lunedì 13 febbraio 2017

INTERVISTA A DAVIGO 25 ANNI DOPO TANGENTOPOLI : "ITALIA PIU' CORROTTA . E I GIUDICI DI APPELLO COME I NONNI

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Una settimana fa a Milano l'Associazione Giovani Avvocati - mi sembra siano stati loro - aveva organizzato un convegno studi in occasione del giubileo di Mani Pulite : 25 anni dalla stagione a suo tempo celebratissima e oggi assai controversa nella storia della Giustizia italiana.
Bene, un flop clamoroso, con la sala semi deserta, e ne sono assai contento, non per quelli dell'AIGA, poveri, ma per il disinteresse per un'epoca tristemente giacobina.
Certo, il giustizialismo non è morto, anzi, gode purtroppo di fin troppa buona salute, però il fatto che gli eroi di allora siano tutti sbiaditi, e parecchio, mi consola.
Saverio Borrelli, Gherardo Colombo, per non parlare di Antonio Di Pietro, che quasi quasi mi fa pure un po' pena per come è malridotto. Uno di loro però è da poco tornato in auge, con la improvvida elezione a capo dell'associazione nazionale magistrati. Il mandato dovrebbe essere breve, per motivi di età, se ho capito bene, e questo è un sollievo. Intanto però l'uomo, che ha se non altro il pregio della assoluta chiarezza, esterna urbe et orbi il suo credo da buon sceriffo del Far West.
In questa intervista al Corsera, rilasciata sempre in occasione del 25ennale, è quasi moderato !
Naturalmente ci dice che l'Italia è più corrotta di allora, e ovviamente la spiegazione sta nel fatto che il legislatore ha tarpato loro le ali. Io francamente non la ricordo così, anzi, rammento che erano i magistrati milanesi che scrivevano ai giornali e invocavano il popolo proprio perché la politica non osasse intralciarli, e ci sono ormai diversi libri che raccontano le miserie di mani pulite (Sansonetti, Cerasa, Mattia Feltri, tra gli autori provvidi di particolari). Il Terrore ha comunque una durata circoscritta, fisiologicamente, e non si può vivere perennemente nell'emergenza.
Robespierre lo imparò a sue spese, e succede anche agli emuli più modesti.
Davigo cerca una sua rivincita mobilitando le toghe pregiate battendosi per la sostanziale eliminazione della prescrizione ( ragionevole durata del processo ? principio costituzionale ? imperativo dell'Europa, con relative sanzioni ? E chissene non ce lo metti ?? ) , dell'appello ( chissà come saranno contenti i suoi colleghi di leggere che sono dei "nonni" indulgenti, ed è per questo che le sentenze vengono così spesso riformate...).
Ribadisce le sue ricette anti corruzione, con sistemi tipici della lotta alla criminalità organizzata.
Insomma, nessuna novità, salvo, forse, due affermazioni :
1) la decisione di un politico di ritirarsi o meno, a seguito di indagini e/o processi che lo coinvolgono, è di opportunità, di buon senso. Non dovrebbero entrarci i giudici. Probabilmente il suo retro pensiero non è il mio, ma questa considerazione può essere condivisa.
2) Un innocente non dovrebbe essere assolto, ma proprio non processato. Dovrebbero funzionare meglio i filtri iniziali. Sacro santo ma non mi pare affatto che vada così. Anzi, accade pure che i filtri non funzionino per nulla, l'innocente si fa la galera, e poi nemmeno lo risarciscono nonostante l'assoluzione (vedi Sollecito da ultimo !).
Un'ultima cosa sul tema della corruzione. A mio avviso Davigo
perde di vista aspetti fondamentali del fenomeno in questione : la crisi economica e la debordante presenza pubblica nelle cose d'impresa.
Nella visione pangiustizialista tipica della categoria cui appartiene, gli sfuggono elementi pure elementari della scienza economica sociale, che nei paesi normali regolano la maggior parte delle relazioni umane, nel lavoro e non solo. 
Il Giudice Nordio (anche lui purtroppo in pensione, ma ci sta, a 70 anni) lo sapeva, Cantone pare averlo capito.
Davigo no.

 Il Corriere della Sera - Digital Edition

«A 25 anni da Mani pulite l’Italia è ancora più corrotta»

di Giuseppe Guastella

Il leader dell’Anm: il codice penale è uno spaventapasseri, in cella vanno solo gli sciocchi

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A 25 anni da Mani pulite, in Italia è cambiato poco o nulla?

