lunedì 13 febbraio 2017

IL PD E LE MILLE CORRENTI. I BALCANI SI SONO "PIDDIZZATI"

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La caducità delle cose umane è fenomeno ben noto, specie a chi, come me, ama leggere di Storia, e anche seguire la Politica. Però capperi, la velocità della parabola renziana  appare sorprendente pure ad un cinico (di approdo) come il sottoscritto.
Dopo le europee del 2014, 3 anni fa, mica 30, o 10, Renzi era il leader europeo col maggior consenso presso i propri concittadini e così lo salutò la Merkel al primo summit post elettorale.
In Parlamento, dominava, facendo e disfacendo alleanze come Banderas i biscotti nelle pubblicità. Patto del Nazareno ? Buono fino all'elezione del presidente della Repubblica, poi via.
Lo stomachevole Verdini ? E perché no ?  I voti di fiducia a go go, per piegare quei riottosi della minoranza PD ? Certo che sì.
Poi però accade che l'economia, brutta bestia per ogni governo, non riparte. Nonostante le mance elettorali degli 80 euro, i bonus di formazione ai professori - categoria cara, notoriamente, ai Dem - il Jobs Act (che ha nel suo pancione cose buone), e, SOPRATTUTTO, Mario Draghi che ci sommerge di soldi a buon mercato tenendo a bada gli interessi sul debito che NON scende, l'economia italiana resta il fanalino di coda europeo. Dei famosi PIIGS, solo la Grecia sembra fare peggio, tutti gli altri, Spagna, Irlanda e forse anche Portogallo (che pure stenta), fanno meglio di noi. La Spagna addirittura senza governo, e costretta a votare due volte a distanza di poco tempo per costituire una maggioranza, peraltro tuttora piuttosto precaria.
Senza economia in salute, la gente è scontenta, il lavoro è poco e spesso non stabile, e i test elettorali, coi vari voti amministrativi, non vanno bene, fino alla batosta della scorsa primavera, con la perdita di Torino e la Caporetto di Roma, con la Raggi ( anche, qui, a proposito di parabole discendenti, mica male !!) che straccia Giachetti 67 a 33.
Tutti funesti presagi del Vajont del 4 dicembre, quando arriva il naufragio delle riforme costituzionali.
Il carro del vincitore, strabordante dopo il 2014, inizia ad alleggerirsi, parecchio.
Non c'è solo la solita minoranza rissosa, che brinda alla sconfitta del proprio partito al referendum e minaccia scissioni, ma anche gli alleati in maggioranza accusano qualche mal di stomaco.
Parlo di Orlando, ministro della Giustizia, e soprattutto di quell'"affidabile" alleato di nome Franceschini, il traditore di Letta (amici personali, al tempo, immagino non più). Senza di loro, la segreteria non avrebbe più la maggioranza, senza contare che anche nella galassia renziana, si intravedono vari, troppi, satelliti impegnati in significativi "distinguo".
Addirittura quella stra-beneficiata della Boschi si sarebbe collocata tra i "critici"...speriamo che la signora faccia la fine della Moretti, altra campionessa del salto della quaglia.
Però i sondaggi, raccolti da Pagnoncelli http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2017/02/ma-il-pd-e-di-sinistra.html, ma non solo, ancora una settimana fa, dicono che gli elettori Dem sono dalla parte di Renzi, che stravincerebbe contro tutti e tre gli attuali candidati a prendere il suo posto : Emiliano, Speranza e Rossi.
A leggere questi tre nomi, ovvio pensare : e meno male !!
Ma se veramente ci fosse un congresso anticipato, e stavolta Renzi dovesse contare solo sui fedelissimi, e la sinistra dem si saldasse invece con gli attuali, infastiditi alleati del segretario uscente, magari sul nome di Orlando, o un altro nome che risultasse aggregante, il risultato sarebbe lo stesso ?
L'uomo, gli va dato atto, è uno che rischia, e non gioca solo se pensa di vincere. Certo, cerca di farlo nel momento che pensa per lui migliore, e crede che sia ora, per non lasciare troppo tempo ai suoi nemici, soprattutto interni, di organizzarsi.
Resta, per chi ha conosciuto il PCI e anche il PSI craxiano, un sentimento di sconcerto di fronte al numero di galassie all'interno del PD.
Manco i Balcani, come argutamente qualcuno osserva da quelle parti.


