Un intervento molto semplice, quasi basico, quello di Luciano Fontana sul "suo" Corriere della Sera, che però mi ha stupito facendomi subito pensare ad una sorta di investitura da parte di quello che , storicamente, è il giornale per eccellenza dei "moderati" italiani (liberali, conservatori, europeisti prudenti ...) a favore di Stefano Parisi, sconfitto "eccellente" alle elezioni amministrative milanesi dove ha perso per pochi voti ed ha dato un esempio di rassemblement quantomeno competitivo nei confronti della sinistra.
L'analisi che l'attuale direttore del Corsera fa del declino del centrodestra è estremamente sintetica, probabilmente troppo, ma tutto sommato accettabile nella sua semplicità.
Che Berlusconi vada superato, ormai lo pensa anche l'interessato, un po' per l'imminente 80mo compleanno, la perduranza dell'azzoppamento elettorale, ma soprattutto, direi, per una situazione di salute che mi pare di capire richieda una decisa sterzata dei ritmi di vita.
Molti, troppi, sono gli aspiranti successori, non sto qui a fare l'elenco, ma sicuramente non bastano le dita di due mani...
Fontana fa capire che Parisi potrebbe essere uomo della bisogna, pare di capire per ragionevolezza, moderazione, obiettivi realistici...
Potrebbe essere, francamente l'uomo non lo sto seguendo, perché non mi emoziona. Un leader, specie dell'area di cui ci occupiamo, è bene abbia le doti sopra citate, però anche carisma e una capacità, almeno minima, di empatia con gli elettori.
Rivolgersi solo alla testa di questi ultimi, non penso si vada molto lontano, e sicuramente non alle elezioni.
Però magari Parisi cambia marcia...
La nuova identità dei moderati
Ricostruire un’identità politica, trovare un nuovo leader. È l’impresa, difficile, molto difficile, che ciò che rimane del centrodestra deve affrontare nell’autunno politico in arrivo. Con l’urgenza dettata anche dalla possibilità che, dopo il referendum costituzionale, si apra in tempi brevi la stagione delle elezioni.
Inutile guardare al passato, al mitico ’94, l’anno della discesa in campo di Berlusconi. Quel mondo, politico, sociale ed economico non c’è più. La competizione tra il polo progressista e quello conservatore è stata sostituita da un tripolarismo in cui la sinistra non si sa bene se esista ancora, il centrodestra sì è frantumato in tanti pezzi, la protesta e l’insofferenza degli elettori hanno preso la strada di un movimento ancora indefinito, e molto fragile nelle prove di governo delle città, come i Cinque Stelle.
Il tema dell’identità, dopo più di venti anni, si pone in un modo radicalmente diverso. Allora c’era un collante evidente: fermare l’avanzata dei postcomunisti al governo dopo la caduta della Prima Repubblica democristiana. Un obiettivo semplice che metteva insieme forze ed esperienze (dal partito impresa berlusconiano ai leghisti ai missini) senza tanti turbamenti. Il progetto di governo sarebbe venuto dopo. Il risultato fu raggiunto, il profilo liberale dell’esecutivo (meno tasse, meno Stato, più crescita) stentò invece a raggiungere anche risultati minimi.
Un’identità contro qualcuno ora non è più possibile. Tanto più che le vicende politiche e giudiziarie di Silvio Berlusconi hanno lasciato al centrodestra un partito molto più debole, incalzato elettoralmente dalla Lega, e un leader sempre più distaccato, per ragioni personali e di età, dalla competizione.
La scelta del candidato sindaco di Milano, Stefano Parisi, come possibile ricostruttore dei conservatori italiani è il frutto di queste difficoltà. Non sappiamo ancora se il suo destino sarà identico a quello dei tanti delfini investiti e bruciati in questi anni. C’è però una consapevolezza: l’unica possibilità resta la definizione di una nuova area liberale e moderata che sappia sottrarre la destra italiana alle pulsioni populiste. Critica con l’Europa ma attenta a non scivolare in un isolazionismo pericoloso. Il centrodestra non potrà mai rinascere, come pensa qualche colonnello di Forza Italia, come la somma aritmetica di partiti e partitini antitetici, una somma che non fa una politica e un progetto.
Solo una scelta chiara e un leader sostenuto con generosità potranno parlare a un elettorato che si è rifugiato in altri lidi o ha rinunciato alla partecipazione politica. L’Italia ha bisogno di spirito d’impresa anche in politica, e questo Stefano Parisi è in grado di assicurarlo, ma soprattutto di un gruppo dirigente in sintonia con il diffuso disagio economico e sociale. Che sappiano parlare (con idee, programmi, parole d’ordine) in modo semplice agli elettori. Che non si limitino a solleticare la rabbia ma indichino strade ragionevoli di uscita dalla crisi.
Altrimenti è il solito gioco del cambio del nome al partito e del leader buttato in pasto all’opinione pubblica e trascinato rapidamente nell’oblio. Un gioco praticato troppe volte e destinato a bruciare le ultime speranze degli elettori conservatori senza rappresentanza.
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