«È drammatico quanto poco sia cambiata la situazione e quanto sulla corruzione peggiori la deriva dell’Italia nel panorama internazionale».

Un Paese corrotto?

«A livelli diversi, finalità e modalità diverse. È un Paese che sta morendo. C’è sfiducia, la gente non va più a votare, espatria».

Ci vuole una rivoluzione culturale?

«Bisogna cominciare dalla scuola».

Migliore l’Italia degli anni di Mani pulite?

«L’effetto domino non fu innescato da un sussulto di coscienza civile, ma dal fatto che erano finiti i soldi».

Lei sostiene che per la corruzione ci vorrebbe un doppio binario, come per la mafia.

«Bisognerebbe introdurre alcune delle norme che valgono per i mafiosi».

Ad esempio?

«Un sistema premiale forte e serio e le operazioni sotto copertura».

La corruzione spesso è alimentata da fondi neri esteri, sempre più difficili da aggredire.

«È un problema internazionale. L’assistenza giudiziaria internazionale è un relitto ottocentesco che richiede tempi talmente lunghi, incompatibili con la durata di un processo».

Corruzione «Simonia secolarizzata». Cioè?

«Nella Chiesa c’è il sacerdote che vende cose sacre, nello stato c’è il funzionario pubblico che vende le cose che per lui dovrebbero essere sacre, perché ha giurato fedeltà alla Repubblica».

Il pool Mani pulite ha fatto errori?

«Secondo me, no. Ha fatto quello che poteva. Se non ci avessero cambiato le leggi a partita in corso, saremmo andati avanti. Molte leggi possono avere su il nome dell’imputato».

Forse fino a un’epoca determinata.

«Sì, poi è cambiata la maggioranza e da allora le fanno più sofisticate. Ad esempio, la legge Severino non contrasta la corruzione ma è stata gabellata per una legge che la contrasta».

Monti, il premier di allora, non era sospettabile di essere vicino ai corrotti.

«Quella legge l’ha fatta il Parlamento. Ricordo che il ministro della Giustizia rispose alle obiezioni: “Era il massimo che si potesse fare in quel momento con quelle Camere”».

I vostri rappresentanti dissero che era una buona legge, come nel caso di quella sull’autoriciclaggio. C’è anche un problema vostro?

«Certo che c’è anche un problema della magistratura, ma cerchiamo di capirci, gioca anche molto il modo di fare leggi dovuto all’incompetenza della pubblica amministrazione che, purtroppo, non è più quella di cento fa, fatta di funzionari competenti e con il senso dello Stato. Quando ho incontrato la prima volta il ministro Orlando, gli ho fatto presente che la depenalizzazione che avevano fatto non serviva a niente perché toglieva solo le briciole ma alcuni reati depenalizzati avevano l’effetto non di ridurre il carico di lavoro, ma di aumentarlo. Mi rispose che l’Anm aveva dato parere favorevole, io gli dissi che non sarebbe accaduto più perché avevamo costituito delle commissioni interne».

Ha un giudizio molto negativo sui politici.

«Ce ne sono anche perbene, ma i meccanismi talvolta favoriscono il malaffare».

Cosa ne pensa di chi, come i 5 Stelle, ha introdotto codici interni legati alle inchieste?

«La politica non deve agganciarsi ad atti formali nel giudizio, ma a una valutazione autonoma dei fatti. Si può cacciare uno che è innocente o tenerlo se è colpevole. Sono due valutazioni diverse, una è politica, l’altra di giustizia».

Non si introduce così un’inversione del principio di non colpevolezza?

«Non è così. Molte volte non c’è bisogno di aspettare la sentenza per far scattare la responsabilità politica, ma in questo Paese non avviene mai, neanche di fronte ai casi evidenti».

Prendiamo il caso di Roma e della sindaca Raggi, è un caso controverso.

«Premesso che non parlo dei procedimenti in corso, in qualche caso la politica può dire “aspetto di vedere come va finire” o “mi sono fatto un’idea”, ma non può dire sempre “aspettiamo le sentenze”. Significa caricare sulla decisione del giudice la selezione della classe politica».

I politici dovrebbero darsi codici di comportamento?

«Secondo me sì. Basta anche il buonsenso».

Non c’è il rischio di finire nel moralismo?

«Se mi mandano in udienza con un collega che si è saputo che ruba, io non vado perché chi ci vede pensa che siamo uguali. Io non rubo».

