venerdì 9 dicembre 2016

IL PASTICCIO DELLE LEGGE ELETTORALE : LA CONSULTA NON FA MIRACOLI

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E' con estrema soddisfazione che, in questi giorni, leggo i giornaloni cd. seri - Corriere, Repubblica e La Stampa - riportare previsioni sulla prossima pronuncia della Corte Costituzionale, investita da ben quattro tribunali in merito alla costituzionalità dell'Italicum , sollevando, come motivo principale del vulnus probabile di quella legge elettorale, la mancanza di una soglia minima di partecipazione popolare per rendere valido il ballottaggio.
La soddisfazione nasce perché mi vanto di essere stato tra i primi (e personalmente, io che mi considero attento lettore delle informazioni riguardanti la politica, non avevo mai letto, altrove  e precedentemente, tale obiezione) a denunciare proprio questo vizio, peraltro macroscopico, del frac cucito su misura dal prof. D'Alimonte su ordinazione di Renzino, poi rivelatosi assai difettoso per il committente e molto più adatto al competitor grillino (che infatti, con faccia di tolla non comune, prima lo ha demonizzato e ora se lo fa andar bene..., salto d'ipocrisia mortale triplo).
Dunque, ricapitoliamo brevemente. A suo tempo la Consulta bocciò il Porcellum perché assegnava un premio di maggioranza - il 55% dei seggi - al vincitore delle elezioni (coalizione o partito che fosse, poi furono sempre delle coalizioni, fin troppo variegate...), SENZA però porre nessuna asticella in ordine al voto popolare effettivamente preso. Bastava arrivare primi.
La Corte, giustamente, bocciò una norma che consentiva, in astratto (ma di questi tempi anche molto in concreto), che una forza politica che vincesse anche solo col 30% dei voti espressi, si ritrovasse poi con il controllo del Parlamento (è quello che è accaduto nel 2013, col problema che però il PD e alleati, Sel e Socialisti, la spuntarono, col solo 30% appunto, alla Camera ma NON al Senato, da qui il fallimento di Bersani)
L'Italicum la soglia la prevede, il 40%, ma SOLO al primo turno. Dopodiché prevede il ballottaggio tra le prime due forze, e quella che vince si becca il cucuzzaro. In fondo, ha preso il 51% dei voti al ballottaggio...
E bravo l'asino paraninfo ! Come si vede ormai quasi sempre nelle tornate amministrative dei sindaci, al ballottaggio ci vanno si e no il 50% dei cittadini aventi diritto, e quindi il vincitore, che l'ha spuntata col 51%, alla fine si ritrova eletto con il consenso di un cittadino su quattro (se va bene)...
Ora, ammesso e non concesso che possa essere accettabile un simile sistema per affidare l'amministrazione di una città, è abbastanza solare che il discorso non valga per una NAZIONE.
E quindi, FINALMENTE, leggo che il problema è proprio quello della mancata previsione, al ballottaggio, di una soglia minima di PARTECIPANTI al voto perché possa scattare l'assegnazione del premio. Insomma, se al voto vanno il 70, o anche il 65% dei cittadini aventi diritto, ok, ci si può anche stare che il vincente abbia un premio per quanto abbondante.
Ma al di sotto no, troppo leso il principio di rappresentanza.
E la governabilità ? Signori miei, è un valore anch'esso importante ma non da prevalere in maniera totale sull'altro, che forse anzi è superiore (almeno in democrazia).
Quindi, va bene anche concepire un premio, e assegnarlo ancorché non ci sia un vincitore col 51% del consenso popolare effettivo, però una base minima di consenso, stabilita sulla base degli aventi diritto, va prevista. Insomma, un quorum di partecipazione perché il premio possa essere assegnato. In mancanza, i seggi sono distribuiti in misura proporzionale. In Germania accade e non muoiono.
Ma li sono seri, osserva giustamente Giacalone, nell'articolo che segue...
E toccherà che un pochino proviamo a diventarlo pure noi, anche se quello che si sente e vede in questi giorni post referendari non fa ben sperare...
Nel PD regna il caos, con tutti armati contro tutti, ma non è che altrove, centro destra e nemmeno 5 Stelle sono rose e fiori...
Mai come in questi giorni, se Sparta piange, Atene non ride...
Giacalone ricorda, nel suo scritto, come una legge elettorale vada fatta, e senza attendere la Consulta, ché un Paese dovrebbe darsi da solo una normativa valida in una materia così essenziale, non certo farsela disegnare dai giudici (vedi consultellum).
Ricorda anche un'altra cosa. E' per Costituzione che il voto che elegge Camera e Senato è diverso, in quanto il secondo viene votato su base regionale. Quindi, la possibilità di due diverse maggioranze  è, con l'adozione di sistemi maggioritari (che io preferisco comunque al proporzionale puro) , sempre un'eventualità possibile.
Buona Lettura



