mercoledì 31 agosto 2016

AUMENTANO LE RICHIESTE, E LE PROPOSTE, PER CAMBIARE LA LEGGE ELETTORALE

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Sono d'accordo con diverse considerazioni tra quelle contenute nell'opinione di Stefano Passigli pubblicata sul Corriere della Ser di ieri 30 agosto, però alla fine avrei degli interrogativi da porre all'autore.
Le critiche che svolge nei confronti della riforma costituzionale le condivido : ok all'eliminazione di un sistema bicamerale perfetto, ma brutto il pasticcio senatoriale.  Meglio l'abrogazione tout court, ma se delle competenze le deve conservare, tra cui, importante, quella dell'elezione del presidente della Repubblica, allora che il Senato sia eletto. A bordo piscina - certi tipi di sinistra (ci stanno anche persone diverse tra loro, per fortuna) è in questi luoghi che si esprimono : salotto d'inverno, terrazze e piscine d'estate...- mi è stato spiegato che in fondo anche nelle riforma così concepita al senato andrebbero degli eletti, votati però in occasione delle elezioni regionali... Evidentemente questi signori non hanno mai sentito il concetto che le mele e le pere non andrebbero sommate..., oppure pensano che non si sappia che il voto amministrativo è ben diverso, in Italia, e da sempre, da quello politico nazionale.
Non a caso, nelle tornate amministrative, la sinistra andava sempre meglio rispetto alle politiche, per l'effetto dei cd. voti in "libera uscita", come li aveva definiti, con la solita affilata arguzia, Giulio Andreotti.
Non parliamo della modifica dell'elezione del Capo dello Stato, adesso a portata di una maggioranza parlamentare semplice, oltretutto drogata dal pasticcio scandalo dell'Italicum.
E lì torniamo, alla fatidica legge elettorale che infatti PAssigli stigmatizza in toto, confidando nella prossima dichiarazione di incostituzionalità, rilevando - ormai lo fanno finalmente in parecchi, mi vanto di averlo letto per la prima volta sul Camerlengo...- come non è possibile accettare un premio di maggioranza che stravolga il principio del consenso. Passigli calcola come, tenendo conto della media dell'astensionismo nelle ultime occasioni elettorali e la tripolarizzazione degli schieramenti, il 55% dei seggi andrebbe al partito che in realtà potrebbe rappresentare anche MENO del 20% degli aventi diritto al voto !!!
Non è una possibilità astratta, è una alta probabilità, che al massimo potrebbe migliorare fino ad arrivare al 25% : un italiano su quattro, decisamente sempre troppo pochi.
Siccome hanno preso le sonate di Torino e Roma, proprio grazie al ballottaggio piglia tutto, ecco che anche qualcuno dei renziani ottusi inizia a temere che il giocattolo truffa immaginato dopo i "trionfi" europei del 2014 (due anni e mezzo, sembrano passati decenni...) gli si rivolti contro e invece di renzino a palazzo Chigi arriva Di Maio... In effetti, al netto dell'antipatia per il premier, una prospettiva da incubo...
Detto questo, non capisco bene come il sistema uninominale corretto da un premio al partito vincitore, immaginato da PAssigli al posto dell'Italicum correggerebbe il vulnus principale della legge partorita, su commissione renziana, da Alimonte.
Non sono scettico, proprio non lo comprendo. Per me la soluzione è più semplice : ok al premio di maggioranza, ma SOLO se il voto raggiunge un quorum minimo di partecipanti al voto. Altrimenti ridistribuzione proporzionale, al massimo con un premio al partito più votato che però non REGALI il controllo del Parlamento.
In questa eventualità, si sarà costretti a trovare compromessi per trovare una maggioranza , come accade in tutto il mondo.
E pazienza se la sera andremo a dormire senza sapere chi ha vinto.
Certo non ne moriremo.





Essenziale modificare l’italicum per il futuro delle riforme

di Stefano Passigli
 
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In qualsivoglia sistema politico governabilità e rappresentatività sono il prodotto di un mix di norme costituzionali e leggi elettorali. L’attenzione al «combinato disposto» delle due non è dunque un’invenzione polemica dei detrattori della riforma, ma una necessità di cui tener conto in sede di referendum perché è proprio sulla base della legge elettorale che va giudicata la bontà complessiva del disegno riformatore: i cittadini voteranno nel referendum solo sulla riforma costituzionale, ma il loro voto dovrà esprimere anche il loro giudizio sulla legge elettorale.

