liquidare il fenomeno come tardo-qualunquismo, o come conferma di un’Italia «anglosassone» per il numero basso di votanti. Ma forse, banalmente, esiste un Paese in attesa di un’offerta politica più seria e qualificata: da parte di tutti.

1 commento:

  1. In effetti è quello che penso anch'io :

    ...." esiste un Paese in attesa di un’offerta politica più seria e qualificata: da parte di tutti."....

    Un numero non so se quantificabile di moderati ma non solo che semplicemente non ci stanno a essere governati da disonesti.

    E in QUESTO contesto non dovrebbe sorprendere alcuno che sia nato il grillismo.

    E forse sarà anche presto a Palazzo Chigi perché non vedo nella politica del "sistema" la coscienza di averla fatta troppo grossa perché possa come in passato esser nascosta sotto il tappeto della memoria corta e la tolleranza di noi italiani-elettori.


    Leno

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