Parrucconi e scapestrati

di Davide Giacalone
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Prima che qualcuno torni a prendersela con i parrucconi si provi a fermare gli scapestrati, quelli del: votiamo subito. I più, fra loro, sanno che è una corbelleria, che non si può fare, ma lo ripetono per sembrare vincenti, impetuosi, in crescita. Cresce, invece, solo l’incoscienza dell’esibizionismo. Ma sulla partita elettorale sembra siano in molti a non cogliere il valore della posta, che è altissimo. Totalmente istituzionale.
Votare subito non si può (come, invece, si dovrebbe) perché una maggioranza arrogante e un presidente della Repubblica furbescamente accondiscendente (Giorgio Napolitano) hanno sottratto al Colle il potere di scioglimento, avendo approvato ed emanato (mentre il Quirinale avrebbe dovuto, nel rispetto della Costituzione, rifiutare la firma) una legge elettorale per una sola Camera. Per giunta di assai dubbia costituzionalità, per non dire di certa incostituzionalità. Tanto era orrida che i suoi stessi autori annunciarono di volerla cambiare. Scrivemmo: fatelo subito, prima del referendum. Risposero: no, dopo. Eccoci, a scontare la loro superba incoscienza.
Poco male, pensano alcuni, tanto sarà la Corte costituzionale, il prossimo 24 gennaio, a rimediare, abrogandone una parte. Invece no, quello è un guaio ulteriore. Lasciamo da parte il fatto che dopo averli chiamati “parrucconi” e dopo avere dileggiato i “professori” (con maschia ignoranza), ora si chiede loro di metterci una pezza. Il punto è che la legge elettorale oggi vigente, per il Senato, è già il risultato di un’abrogazione chirurgica, effettuata dalla Consulta. Se si lasciasse fare loro la stessa cosa per la Camera si otterrebbero due risultati terribilmente negativi: 1. a legiferare non sarebbe più il Parlamento, per giunta sul sistema che presiede alla propria elezione, ma la Corte; 2. essendo due abrogazioni diverse, di leggi diverse, il risultato non sarebbe coerente.
Il che non andrebbe imputato alla Corte, ma a chi l’ha messa in quelle condizioni.
Le due leggi elettorali, quella per la Camera e quella per il Senato, devono essere diverse (stupisce che non lo sappia e che affermi il contrario Giuliano Pisapia, che oltre a essere una persona ragionevole è anche un giurista), perché questo vuole la Costituzione. Sono state diverse, sempre. Il centro destra provò, all’epoca del Porcellum, a renderle uguali, ma fu il presidente della Repubblica di allora (Carlo Azelio Ciampi) a impedirlo.
Adesso basta con i somari che credono alle somarate che dicono: Camera e Senato non sono mai state due Aule identiche. Devono essere diverse, ma coerenti. Perché si trovano dentro lo stesso sistema istituzionale e compongono un solo Parlamento. Se si procede per abrogazioni diverse di leggi diverse ne vien fuori solo un pasticcio.
E allora? Allora sarà bene che l’udienza costituzionale del 24 gennaio non si tenga. Per farla saltare c’è un solo modo: incardinare prima una riforma elettorale.
Da una parte un governo che prova a dissolvere la gara gradassa e spendacciona degli ultimi mesi, dall’altra una più ampia maggioranza che approva in fretta (in due mesi è fatta, volendo) la nuova legge elettorale, che comprende modalità diverse per la composizione delle due Aule. Se non ci riusciranno, se qualcuno penserà d’essere furbo mettendosi di traverso, fallirà la missione che questa legislatura si diede fin dal suo primo giorno, meritando d’essere travolta dal discredito.
Siamo noi che non lo meritiamo e che ancora contiamo di essere protagonisti in una Unione europea che cresce il doppio di noi, senza andare a rimorchio del più forte e stabile governo europeo: eletto con il sistema proporzionale e retto da una coalizione (ma di gente seria).

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