lunedì 12 dicembre 2016

LA BOSCHI SI LAMENTA "NON SOLO COLPA MIA". VERO, MA NON AVEVA DETTO CHE LASCIAVA SE PERDEVA ?

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Non che sia importante se la Boschi sia ministro o meno del governo Gentiloni, tenuto conto del dicastero che eventualmente gli verrebbe assegnato - rapporti col parlamento, pari opportunità - sicuramente meno importante di quello che perde, il più prestigioso e mal presieduto delle riforme istituzionali e che questo esecutivo avrà, in ogni caso, vita breve. I primi mesi del 2018, male che vada, si tornerà a votare per forza, ché è rimasta sta brutta cosa che, almeno ogni 5 anni, gli tocca farcelo fare.
Però il vittimismo della signora, che pare vada lamentandosi - leggi articolo che segue, sul Corsera - che lei sarebbe il capro espiatorio della sconfitta referendaria, è francamente stomachevole.
Tutti ricordiamo che la ventriloqua renziana, per non essere da meno del Capo che aveva proclamato, urbi et orbi, il ritiro in caso di bocciatura della Riforma, eletta a scopo primario della sua attività politica, si era accodata dichiarando che anche lei, del caso, avrebbe abbandonato la vita pubblica.
Nessuno sano di mente ha creduto per un attimo ad entrambi, però gli autori di queste sparate poi un minimo di decenza, se non di coerenza, dovrebbero averlo.
E renzino un po' ce l'ha, avendo dato la sera stessa le dimissioni e avendo scartato l'idea di un democristiano reincarico.

Dopodiché si giocherà la sua rivincita, com'è giusto che sia, guasconate a parte.
La madonnina infilzata no. Lei la poltroncina non la vuole lasciare, non ha perso solo lei.
Il che è verissimo, ma è altrettanto vero che lei ha perso più degli altri, sia per il ruolo che per il modo, spocchioso, arrogante, con cui lo ha svolto.
Alcuni rumors la danno in disgrazia addirittura col Capo, e secondo me, se la cosa fosse vera, non dipenderebbe dal referendum ma da una eccessiva, dannosa, sovraesposizione mediatica della (ex) ministra, senza contare tutti i guai paterni con banca Etruria.
E so' cose belle.



Il Corriere della Sera - Digital Edition

Spavalda con i nemici pignola tra i ministri Boschi ora è isolata: c’è chi paga e chi no

La strisciante competizione con Lotti

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Paga le banche, la legge elettorale e per finire la riforma costituzionale. Come se avesse deciso tutto lei, come fosse l’unica colpevole, come si fosse davvero trasformata in quello che sa di essere comunque diventata: «Io sono il capro espiatorio», dice la Boschi. Una condizione che si preparava a vivere dai giorni di vigilia al referendum, quando scuoteva la testa scorrendo i sondaggi negativi: «Se le cose andranno male, sarò la prima a saltare». Ma la notte del 4 dicembre, visto il responso delle urne e soprattutto le «dimensioni inaspettate» della sconfitta, non ha accettato il ruolo che già le avevano assegnato: «La responsabilità non può essere solo mia».

E certo di responsabilità ne ha avute il ministro che sedeva alla destra di Renzi, che si era assunta la maternità della nuova Carta e che per un tratto era rimasta in prima linea a difendere il solco riformatore con il moschetto della polemica: dallo scontro con l’Anpi sui «partigiani veri che voteranno Sì al referendum», fino all’affondo contro il governo tecnico di Monti, che aveva cambiato il suo giudizio sulla riforma. Raccontano che Napolitano, sentitosi indirettamente chiamato in causa, avrebbe chiesto un chiarimento: «Ma vi ricordate cos’è stato il 2011 per l’Italia?». E lei, senza timore di rispondere ad asprezza con asprezza: «È campagna elettorale e certe cose funzionano».

Insomma, la Boschi accetta di finire politicamente alla sbarra, ma non accetta di ritrovarsi da sola al banco degli imputati. E trova insopportabile l’idea che possano essere applicate due diverse misure ai due più stretti collaboratori dell’ex presidente del Consiglio: «Qualcuno paga e qualcun altro no?». È la prosecuzione della competizione a Palazzo Chigi che ha portato alla nascita di due sotto-correnti renziane: quella del sottosegretario Lotti e quella del ministro Boschi, che si rifiuta di far la parte della dispensata al cospetto dell’indispensabile.

Sui media in questi giorni è stata sballottata dalla candidatura a capogruppo della Camera (dove correrebbe il rischio di venire impallinata) a un incarico al partito (dove correrebbe il rischio di finire confinata). È il vecchio gioco di Palazzo, sono le voci che servono a delegittimare prima di emarginare un avversario. Tuttavia il nome della Boschi sembra fisso sulla casella del dicastero per i Rapporti con il Parlamento e per le Pari opportunità, per quanto amputato della delega alle Riforme, che evoca la compartecipazione al fallimento. E proprio questo farà di lei un bersaglio: «Sono il bersaglio più facile da attaccare ora».

Ma se è vero che al referendum la giovane dirigente del Pd è stata battuta nel suo paese, quanti sono quelli che staranno ancora al governo dopo aver perso nel Paese? Non si dà pace e nemmeno si rassegna. Vive la sua solitudine senza mostrare i propri sentimenti, avverte su di sé l’ostilità di un pezzo del partito e del Parlamento, conseguenza anche di certi suoi metodi sbrigativi quando — all’inizio dei mille giorni di Renzi — qualcuno si metteva di traverso: «Cosa pensate di fare... Vi cancelliamo». In Consiglio dei ministri, invece, si presentava austera e diligente, terrorizzando a ogni riunione i colleghi, per via del compito assegnatole dal premier e per quella cartellina che apriva come una maestrina: «Vediamo il rendiconto dei decreti attuativi che sono stati varati questa settimana». Era la fissazione di Renzi, era una maledizione per chi restava indietro. Com’è passato il tempo.

Francesco Verderami

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