Ciò premesso, è tuttavia utile analizzare separatamente le due riforme.
La riforma costituzionale ha molti difetti: promette quello che non potrà mantenere (la semplificazione del processo legislativo; il taglio dei costi della politica); compromette l’equilibrio tra poteri e il ruolo delle magistrature di garanzia (in particolare del capo dello Stato); dimentica alcune essenziali innovazioni (la «sfiducia costruttiva» e l’attribuzione al premier della nomina e revoca dei ministri); non supera l’anacronistico regime delle regioni a statuto speciale (giustificato solo per l’Alto Adige); e così via.
Ma la riforma ha anche un fondamentale pregio: attribuisce la concessione della fiducia alla sola Camera, evitando possibili maggioranze diverse tra Camera e Senato, e soprattutto sottopone al vaglio preventivo della Corte costituzionale le leggi elettorali, evitando il rischio di Parlamenti politicamente delegittimati come avvenuto con il Porcellum.

 
A ben guardare, i principali obiettivi della riforma costituzionale avrebbero potuto essere assolti da una buona modifica della legge elettorale. Sono infatti in primo luogo le leggi elettorali ad assicurare stabilità ed efficacia dei governi. Ma il problema è che l’Italicum mantiene invece tutti o quasi i difetti del Porcellum: una metà del Parlamento nominata dalle segreterie di partito (in violazione di una pronuncia della Corte), nonché la possibilità di capolisture plurime a garanzia dell’attuale classe politica (che introducendo una diversità di status tra candidati è anch’essa a palese rischio di incostituzionalità); ma soprattutto un abnorme premio di maggioranza che — nell’attuale situazione multipolare, e con una partecipazione al voto limitata al 60-65% — consegnerà il governo del Paese a un partito rappresentativo di non più del 18-22% degli elettori.
Anche su questa evidente disproporzionalità che altera il rapporto tra eletti ed elettori si pronuncerà la Corte. L’Italicum va insomma radicalmente cambiato, e poiché una sua modifica aiuterebbe non poco la causa del «Sì» non si comprende la difesa ad oltranza che ne fanno alcuni membri del governo più realisti del Re.
 
Più disponibile appare infatti il premier, che si limita a chiedere che vengano indicate le modifiche necessarie e la maggioranza disposta a votarle. Modificare l’Italicum è insomma possibile, e lo si potrebbe fare addirittura con un referendum parzialmente abrogativo, abolendo liste bloccate e candidature plurime, e reintroducendo il collegio uninominale (i tempi sono stretti, ma nel 2012, quando per abolire il Porcellum si confrontarono la mia proposta di referendum e quella di Parisi, in un mese furono raccolte più di un milione di firme). Se ai 475 collegi del Mattarellum — che grazie al premio implicito nei sistemi maggioritari rafforzerebbero ulteriormente i grandi partiti — si aggiungesse un premio di 90 seggi (14%) per i migliori perdenti del partito che avesse vinto più collegi otterremmo governabilità e diritto di tribuna per i partiti minori. Occorrerebbe naturalmente che la Legge sui partiti ora all’esame del Parlamento disciplinasse adeguat amente la selezione dei candidati per evitare che le liste bloccate cacciate dalla porta rientrassero dalla finestra. E occorrerebbe completare l’opera con una riforma dei regolamenti parlamentari che ponesse un limite al crescente trasformismo della nostra classe politica.

Una simile riforma elettorale renderebbe possibile al partito vincitore conseguire non solo una maggioranza alla Camera ma tendenzialmente anche al Senato, facilitando così la stabilità dei governi anche in caso di mancata riforma costituzionale. Non si deve infatti dimenticare che nel 1996, in una situazione come oggi multipolare, il collegio uninominale — grazie a un’attenta strategia di desistenze operata da D’Alema e Prodi — permise al centrosinistra ancorché inferiore in voti di battere il centrodestra. Aver rottamato una classe politica non deve far dimenticare che essa ebbe grandi meriti: l’ingresso nell’euro, la gestione della crisi libanese, il forte abbattimento del rapporto debito/Pil, e appunto un uso sapiente del collegio uninominale, del sistema elettorale cioè che più di ogni altro garantisce la qualità della classe politica e quel diretto rapporto eletto/elettore che è il più sicuro fondamento della democrazia rappresentativa. Una ragione di più per tornare ad affermare che una modifica dell’Italicum è oggi essenziale, e che senza di essa la riforma costituzionale è a rischio di approvazione, e se approvata può porre a rischio il Paese.

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