sabato 26 novembre 2016

MERITO DELLA RIFORMA SECONDARIO RISPETTO AL PLEBISCITO SU RENZI. UN MALE CHE ANDAVA EVITATO

Risultati immagini per sette giorni al referendum

Siamo ormai ad una settimana dal giorno del giudizio, ché tale l'hanno fatto diventare 'sto referendum nemmeno veramente potesse segnare, in un senso o nell'altro, chissà che scelta epocale nella storia d'Italia, e il giornale caro alla Fiat, La Stampa, soffia, per quanto può, nelle vele del SI'. C'entrerà il feeling mai venuto meno tra Marchionne e il premier ? E' verosimile.
Con Calabresi era quasi imbarazzante la cosa, tanto che io disdissi l'abbonamento on line che avevo con il giornale torinese. Con Molinari alla direzione, ho ripreso a comprarlo in edicola.
Resta l'endorsement renziano, ma meno azzerbinato.
Prosegue la campagna apertamente pro, con tanto di intervistona odierna a renzino per ripetere i suoi slogan (va detto che lui si ripete in modo più interessante rispetto a gente come Boschi, Guerini, Serracchiani, veramenti meri pappagalli, anche un po' irritanti).
Federico Geremicca, facendo un commento, rileva come alla fine il voto s'incentrerà in modo fin troppo rilevante sulla figura del premier anziché sul merito della riforma e questo è ovviamente è un male, del quale Renzi ha le maggiori - non uniche - responsabilità.
L'altro giorno, nel postare l'analisi critica alla riforma del costituzionalista Sechi e dell'opinionista Ricardo Levi ( http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2016/11/no-questa-riforma-fatta-male-non-al.html ), un paio di lettori, evidentemente pro SI, hanno criticato i due autori rilevando come le loro alternative di riforma contenessero gli stessi punti affrontati dal testo sottoposto a referendum.
E qui casca l'asino. Perché come ho ripetuto più volte, tra quelli del NO ci sono tante persone che non bocciano il riformismo, non pensano che la Costituzione sia sacra e intoccabile (16 volte finora, quella degli USA MAI..., tanto per dire), ma contestano QUESTO TESTO.  Personalmente, ma non sono il solo, alla fine lo boccio anche per il "combinato disposto" con la legge elettorale, il pessimo italicum.
Rispondendo a quei lettori, ho quindi scritto :
" La sostanza sta nel criticare QUESTA riforma per come è scritta, per come intende realizzare obiettivi astrattamente condivisibili. La semplificazione e quindi il superamento del bicameralismo perfetto è una buona cosa, ma non lo è il modo in cui ciò viene realizzato dal testo Boschi. Il Senato o non c'è del tutto ( si risparmierebbe di più non trovate ? ) oppure se c'è deve essere eletto direttamente, sia pure nei compiti più ridotti (ma in certe materie ancora rilevanti, come proprio la materia costituzionale, per non parlare della ratifica dei trattati internazionali, in epoca di globalizzazione). E non venitemi a dire che li abbiamo eletti facendoli sindaci o governatori : si tratta di elezioni diverse, e mischiare pere con mele è sempre stata una pessima cosa. Parimenti pasticciato è il testo della correzione, sacrosanta, del Titolo V, opera nefanda della sinistra prodiana. Sicuramente il fronte del NO mette insieme forze eterogenee, e personalmente non ho molto da spartire (eufemismo) con i grillini, con Travaglio, con quelli di MicroMega. Non penso che la Costituzione sia intoccabile, ma credo, come scrivono gli autori che voi criticate, che vada toccata "bene". E renzino e i suoi non lo hanno fatto. Detto ciò, non mi suicido di certo se vince il SI, semmai sono molto più preoccupato che resti così com'è l'Italicum (ma magari ci pensa la Corte, così come ha fatto col Porcellum).
Voi che fate se vince il NO ? Cambiate paese, come va di moda dire ?".