L’Anm accoglie pm e giudici. Non le sembra forte dire che il codice di procedura penale è fatto per farla fare franca ai farabutti?

«Il nostro giudice è vincolato da un sistema di inutilizzabilità sconfortante perché una prova acquisita, valida nei confronti di un imputato, diventa inutilizzabile per un altro se è stata acquisita a termini delle indagini preliminari scaduti. Il giudice è messo nella condizione di dover scegliere tra rispettare la legge rinunciando a fare giustizia o tentare di fare giustizia forzando la legge. È inaccettabile. E allora è normale che uno venga arrestato e poi assolto. Se non volevano questo non dovevano scrive il codice così, oppure dovevano dirci di non arrestare più».

Riporta una frase del generale Dalla Chiesa che diceva: che c’è chi parla di manette facili e chi di ingiustizia che assolve. Ingiustizia?

«L’ingiustizia può essere nella legge oltre che negli uomini, se la legge è contraria al senso comune di giustizia, e molte delle norme che applichiamo lo sono. Ora la minaccia del carcere non è credibile perché il codice penale è uno spaventapasseri, da lontano fa paura, quando ci si avvicina appare innocuo. In galera ci va chi è così sciocco da farsi arrestare in flagranza e gli appartenenti alla criminalità organizzata. Gli altri in media ci vanno di meno».

Lei è un giudice, un suo imputato potrebbe avere difficoltà leggendo: «Ne prendiamo pochi e quando li prendiamo vengono condannati a pene esigue che non vengono fatte scontare».

«Nel nostro sistema il rispetto delle regole formali, che il più delle volte non hanno nessuna utilità, vanifica la ricostruzione storica dei fatti. A un certo punto ho lasciato la Procura per fare il giudice in appello, volevo capire come mai le sentenze venissero quasi sempre riformate. Ho visto che era vero quello che mi aveva insegnato un anziano magistrato che diceva che i giudici del tribunale sono come i padri, severi quando è necessario, quelli della Corte d’appello come i nonni, di regola rovinano i nipoti. Dato che su cento ricorsi in appello, 98 sono degli imputati condannati, si cominciano a vedere i problemi solo con una certa ottica e spesso è impossibile resistere alla tentazione di ridurre le pene. Bisognerebbe cambiare anche l’appello».

Solo carcere? E l’esecuzione esterna?

«Dipende dai reati e dal tipo degli imputati».

E stato mai tentato di forzare le regole?

«No. Le ho sempre rispettate, e anche quando ero convinto che l’imputato fosse colpevole l’ho assolto se la prova era inutilizzabile, pensando che era un mascalzone che l’aveva fatta franca».

Un sistema che protegge l’impunità?

«In un sistema ben ordinato, un innocente non deve essere assolto, non deve neppure andare a giudizio perché per lui il processo è una tragedia. I filtri dovrebbero essere all’inizio».

Qual è la priorità?

«La depenalizzazione. Il problema della giustizia è il numero dei processi. O abbiamo il coraggio di dire che va drasticamente ridotto o non se ne uscirà mai. Nel penale basta intervenire con una massiccia depenalizzazione e introdurre meccanismi di deterrenza delle impugnazioni, quelli che ci sono, sono risibili».

La politica invece va su una strada diversa e introduce nuovi reati come l’omicidio stradale .

«Cose prive di senso. Per l’omicidio stradale la pena è talmente alta che tra un po’ a qualcuno converrà dire che voleva ammazzare per rispondere di omicidio volontario».

Che ne dice dei suoi colleghi dell’Anm dell’Emilia Romagna dopo il comunicato sulla decisione del Tribunale del riesame?

«Non lo conosco, non posso sapere tutto».

È stata trovata la decisione di un collegio prima dell’udienza. L’Anm locale ha detto che poi altri giudici hanno confermato la decisione dei primi che si erano astenuti...

«Bisogna distinguere l’ipocrisia dal malcostume. Un giudice diligente non potendo ricordare a memoria decine di processi al giorno, si appunta lo studio che fa.L’ho sempre fatto, ma non firmo gli appunti e non li metto nel fascicolo».

E allora, a cosa serve la discussione?

«Si può cambiare la decisione».

Lei lo fa?

«Quando un avvocato dice cose che non avevo notato, raro, o che mi convincono, cambio opinione perché solo gli imbecilli non lo fanno».

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