Il Corriere della Sera - Digital Edition
 
Le correnti soffiano con forza Maggioranza divisa in 11 aree

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ROMA «Non possiamo nemmeno più dire che il Pd è un partito balcanizzato. Perché siamo ben oltre le divisioni nei Balcani. Sette sono gli Stati dell’ex Jugoslavia, giusto? Ecco, considera che nella sola maggioranza renziana siamo già a undici fazioni. Se scoppia una nuova guerra nei Balcani diranno, semmai, che i Balcani si sono “piddizzati”...». Raccontano che l’altro giorno, sentendosi riferire a Palazzo Chigi la battuta di cui sopra, a Luca Lotti non sia scappato neanche un mezzo sorriso. Nulla. Sotto il foglietto di carta con l’ultimo conteggio di correnti e sottocorrenti del Pd, compilato a poche ore dalla direzione di oggi, si nascondono le spoglie di quell’antica vocazione maggioritaria che aveva scandito nascita, infanzia e pre-adolescenza del partito. Solo nella maggioranza renziana che sta sulla carta ci sono undici tra correnti e sottocorrenti, ciascuna con un distinguo diverso su modalità e tempi del congresso, su modalità e tempi della legislatura, su Renzi, su Gentiloni. Con la minoranza divisa in quattro tronconi — le aree dei tre attuali candidati alla segreteria (Roberto Speranza, Michele Emiliano ed Enrico Rossi) più la pattuglia di Gianni Cuperlo — si arriva a quattordici. Con il pacchetto di mischia di Massimo D’Alema, che ha ancora un piede e mezzo nel partito, quindici.

Nel sistema che si prepara ad accantonare il maggioritario per tornare verso il proporzionale, insomma, il Pd si presenta già proporzionalizzato di suo. Il 45,3 per cento con cui Renzi aveva vinto l’ultimo congresso tra gli iscritti, così come il 67,5 ottenuto ai gazebo tra gli elettori, sembrano un ricordo ormai sbiadito. Dal 2013 a oggi, dai renziani doc sono nate tre creature differenti. Una fa capo a Graziano Delrio e ha come luogotenente sui territori Angelo Rughetti. Le altre due nascono dalle divergenze nell’ex Giglio magico tra la «tendenza Lotti», nel senso del ministro Luca, e la «tendenza Boschi», nel senso della sottosegretaria Maria Elena.

Decisamente più preoccupante, per Renzi, è lo smottamento dell’area Franceschini. Il ministro dei Beni culturali ha un peso, tra gli iscritti, stimato attorno al 25 per cento. Ha perso il capogruppo alla Camera Ettore Rosato, oggi più vicino ai renziani. Ma ha guadagnato quello al Senato Luigi Zanda, che si muove in piena sintonia con lui per l’allungamento della legislatura. È diviso anche il blocco degli ex rutelliani, che risente della presenza a Palazzo Chigi di Gentiloni (con lui c’è Ermete Realacci, mentre Roberto Giachetti segue la linea Renzi). Senza dimenticare i custodi del granaio di voti che l’ex premier prese ai gazebo in Puglia (58,2%), Calabria (57,8) e Campania (62,2). Con Emiliano all’opposizione, e i governatori Oliverio e De Luca dati per «inquieti», quei voti sono di nuovo contendibili.

Non va meglio neanche tra le correnti che si sono col tempo ritrovate nella maggioranza di Renzi dopo essere partiti dalla sinistra unita che aveva candidato Cuperlo. S’è scissa l’area dei «giovani turchi», coi «giovani» che insieme a Matteo Orfini seguono Renzi (Pini, Raciti, Paris più Verducci) e la maggioranza dei «turchi» schierata invece con Andrea Orlando (Marantelli, Bordo, Velo, Misiani). E difficoltà ci sono nell’area «responsabile» di Martina, che si era staccata da Bersani-Speranza per appoggiare in tutto e per tutto Renzi e che ora, sempre per lo stesso motivo, rischia di perdere qualche pezzo (come Cesare Damiano).

Della vecchia foto congressuale, l’unico che è riuscito a mantenersi in un blocco singolo è stato Pippo Civati. Che però, per raggiungere l’obiettivo, ha dovuto fondare un altro partito.

Tommaso Labate

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