LaStampa.it

Un premier 3.0 per rovesciare il pronostico

 
Ci sono le battute, come inevitabile: «Nella mia veste di scrofa ferita e aspirante serial killer...». Qualche faticosa autocritica: «La mia sorte non è importante, non farò l’errore di personalizzare». Un avvertimento a Berlusconi (e non solo) di cosa potrebbe riservare l’alba del 5 dicembre, se vincesse il No: «Lui dice “il giorno dopo ci sediamo al tavolo con Renzi”... No, a quel tavolo ci troverà Grillo e Massimo D’Alema». Ma nella lunga intervista concessa ieri dal premier a Massimo Gramellini, c’è soprattutto - in controluce - l’asse portante della possibile strategia futura: certo buona in caso di vittoria del Sì, ma ugualmente utile anche in vista di una campagna elettorale che molti ormai vedono vicina. 
 
Una sorta di Renzi 3.0, che ha bisogno di una premessa nella quale il segretario-premier, naturalmente, crede ancora: la vittoria del Sì al referendum. Una vittoria che - a giudizio di Renzi - farebbe dell’Italia e del suo governo (premier in testa) il soggetto più forte in Europa, considerate le fatiche e le insidie elettorali che attendono Angela Merkel e François Hollande. E una forza che, acquisita in Italia, Renzi intenderebbe spendere - ed è una novità - soprattutto in Europa: «Il 2017 sarà cruciale per l’Europa, l’Italia deve avere una sua forte strategia». 
 
Una strategia, una linea, che il presidente del Consiglio ha sintetizzato con una battuta: «Tra populismo e globalizzazione». Tradotto in politica - e col volto dei due leader che oggi meglio paiono incarnare quei due filoni - fra Trump e Merkel: una specie di terza via tra populismo nazionalista e certo rigore tecnocratico europeo. Che comunque obbligherebbe Renzi a trovare un equilibrio tra la fase uno del suo governo (convintamente europeista) e l’attuale fase due, segnata da polemiche quotidiane, veti annunciati e rivendicazione di sovranità.  
 
Per il premier si tratterebbe, in fondo, di dare spessore e sistematicità a quel che in qualche modo è già stata la sua discussa pratica di governo in questi mille e passa giorni: accompagnare a classici provvedimenti «di sinistra» iniziative (leggi) che parlino anche all’elettorato più moderato, di centrodestra. Un tentativo, insomma, di tener conto del vento che tira e provare ad evitare al Pd la sorte che si è abbattuta sui socialisti spagnoli, francesi e greci, e sugli ancora provati laburisti inglesi. 
 
Si tratta, come è evidente, di un tentativo non facile e già oggetto di contestazione - nell’ultimo anno almeno - per l’implicito «snaturamento» di approcci e valori classici e cari alla sinistra italiana. Ma soprattutto, questa ipotetica terza via sarebbe più difficilmente percorribile senza la forza - una sorta di investitura - che una vittoria del Sì attribuirebbe a Renzi ed al governo, tanto sul piano interno quanto sulle scenario europeo. Ma che possibilità ha il Sì di prevalere nelle urne del 4 dicembre? 
 
Difficile dirlo. Ma da qualche giorno, paradossalmente, la campagna referendaria - dopo tentativi di spersonalizzazione e discussione nel merito - sembra esser tornata precisamente al punto di partenza: il referendum sul premier. Con una novità non da poco, dettata - forse - dall’avvicinarsi della sentenza. Infatti, al cacciamo (o salviamo) Matteo Renzi, si è andata aggiungendo una domanda: va bene, lo cacciamo, ma dopo che succede? Anche per questo è difficile immaginare che il rush finale di questa campagna venga lasciato ai costituzionalisti e a dotti confronti sul bicameralismo: lo scontro sarà tutto politico, e l’arma più forte in mano al Sì - checché se ne pensi - oggi sembra proprio essere quella certa e atavica paura italiana del «salto nel buio». Come forse, mesi e mesi fa, Matteo Renzi aveva immaginato. O forse soltanto sperato. 

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